Pubblicato il 20/09/2012, 14:38 | Scritto da La Redazione

ANDREA SARTORETTI, “ER BUFALO” CHE VOTA OBAMA

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Nato negli USA, cresciuto tra Parigi e Roma, l’attore ha raccontato a TVZOOM la propria carriera, tra il successo di “Romanzo Criminale – La serie” e l’odierno “Squadra Antimafia 4”.

Ha trascorso la sua infanzia a Parigi, ma ha Roma nel cuore. È nato negli USA, ne conserva la cittadinanza: «Per andare a votare Obama e contribuire a una svolta epocale», ma, appena può, sale su un aereo e sceglie una meta nuova da esplorare. Quando non lavora, sfida le onde surfando. Il surf, per lui, è adrenalinico quasi quanto fare la roulette russa in una scena di Romanzo Criminale, sfidando idealmente Cristopher Walken e Robert De Niro in un’analoga sequenza de Il cacciatore. Andrea Sartoretti fa l’attore (Romanzo Criminale – La serie, Squadra Antimafia 4, Boris, Feisbum!, ACAB), eppure somiglia a un moschettiere. Lui e i suoi tre amici Pietro Sermonti, Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico, quasi fossero compagni d’arme, hanno iniziato assieme, adolescenti all’inseguimento dello stesso sogno, e si ritrovano oggi, quarantenni affermati nel mondo della fiction e del cinema. Suggestione concreta di quattro giovani, oggi si dice così, che ce l’hanno fatta davvero.

Andrea, Squadra Antimafia 4 è partita alla grande, i risultati la stanno premiando.

«Ne siamo tutti soddisfatti. Fino a marzo sarò impegnato sul set della quinta serie, dove approfondirò alcuni lati del mio personaggio, Dante Mezzanotte».
Che tipo è, Dante Mezzanotte?
«È il figlio di un boss mafioso, intende occuparsi degli affari di famiglia, che a un certo punto vorrebbe quasi “legalizzare”, rendendo l’attività del padre un’impresa pulita, non più criminale. Alcuni imprevisti gli impediranno di conseguire lo scopo».
Sotto molti aspetti è un “cattivo”, ma un cattivo atipico, un po’ come il Bufalo di Romanzo Criminale.
«Due modi molto diversi di fare il cattivo. Il Bufalo era un romano impulsivo, un uomo di cuore, che agiva quasi sempre d’instinto. Mezzanotte è siciliano, è calcolatore, molto intelligente e assai razionale. La freddezza nel pensare e nell’agire potrebbe essere il suo tratto distintivo. Due personaggi che coltivano gli estremi, in un certo senso, e lo fanno da punti di vista differenti».
Parlando dell’approccio a Squadra Antimafia e a Romanzo Criminale: che cosa rende diverse le due fiction?
«Per prima cosa, Squadra Antimafia è una serie consolidata, con alle spalle già tre stagioni di grande successo. Romanzo Criminale era una scommessa, che poi si è rivelata vincente, un nuovo modo di intendere la fiction, supportato da forti investimenti da parte di Sky. Senza contare che il titolo dice già tutto: Romanzo Criminale, ovvero una storia reale, adeguatamente romanzata, una sceneggiatura tratta da un libro e ispirata a una storia vera. Squadra antimafia è in tutto e per tutto fantasia, pur comprendendo al suo interno riferimenti a episodi reali contemporanei. Forse Squadra Antimafia somiglia di più a un fumetto, di quelli che leggi perché ne sei attratto, senza domandarti troppo il perché».
Si è preparato in modo differente, per i due ruoli?
«Per interpretare il Bufalo ho fatto tanta ricerca. Mi sono documentato, anche grazie a internet, sono andato a leggermi le carte dei processi, e ho lavorato su un romanesco più cadenzato, più retrò, meno veloce rispetto a quello di oggi e inquadrato rispetto all’epoca in cui la storia è ambientata. Per Squadra Antimafia ho lavorato di fantasia. Ho caratterizzato il personaggio rielaborando una mia idea precisa di come avrebbe dovuto essere».
Alla gente piace, vedere in tv il lato oscuro attraverso le fiction noir…
«Certo, se porti in tv il diavolo, il pubblico si appassiona, è sempre stato così. E’ l’estremo a colpire la gente. Anche se porti in televisione il bene assoluto, lo spettatore si appassiona. In generale, tutte le pulsioni umane fortemente caratterizzate, quelle che la gente sente dentro senza avere il coraggio di mettere in pratica, colpiscono. Però, sai che cosa mi piaceva di quello che mi dicevano i fans a proposito del Bufalo?»
Che cosa?
«Nessuno mi fermava per dirmi “Ah, come spara bene Er Bufalo, ah quanti ne ha ammazzati oggi”. Alla gente non interessava questo. Tutti mi facevano notare i suoi lati umani. Il fatto che fosse un amico fedele, quello che non tradisce mai. Ne scorgevano l’umanità nel suo complesso. Lo inquadravano come un uomo a tutto tondo, con le sue caratteristiche, le sue debolezze. Non era l’ archetipo di eroe negativo».
Quella del Bufalo è un’etichetta che si porta dietro ancora?
 «No, ora molti mi fermano e mi salutano come Dante Mezzanotte. Comunque le etichette non sono un male. Essere etichettato per un ruolo svolto, è la conferma che quel ruolo ha colpito nel segno. Purché non comprometta l’accesso a parti nuove, ovviamente».
A lei piace coltivare gli estremi. Altrimenti non avrebbe partecipato a Boris, una delle fiction più rivoluzionarie mai realizzate.
«Boris è stato un piccolo capolavoro. Ci ha dato la possibilità di ironizzare sul dietro le quinte di molte fiction, di raccontare che cosa può accadere nel meccanismo di una produzione. E’ stata la dimostrazione che in Italia, se si vuole osare, c’è spazio per l’innovazione».
Se si vuole osare. Ma non sempre si osa.
«Spesso si sceglie la strada breve e consolidata. Si ha paura di rischiare. Eppure il cinema e la fiction sono un gioco d’azzardo. Solo rischiando, lavorando sull’innovazione – lavorandoci bene, si intende – si fa arte e si crea un prodotto di qualità».
Non sarà alle volte anche un problema di budget?
«In parte, sì. Eppure si possono percorrere nuove strade senza investimenti faraonici. Basta credere in idee rischiose, ma innovative. Chi avrebbe scommesso, in passato, su Benigni alle prese con un film sulla Shoah? Eppure abbiamo visto come è andata. La stessa serie di Romanzo Criminale era un rischio, specie perché era stato realizzato già un film di successo. Alle volte, in Italia, si ha paura delle proprie idee e si magnificano troppo quelle che provengono dall’estero. Ma anche all’estero si producono cose orribili».
Si realizzerà la quarta serie di Boris?
«Torre, Sermonti e Ciarrapico sono tre miei amici d’infanzia, li conosco bene. Ti posso assicurare che ogni voce riguardante una quarta serie è infondata. Almeno fino a quando non ci sarà un’idea narrativa tanto brillante quanto quella iniziale. Alle volte, è meglio fermarsi all’apice del consenso, non ha senso proseguire solo perché lo vuole il pubblico».
Che effetto le ha fatto aver lavorato a una serie di successo con amici di sempre?
«L’aspetto più divertente e incredibile è l’essere riusciti a portare il nostro umorismo, quello vero, con cui siamo cresciuti, all’interno di una produzione».
Siete quattro, come i moschettieri. Quando avete cominciato a sognare di lavorare nella recitazione?
«Era il 1994. Abbiamo iniziato raccattando materiale qua e là, per allestire i nostri primi progetti teatrali. Quando le cose andavano bene, ma veramente bene, riuscivamo a metterci in tasca 50.000 lire. Che spendevamo in birra, per festeggiare».
Poi sono arrivate le prime esperienze al cinema.

«Il produttore Arcopinto ci ha notati e ci ha aiutati a produrre il nostro primo film, che era davvero un filmetto. Si intitolava Piccole Anime. Poi è arrivato Piovono Mucche, trattava il tema dell’obiezione di coscienza. La distribuzione fu davvero ridotta. Se penso che, dopo anni, il film Quasi Amici ha ricevuto premi e riconoscimenti…noi avevamo avuto la stessa intuizione narrativa ben prima».
Ed è arrivata anche una parte in Mission Impossible III, a fianco di Tom Cruise!

«E’ giunta molto dopo, si trattava di una parte piccolissima. Ho avuto modo di confrontarmi da vicino con le produzioni americane. Faraoniche, meticolose, curate in ogni dettaglio. Negli USA amano dire che, se uno spettatore paga 7 dollari per il biglietto, deve essere ripagato con rispetto, e si deve dare il massimo in ogni aspetto della produzione».
Lei è uno di quelli che volevano fare questo mestiere fin da bambini, giusto?
«Penso di sì. Ma non ho mai sentito nessun “fuoco sacro”, dentro di me, sia chiaro. Sono tutte cazzate. Ricordo però quando da piccolo ho visto 400, di Truffaut. Dicevo a mia madre che avrei voluto fare il protagonista. Poi ho cominciato a studiare. A fare i primi lavori per racimolare qualcosa e continuare a pagarmi gli studi». 
Quali caratteristiche deve avere un esordiente?
«Attori non ci si improvvisa. Per emergere occorrono applicazione, talento e fortuna. Chiamiamola pure “culo”. Ma il culo arriva solo se sei in grado di procurarti le occasioni. Che, spesso, si traducono in una miriade di provini, ai quali verrai sistematicamente scartato. Solo insistendo, giungeranno i primi ruoli».
Che cosa fa Andrea Sartoretti quando non lavora?
«Viaggio molto. Viaggiare ti consente di tenere aperti i finestrini del cervello. Esplorando un posto nuovo, tutti i tuoi sensi sono sull’attenti. Non consenti loro di affievolirsi. E se non diventi più intelligente, per lo meno diventi più ricettivo. Si può viaggiare anche spendendo poco, il vero lusso è avere tempo a disposizione per farlo. E poi, coltivo la mia seconda passione, il surf. Il mare è parte di me, lo considero un mio parente stretto».
Surfare e recitare. Due atti che contengono un principio etico ed estetico di eroismo. Ci sono delle analogie?
«La paura di sfidare qualcosa di molto più forte di te. Surfando ti confronti con il mare, che comporta dei rischi. Recitando…beh, ti faccio un esempio emblematico. In una scena di Romanzo Criminale, dovevo interpretare il Bufalo che, ubriaco e strafatto, improvvisava una roulette russa. D’istinto, mi è tornata alla mente la scena con De Niro e Walken ne Il cacciatore. Un paragone pesantissimo, da brividi. Ci ho pensato per sei mesi filati. Ancora oggi poi, quando sono a teatro, tremo come una foglia prima di confrontarmi con il pubblico. Mi continuo a ripetere: “Ok, tranne che morire, può succedermi qualsiasi cosa”».

Torna mai negli Stati Uniti, dove è nato?
«Ne conservo la cittadinanza, soprattutto per andare a votare.  Ho votato Obama, lo farò ancora. La sua elezione è stata una svolta epocale, un evento rivoluzionario e bellissimo. Spero si riconfermi. Gli USA sono una terra di grandi contraddizioni, hanno pregi, tanti difetti, ma la vittoria di Obama è la dimostrazione che, lì, tutto è davvero possibile».

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Andea Sartoretti)