Pubblicato il 15/07/2012, 09:33 | Scritto da La Redazione

CARLO FRECCERO: «I POLITICI HANNO ROVINATO LA RAI»

CARLO FRECCERO: «I POLITICI HANNO ROVINATO LA RAI»
Il direttore di Rai 4, in un’intervista al quotidiano “Il Tempo” parla della televisione al tempo della crisi. Il Tempo, pagina 6, di Massimiliano Lenzi. «I politici hanno rovinato la Rai» Il direttore Freccero: «La lottizzazione c’è sempre stata. Prima però contava anche il curriculum e non solo l’obbedienza». «In Italia in televisione non vengono […]

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Il direttore di Rai 4, in un’intervista al quotidiano “Il Tempo” parla della televisione al tempo della crisi.

Il Tempo, pagina 6, di Massimiliano Lenzi.

«I politici hanno rovinato la Rai»

Il direttore Freccero: «La lottizzazione c’è sempre stata. Prima però contava anche il curriculum e non solo l’obbedienza».

«In Italia in televisione non vengono riconosciute professionalità e competenze. Perché è la politica che fa la tv, le raccomandazioni dei politici decidono gli organigrammi. Ancora adesso se guardiamo i commenti dei quotidiani sulle possibili prossime nomine, vediamo che non sono fatte sulla base dei curricula ma sulla base dell’equivicinanza». Carlo Freccero, direttore di Rai 4 – anni fa lo è stato di Rai 2, Italia 1 e Canale 5 – in questa intervista a Il Tempo parla della televisione al tempo della crisi.

Direttore, meglio in passato?

«Se pensiamo agli anni della piena lottizzazione, i partiti sceglievano sempre ma persone con grande competenza. Basti citare Angelo Guglielmi, Massimo Fichera ed Emanuele Milano. La vicinanza era un a priori ma anche la competenza era un a priori».

Perché in Italia non si riesce a guardare alla tv come a un’impresa, puntando ai migliori sul mercato?

«Lo stesso Silvio Berlusconi, che è l’uomo d’impresa per eccellenza della tv, a un certo punto ha scelto le persone secondo un altro criterio, che non era quello dell’impresa».

E quale? Della politica?

«Dell’obbedienza».

Come se ne esce?

«È chiaro che oggi c’è una condizione sfavorevole. Perché mancano risorse pubblicitarie. Perché se il mercato fosse veramente spumeggiante, ricco di champagne e non solo di acqua minerale, sarebbe diverso. È questo il problema, mancano i soldi per la crisi economica».

Mancano pure le idee?

«Sì. Alt, però. Questi anni sono importanti come gli anni ’80, per la trasformazione. Anche perché le innovazioni tecnologi – che sono quelle che comportano sempre cambiamenti molto radicali. La tv commerciale era un altro medium rispetto alla tv pubblica e ha cambiato il mercato, ha trasformato anche la tv di servizio pubblico facendole fare i conti con l’audience e con l’impresa. Oggi ci sarebbe lo sviluppo della tv a pagamento, del digitale, la tv satellitare, ci sarebbe modo di innovare, ci sono dei segnali importanti. La tv generalista è sempre più erosa e riesce a diventare centrale solamente quando ha contenuti premium: uno è il calcio e l’altro è l’evento».

Cosa intende per evento?

«L’evento lo coniugo in due modi: l’evento quando diventa la storia in diretta oppure quando un programma riesce a catalizzare il comune sentire».

Quindi l’eccezionalità?

«Esatto».

Torniamo all’innovazione: cosa la frena? Solo la crisi?

«Purtroppo questo mondo delle tv digitali non riesce, non ha le risorse economiche per sviluppare modelli alternativi. C’è una grande disponibilità tecnologica che offre possibilità di personalizzare il palinsesto e cadenzarlo sugli stili di vita, sui consumi ma non ci sono risorse economiche. Anche se qualcosa si muove».

Chi o cosa si muove?

«Real Time, ad esempio. È una tv che corrisponde un po’ a Donna Moderna, usi e consumi per le signore. È un modello interessante. Sono quei manuali che servono ad aiutarti a vivere, la manualistica americana che dice come vestire, cosa mangiare. Qualcosa si muove però è molto poco. Mi spiace, ad esempio, che Sky che era partita con modelli narrativi molto importanti, adesso inizia fare solo i grandi show della tv generalista come XFactor e altri».

Come spiega il cambio?

«Semplice. Per allargare e trovare nuovi clienti non può più lavorare solo sul pubblico competente ma deve strizzare l’occhio alla tv generalista».

Lei con Rai 4 ha conquistato un suo spazio?

«Ho un pubblico giovanile, perché mi sono collocato dentro lo scenario competitivo del digitale e di una tv che non ha mai fatto la Rai. È il pubblico che la Rai non ha mai frequentato».

Rai 4 è appetibile anche per la pubblicità?

«Sì. E le parlo di cifre: ero all’Upa (ndr, Utenti pubblicità associati) e mi hanno detto che Rai 4 sul 2012 potrebbe incassare 30 milioni di euro di pubblicità».

E l’informazione in tv come sta?

«Quello che è interessante è che anche l’informazione risente dell’obbedienza. È lì che traspare. E poi l’editto bulgaro è diventato un piano editoriale. L’editto bulgaro non è la censura, questo è banale: non è solamente no a Luttazzi, Santoro e Biagi in tv. È un piano editoriale: fare inchieste, approfondimento scomodo, è un atto delinquenziale. E da lì sono scattate le scelte dei telegiornali, la scelta dell’infotainment al posto dell’informazione, il talk show dove si mescola la soubrette al politico».

Lei è contrario alla mescolanza?

«La cosa non è il mescolare intrattenimento a informazione perché ci sono dei casi in cui funziona molto bene, pensi a Le Iene e Striscia la notizia, dove si usa il linguaggio dell’intrattenimento per fare informazione vera. No, quello cui mi riferisco è il contrario, mettere insieme alto e basso dove se parli della crisi e metti la soubrette, capisce che è tutto un disastro?».

Un panorama immobile?

«È successo che in questo panorama La7 si sia ritagliata un ruolo facendo una specie di all news generalista. È per questo che ha scelto questa libertà».

La libertà come piano editoriale contro l’obbedienza?

«E questo ha trovato anche un mercato. Tenga presente poi che la crisi economica è stata una svolta e ha fatto sentire ancora più urgente il problema della mancanza di competenza: occorre capire cosa accade. E l’informazione ha bisogno di giornalisti che facciano investigazione».

Oggi che modelli di informazione vede?

«Report della Gabanelli è il più contemporaneo. Programma di investigazione per il cittadino consumatore, è molto legato al net, a questa filosofia che il pubblico vuole sapere. Report è contemporaneo perché è in difesa del cittadino e ha la sua archeologia nel fatto che il politico è un privilegiato che fa i cavoli suoi. E un programma di investigazione che per me starebbe benissimo anche sulla tv commerciale. Investigo e racconto lo spreco. È figlio di quel libro fondamentale non come libro ma come dispositivo di racconto che è La casta di Stella & Rizzo. Poi c’è il filone alla Santoro dove lui fa reagire gli ospiti davanti a un racconto inedito che è il fuori scena, il fuori campo della politica. La fa uscire dal palazzo e la mette davanti al non detto che crea disagio sociale. Dimostra che la politica è inadeguata. È figlio di una narrazione melò e tenga presente che i montaggi dei servizi alla Santoro sono cinematografici. Io metto poi Gianluigi Nuzzi, gli Intoccabili, che per me sta dentro il linguaggio di Report».

Finiamo qua?

«C’è l’Infedele di Lerner, un programma culturale che è la risposta al vuoto del talk, cerca nuovi personaggi, nuove voci, ha capito la crisi del neoliberismo. È chiaro che è molto elitario perché ci vuole molta competenza».

E il talk come genere?

«C’è ma è in crisi».

Per mancanza di protagonisti o per la ripetitività?

«Entrambe le cose. Tutto perché davanti a questa crisi c’è bisogno di protagonisti nuovi. E capaci di spiegare. È fallito il comunismo nel 1989 ma è fallito anche il neoliberismo. La crisi è molto forte. E lo dico da Doctor House, da tecnico: a un certo punto è passato che l’unico modello di economia possibile fosse il neoliberismo. E si è dato come naturale. Il che non è vero. Ci sono altri tipi economie. Non capisco perché Monti, oltre a chiedere ai Giavazzi, non abbia chiamato economisti che non siano i soliti. Perché non chiama Paul Krugman, consulente per l’Ecuador, che ha risolto i problemi dei Paesi latini. Se pensa che il discorso della sinistra per anni è stato noi siamo più neoliberisti di voi, si spiega l’afasia della sinistra».

Come si rivitalizza il talk?

«Cercando nuove strade ma soprattutto nuovi protagonisti. Dei modelli d’informazione il talk è il più ripetitivo ma è anche quello che costa meno e per questo lo fanno tutti».

Da competente di tv, che libro suggerirebbe di leggere alla nuova presidente Rai Anna Tarantola che arriva da Banca d’Italia?

«Un libro molto piccolo, facilissimo».

Non Karl Popper spero?

«No, proprio il contrario. Tutto quello che fa male ti fa bene di Steven Johnson: è un libro che spiega come oggi quello che sembra nefasto nei media è invece importantissimo. Un libro che la Tarantola può leggere così si aggiorna un po’ perché ho paura che lei pensi che la tv di servizio pubblico sia ancora quella degli anni ’50. Oggi la funzione del servizio pubblico non è più quella pedagogica di alfabetizzare gli italiani ma è quella di sviluppare l’intelligenza. E credo che l’intelligenza si sviluppi con certi programmi che potrebbero essere per lei deleteri piuttosto che con Rai Educational. Era il tema del mio piano editoriale che volevo presentare a Mario Monti».

Non gliel’ha presentato?

«Non mi ha chiamato».

Chi vedrebbe al Tg1?

«Non ve lo dico perché sennò lo rovino».

Del ritorno in campo di Berlusconi che dice?

«Quello che posso dire è che lui non farà il grillino. In verità lui ha un riferimento importante che è il Tea Party, contro le tasse. Lui si ispira a quello. Vuole trasformare l’antipolitica che è forte nel Paese, in un movimento di destra lavorando sul quasi 40% di indecisi. E su questo lavora con le parole d’ordine del Tea Party e una connotazione italiana: siccome è figlio della tv generalista vuole presentarsi come il salvatore della Patria».

Ma il pubblico è pronto a credere a questo racconto?

«Bella domanda. C’è il rischio che siamo a Rambo IV. È come Stallone quando rifà lo stesso film. Me lo ricorda molto. Però io da tecnico le ho spiegato il meccanismo di questo ritorno in campo. Come la casta ha generato Report, non dimentichi che il movimento Tea party in Usa ha cambiato radicalmente il modo di fare tv, pensi soltanto a FoxNews».

Berlusconi Rambo IV. E Monti?

«Monti è il commissario europeo. Continua a fare quello che faceva prima».