Pubblicato il 12/08/2012, 12:00 | Scritto da La Redazione

BERNABEI: «IL PEGGIO? I REALITY. PER NOI LA DONNA ERA L’ALTRA METÀ DEL CIELO»

BERNABEI: «IL PEGGIO? I REALITY. PER NOI LA DONNA ERA L’ALTRA METÀ DEL CIELO»
L’ex direttore generale della Rai, in un’intervista al “Corriere della sera”, ricorda la rivoluzione delle Kessler e della Carrà, rivendicando il buon gusto e l’assenza di volgarità. Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 15, di Paolo Conti «Quel mondo di calze nere e niente doppi sensi» L’ex direttore generale della tv di Stato che portò […]

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L’ex direttore generale della Rai, in un’intervista al “Corriere della sera”, ricorda la rivoluzione delle Kessler e della Carrà, rivendicando il buon gusto e l’assenza di volgarità.

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 15, di Paolo Conti

«Quel mondo di calze nere e niente doppi sensi»

L’ex direttore generale della tv di Stato che portò sullo schermo le gambe delle Kessler e l’ombelico della Carrà. Bernabei: il peggio? I reality: va in onda un autentico abbrutimento.

«Ne hanno scritte di tutti i colori, hanno parlato di censure, d’interventi papali… l’unica verità e che io e i miei collaboratori, a partire da Pier Emilio Gennarini, eravamo convinti che la donna fosse l’altra metà del cielo. Non eravamo misogini ma avevamo un’idea dell’immagine femminile nella società italiana opposta rispetto all’oggetto di strumentalizzazione che vediamo oggi in tv…». Ettore Bernabei, 91 anni compiuti il 16 maggio, direttore generale della Rai dal 1960 al 1974, è più lucido e pungente che mai, forse merito delle vacanze a Castel Madama.

Il ricordo risale al primo «caso» nazionale Rai sulla donna in tv: le mitiche calze nere con cui apparirono le gemelle Kessler nel 1961 in «Giardino d’inverno», show anticipatore di «Studio uno», affidato ad Antonello Falqui e a Guido Sacerdote, autori dei più eleganti varietà della storia Rai. Torniamo a quelle calze nere… «Quando arrivai alla Rai, chiesi subito un’inchiesta a puntate sulla donna che lavora, e così fu. Contemporaneamente ci occupammo del primo grande varietà italiano. In quel periodo, al teatro Sistina, tempio della commedia musicale, le ballerine di fila indossavano il gonnino a metà gamba e solo la prima ballerina il tutù, da Delia Scala a Wanda Osiris. Falqui e Sacerdote scoprirono le Kessler e scritturarono le Bluebelle Girls al Lido di Parigi. Uno spettacolo di livello europeo… ci ponemmo il problema di proporre all’improvviso tutto questo non solo nelle grandi città ma anche nelle campagne siciliane, sulle montagne dell’Alto Adige, nelle province. E adottammo il metodo delle calze nere col tutù. Si vedevano bene le gambe, era un grande cambiamento rispetto al passato ma c’era rispetto per la donna, per la sua bellezza. Ma quale censure, ma quali richieste d’Oltretevere… erano scelte nostre consapevoli, volute, in un disegno ben preciso».

Aggiunge Bernabei, con una foga che svela orgoglio: «Niente ammiccamenti o doppi sensi, nessuna volgarità, mai un cedimento alle battutacce. Un omaggio al fascino femminile ma senza offesa alle donne di tutti i giorni, magari meno belle o curate. Abbiamo rischiato molto. Ma c’era bisogno di cambiare tenendo fermo un punto: la donna nel suo rapporto con l’altro sesso, così come deve essere, ma senza sfigurare il suo ruolo nella vita quotidiana, sul lavoro, in famiglia». Appena nove anni dopo quelle calze nere, un altro gradino memorabile. Il famoso ombelico scoperto di Raffaella Carrà in «Canzonissima» 1970, il primo in assoluto ripreso dalla tv pubblica in prima serata. Come andò, quella volta? «Anche in quel caso, lì per lì, ci furono perplessità. Ma poi le superammo. Raffaella Carrà era giovane, molto bella, soprattutto molto brava. Il prodotto finale non aveva nulla di torbido. Anche qui, il segreto fu l’eleganza, la misura, il buon gusto. Se vogliamo, il famoso “Tuca Tuca” non era proprio una faccenda da bambini… Ma non si debordava mai. E anche in quel caso disposi l’aumento delle interviste, nei servizi giornalistici, a esponenti del mondo femminile sul lavoro, nella società italiana che stava cambiando».

Pochi anni dopo il mondo televisivo si rivoluzionò, non solo per l’uscita di scena di Bernabei dalla Rai e per la riforma del 1975 ma anche per la nascita del duopolio, della concorrenza Rai-Mediaset. E anche qui Bernabei ha un’idea chiara: «La tv commerciale andò subito sul facile, sull’ovvio, puntando sul sesso e sulle donne per fare ascolto, un gran peso ebbero i film americani di media qualità. Costava meno fatica intellettuale e meno soldi, l’audience cresceva… La Rai fu costretta a rispondere per non correre il rischio di essere cancellata magari per sempre. Errori ci furono, tanti, ma era un’emergenza». Ci fu, per esempio, il caso di «Colpo grosso» con Smaila … «Certo. Erano tutti punti di non ritorno. Poi siamo arrivati a ciò che vediamo oggi».

Qual è la peggiore trasmissione da questo punto di vista, secondo lei, Bernabei? «Indico solo un genere. Cioè il reality, anche quello Rai. Lì la donna viene umiliata a semplice oggetto di contesa direi quasi materiale. Un autentico abbrutimento. Soprattutto un modello che nulla ha a che fare con i milioni di donne che studiano, ricercano, o la mattina si alzano prestissimo, organizzano marito e figli, vanno a lavorare per otto ore, di corsa tornano a casa e, ancora lì a organizzare. Perché questa, signori, è la realtà. La realtà vera. Altro che la volgare menzogna dei reality».