Pubblicato il 05/06/2012, 10:28 | Scritto da La Redazione

TRE MILIONI DI MULTA PER “AGRODOLCE”, MA LA RAI NON VUOLE PAGARE

TRE MILIONI DI MULTA PER “AGRODOLCE”, MA LA RAI NON VUOLE PAGARE
La soap, girata in Sicilia e sospesa, torna a far discutere. Secondo il quotidiano Libero, i vertici di Viale Mazzini non sono intenzionati a pagare la multa inflittagli dal tribunale di Roma.   Libero, pagina 18, di Gianmaria Vaglie Tre milioni di multa per una soap – l’Agrodolce naufragio della Rai   Viale Mazzini non vuole pagare […]

La soap, girata in Sicilia e sospesa, torna a far discutere. Secondo il quotidiano Libero, i vertici di Viale Mazzini non sono intenzionati a pagare la multa inflittagli dal tribunale di Roma.

 

Libero, pagina 18, di Gianmaria Vaglie

Tre milioni di multa per una soap – l’Agrodolce naufragio della Rai

 

Viale Mazzini non vuole pagare la contravvenzione per la telenovela flop voluta da Minoli che chiude i battenti con uno strascico di polemiche e mille disoccupati

 

Più che Agrodolce, titolo di una soap girata in Sicilia e poi inopinatamente sospesa con gran spreco di denaro pubblico e posti di lavoro perduti, è una pillola amara quella recapitata al settimo piano di viale Mazzini, destinatari il presidente Garimberti e i consiglieri d’amministrazione (ma non il dg Lorenza Lei). Il mittente è Luca Josi, presidente della società di produzione Einstein. Amara perché l’incubo di una causa milionaria con responsabilità individuale e dunque esborso personale di molti quattrini, se non di peggio, come già accadde per il caso Meocci, non sarebbe scongiurato con la fine del mandato, e anche perché qualcuno dei componenti del consiglio il mandato spera di vederselo rinnovare e vorrebbe evitare di finire nei guai per colpa delle decisioni della Lei, prese e mantenute nonostante una sentenza di condanna. Tanto più che tra i protagonisti della brutta storia c’è Giovanni Minoli, che il dg in uscita, ma attaccatissima alla poltrona, ha fino a ieri promosso senza successo per un talk show di prima serata. Che c’è scritto nella lettera? Che un giudice del tribunale di Roma dieci giorni fa ha condannato la Rai a corrispondere a Einstein Fiction l’importo di euro 3.800.000 più Iva, a titolo di pagamento di fatture emesse per puntate di Agrodolce già realizzate e consegnate a Viale Mazzini; ha determinato la natura dell’opera quale soap opera; ha stabilito che la corresponsione del predetto importo «può concretamente risultare idonea a salvaguardare le esigenze prospettate dalla ricorrente al fine di procedere alla ripresa della realizzazione delle puntate della serie»; ha definito il contenuto delle obbligazioni delle parti rispetto al prezzo. In particolare, fermo che il prezzo dell’appalto è bloccato, il tribunale di Roma ha stabilito espressamente che la Rai dovrà dare attuazione al contratto «secondo correttezza e buona fede». Ne consegue che la Rai sarà obbligata a non impartire a Einstein Fiction direttive di natura artistico-produttiva che comportino il sistematico e significativo sforamento del preventivo, accettato da entrambi i contraenti, sulla base del quale è stato determinato e pattuito detto prezzo.

E la Rai che fa? Una grande azienda pubblica se ne infischia della sentenza e fa sapere a Einstein che non ritiene di assoggettarsi alle ordinanze ed alle sentenze dei tribunali della Repubblica. Sono stati proprio i legali della Rai, è scritto nella lettera che brucia nelle mani di più di un consigliere, a dire a quelli di Einstein che non saranno pagate fatture emesse 19 mesi fa, né sarà accolto l’invito del Tribunale di Roma a riavviare la produzione di Agrodolce alle condizioni dettate dal giudice. Per capirci, se un giudice ordina il reintegro di Michele Santoro e fissa anche ora e canale del programma, la Rai si affretta a eseguire, ma se l’ingiunzione riguarda un debito, unatrasmissione sospesa, decine di milioni di euro della regione Sicilia buttati, e centinaia di posti di lavoro perduti, allora il direttore generale fa spallucce e manda tranquillamente al fallimento un’azienda privata creditrice. Il risultato? Che i soldi da pagare aumenteranno con le condanne, e che i gabbati saranno i soliti cittadini che alla Rai pagano il canone. La vicenda è intricata ma merita una breve ricostruzione. Agrodolce ricorda una soap opera andata in onda su Rai tre ormai tre anni fa. Siamo in Sicilia, Giovanni Minoli, orfano della soap opera Un posto al sole vuole bissarne il successo. Chiama una delle più grandi società del mercato italiano, la Einstein, che in quel momento è diretta proprio dal genio australiano che realizzò la soap opera napoletana. A co-finanziare il progetto, per oltre il sessanta per cento, sarà la regione siciliana con oltre 37 milioni di euro in tre anni. I
rapporti tra il produttore Einstein, Luca Josi, e l’editore Rai, Giovanni Minoli, si deteriorano presto. Il produttore denuncia vicende brutte legate a location, a frequentazioni mafiose, imposizioni di assunzioni familiari, intrighi boccacceschi e qualche confusione nella percezione di fondi pubblici, nel senso che la Rai avrebbe rivenduto alla regione Sicilia lavori realizzati da altri ricavandone però finanziamenti per sé. Ma su queste accuse sono in corso inchieste penali, il cui esito è tutto da vedere. La parte produttiva però non è in dubbio, l’ha sancita il giudice. C’è anche un bisticcio nominale tra Josi e Minoli che nasconde molta sostanza. Il primo dice di essere stato contattato per fare una soap opera, il secondo, parla di un «romanzo popolare». Nella differenza nominale ballano milioni di euro anche perché la seconda definizione non ha precedenti produttivi e quindi può contenere tutto e il suo contrario. Il produttore viene così trascinato in una voragine di richieste che lo portano a perdere quasi tre milioni di euro per la prima serie, poi il progetto viene, inspiegabilmente, fermato per quasi due anni lasciando la gigantesca macchina in stand by, così da perdere altri sei milioni di euro. Quindi si riparte e ancora una volta le pretese dell’editore fanno esplodere i costi. Il produttore si ferma a marzo 2011. Prima prova ad affrontare il contenzioso con Rai, poi decide di imbarcarsi nelle denunce civili e penali. Tutti i suoi contratti vengo no rescissi, per esempio la popolare trasmissione musicale Top ofThe Pops. A ottobre 2011 chiede un provvedimento d’urgenza per veder riconosciuti i suoi diritti. La Rai allora manifesta disponibilità a trattare ma non va oltre. Il 16 maggio scorso il giudice De Petra del tribunale di Roma condanna la Rai. Ma perché si è arrivati a questo? Mistero. In effetti è difficile comprendere come sia possibile che un’azienda privata, che ha investito milioni di euro per costruire studi televisivi sulla garanzia di un contratto pluriennale, venga condotta al fallimento dalla principale azienda pubblica culturale italiana, in contrasto con le sentenze della magistratura. Ma ancora più singolare risulta che Rai rinunci, in questi tempi di crisi e tagli, a 25 milioni di euro di finanziamenti già stanziati dalla regione Sicilia, soprattutto se si pensa che tutto questo avviene a Termini Imerese, nel posto peggiore della disoccupazione europea, e che la soap opera dava lavoro a 300 giovani sotto i 35 anni, la metà dei quali donne, e a 700 persone nell’indotto. Tra denunce civili e penali che si accavallano, si segnalano le strane affermazioni in un’intervista a Il Fatto del più stretto collaboratore di Minoli, Ruggero Miti, che sostiene «che quando le produzioni vanno in Sicilia, devi sottostare alle regole legate alle tradizioni dell’isola: non puoi sceglierti liberamente le comparse che vuoi tu, c’è qualcuno che te le porta» e che «ho chiamato Josi e lui mi fatto una scenata incredibile, dicendo che lui rapporti con mafiosi non li voleva avere, mai e poi mai». E La Rai della Piovra, di Montalbano piccolo e adulto, del codice etico, che dice? Niente.