Pubblicato il 15/08/2012, 10:05 | Scritto da La Redazione

MORGAN: «BASTA CON LA TV, DOPO “XFACTOR” TORNO ALLA MUSICA»

MORGAN: «BASTA CON LA TV, DOPO “XFACTOR” TORNO ALLA MUSICA»
Il giudice del talent show di Sky annuncia di volersi prendere una pausa dal piccolo schermo per dedicarsi alla musica. E intanto prepara la regia di un’opera lirica. Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 48, di Valerio Cappelli Morgan attacca la tv: «Un’ossessione, basta» Ma resta a «X Factor»: ultimo anno, poi la musica. Il […]

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Il giudice del talent show di Sky annuncia di volersi prendere una pausa dal piccolo schermo per dedicarsi alla musica. E intanto prepara la regia di un’opera lirica.

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 48, di Valerio Cappelli

Morgan attacca la tv: «Un’ossessione, basta»

Ma resta a «X Factor»: ultimo anno, poi la musica. Il cantante debutta alla regia lirica con un’opera di Cimarosa: mi sento vicino ai melomani.

Sono le quattro del pomeriggio, Morgan si è appena svegliato e mormora: «Eh, i melomani. Il mio staff dice che sono gente chiusa, che non accettano idee innovative. Sai che ti dico? Sono dalla loro parte». Marco «Morgan» Castoldi debutta come regista d’opera il 5 ottobre al Teatro Coccia di Novara. Di lui si parla sempre per i suoi «rumori fuori scena», le confessioni sulla droga, il rapporto con la sua ex Asia Argento, spericolatezze e depressioni. È in pista per Il matrimonio segreto di Cimarosa, buffa storia di sposini che non si possono appartenere. Il direttore è Carlo Goldstein, nel cast due vecchie volpi come Bruno Praticò e Stefania Bonfadelli.

Perché è dalla parte dei melomani?

«Rispetto al pop, sono più colti e capaci di criticare. Il melodramma in passato fu dissacrante e rivoluzionario, oggi viene visto come la culla della conservazione ed è un errore. Molte volte i modernisti fanno pacchianate deformanti che non rispecchiano l’autenticità dell’opera. E i melomani fischiano, giustamente».

Che spettacolo sarà?

«Interpreto l’essenza dell’opera buffa e della comicità in uno spettacolo che farà ridere. Userò una tecnica che ho inventato di zoomata, ho creato una doppia scena, come se si vedesse la stessa scena su due piani. Poi vado a illuminare quello che mi interessa».

Perché Cimarosa?

«Me l’hanno proposto. Lo conoscevo per sentito dire, non è così famoso per il pubblico generalista, sarà un bel modo di scoprirlo. Nella sua musica c’è un’italianità spiccata, mi ricorda Rossini per forza vitale e capacità ritmica. Ci sarà molto cinema, non il set di un film ma è come se avessi una macchina da presa che inquadra di volta in volta. Quest’opera ha un’armonia dentro che riesce a infondere in chi ci lavora e in chi la vedrà».

Lei suonava Chopin da piccolo.

«Non sono Gianni Morandi, è il compositore in cui vorrei reincarnarmi con Satie e Scriàbin. Alle elementari, come dire, prima la musica e poi le parole».

Sa che è il titolo di un’operina di Salieri?

«Ma dai! Negli anni 70 componevo musica prima di scrivere. Ti stordivano con la pedagogia. Io ruppi il muro del solfeggio. A scuola andavo con la carta pentagrammata, mi mettevo all’ultimo banco e a 12 anni scrivevo un Quartetto d’archi. La prof di musica convocò mia madre, turbata perché scrivevo dissonanze alla Stravinskij. Mamma mi portò a Milano per analizzare i test sul quoziente intellettivo e da una compositrice giapponese per capire che tipo di bambino fossi. Ero visto come una scimmia, una cavia di laboratorio».

Poi dalla classica si allontanò.

«Mai abbandonata, ero preso dai Depeche Mode, tutto basato sul sintetizzatore. Mio padre me ne comprò uno a patto che continuassi a suonare Chopin. Un’unione necessaria, la classica e il pop».

Avere la Scala a due passi…

«Si dovrebbero dare una mossa, soprattutto in termini di nuovi artisti».

L’ultima volta che c’è andato?

«Anni fa, per un concerto di Eugenio Finardi».

Come fa a giudicare allora?

«Classica e opera vanno avanti sulle loro belle gambe, l’ambiente accademico ha un grande materiale ma fa di tutto per ucciderlo, arroccandosi su se stesso. Oggi la funzione della lirica qual è se non quella di riproporre il passato? Invece dovrebbe essere occasione di sommossa».

Ma lei da che parte sta?

«Sono uno che ama il bello e cerca di fare l’equilibrista».

Sarà accolto da pregiudizi o tappeti rossi?

«L’una e l’altra cosa. Prendetemi per quello che non sono: ignoratemi. Sto cercando di uscire dalla tv, non ne posso più, un mondo ossessivo, morboso, dominato dalla pubblicità che crea mostri di marketing, mi hanno sbattuto come un gatto preso per la collottola, uno strumento in mano loro. Ti pagano due euro e ti dicono di essere contento perché diventi famoso».

Ma se la pensa così sulla tv allora farà ancora «X Factor»?

«Per quest’anno sì, in futuro credo proprio di no. Non posso stare in quel banchetto a dire cretinate. Prima la tv la frequentavo in modo saltuario. Mi ha allontanato dalla musica».

Perché i suoi colleghi a un certo punto vogliono tentare la carta della classica, a parte De Gregori a cui sta bene raccontare il mondo in tre minuti?

«De Gregori è un finto modesto, gli piace la parte di quello che non vuole strafare. Io e Battiato veniamo dalla classica. Poi c’è stato Dalla, il Venditti sinfonico. A volte è l’invidia del pene, un complesso d’inferiorità, ma non lo dico con cattiveria. I miei cd sono pieni di citazioni di Mahler, Debussy e Vivaldi».

Allevi dice d’essere il redivivo Mozart.

«Non il redivivo Morgan?». Ride. «Pensavo che fosse il redivivo Richard Clayderman».