Pubblicato il 02/06/2012, 13:04 | Scritto da La Redazione

PIERLUIGI DIACO: «NON È TEMPO DI BILANCI»

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Il giornalista, conduttore radiofonico e opinionista televisivo festeggia i 20 anni di carriera e racconta a TVZOOM alcuni progetti per il futuro.

Inizio l’intervista forte di una consapevolezza: Pierluigi Diaco non vuole parlar troppo del suo privato, del suo essere Diaco sempre e comunque, anche al di fuori dello schermo televisivo o del contenitore radiofonico. Eppur il privato esiste solo nel pubblico, esiste solo nella misura in cui può essere violato possedendone l’essenza, come una abile moglie fedifraga possiede l’essenza del marito ignaro, nonostante o grazie a un tradimento perpetrato a suo discapito. Parlare con Diaco della sua professione è dunque il metodo migliore per conoscerlo a tutto tondo. Soprattutto in occasione dei suoi 20 anni di carriera tra radio, tv e giornali. E lui, amato da molti, odiato da alcuni, ne ha solo 35.

Pierluigi, dopo 20 anni di carriera è tempo di bilanci?
«Ma no, non si fanno mai bilanci. A me non piace farli, sono ancorato al presente. In questi anni posso dire però di essere cresciuto, di essermi innamorato di alcuni miei errori, di aver imparato ad ascoltare le storie degli altri».
Diaco, di errori, ne ha commessi tanti?
«Un errore decisivo c’è: ho trascurato la parte sentimentale, umana del mio essere per soddisfare l’ambizione. Il mio carattere si è forgiato soprattutto grazie allo sviluppo della mia professione».
Il tuo carattere si è forgiato grazie alla radio?
«Fare radio è come fare un’intensa seduta psicanalitica».
A te stesso o agli altri?
«Entrambe le cose. Però ascoltare le storie degli altri è essenziale. C’è una grande rivoluzione culturale in atto nel nostro Paese. Anziché concentrarmi sui dibattiti istituzionali, mi piace cercare la dimensione narrativa delle cose, ascoltare e capire».
Che tipo di rivoluzione è in atto?
«C’è una grande disillusione nei confronti dello Stato e della politica, come si sa. Questo influisce nel direzionare l’attenzione della gente. C’è meno senso di appartenenza collettiva e più individualismo, più ricerca di una realizzazione personale. In passato i cittadini erano abituati solo a puntare il dito contro qualcuno o qualcosa ritenuto responsabile del loro vivere, anche quando erano compartecipi di una situazione contingente. Oggi l’individuo, in gran parte sfiduciato, vuole essere padrone delle proprie scelte, artigiano della propria esistenza. In qualche modo, vuole definire la tempra del suo essere».
Si tratta di un cambiamento positivo o negativo?
«Le rivoluzioni non sono mai solo positive o solo negative. Però il maggiore individualismo è il collante grazie al quale si possono raccontare nuove storie. Definendole in un contenitore. Radio o tv».
Se oggi sei in grado di definire queste storie in un contenitore lo devi a qualcuno in particolare?
«Ho avuto grandi maestri».
Qualche nome?
«Sandro Curzi, Giuliano Ferrara, Irene Ghergo, Lorenzo Suraci di RTL 102.5».
Diamo una descrizione a ciascuno di loro…
«Curzi mi ha insegnato molto dal punto di vista della scrittura. Era un animo colto e curioso. Ferrara è sofisticato, una penna raffinata e un’anima coraggiosa, che sa quando essere impopolare. Irene Gergo è “La Madonna dei Monti Parioli”. La mia migliore amica. A Lorenzo Suraci di RTL 102.5 devo molta della mia preparazione radiofonica. Lui è un eccezionale talent-scout. Mi ha insegnato a dire dei “no”, mi ha dato una formazione versatile, spiegandomi come sviluppare il linguaggio radio a tutto tondo, evitando di essere troppo settoriale».
La domanda sorge spontanea, direbbe qualcuno: a te piace di più fare radio o tv?
«Questa è una domanda classica. Sai che cosa ti rispondo? Non vedo grande differenza, al di là della forma. Si tratta solo di mezzi, lo scopo è lo stesso. Certo, la radio ti consente un’interazione che la tv non ha perché è soggetta a un maggior lavoro autorale. In tv si vive meno l’imprevisto. In radio non sei costretto a pensare di anno in anno a cosa fare, perché vivi di fidelizzazione con chi ti ascolta».
Tu vivi di fidelizzazione con RTL 102.5. Mai pensato di cambiare?
«Ho avuto molte offerte da altre emittenti, ma professionalità significa anche rimanere fedeli a chi ti ha lanciato».
In tv, invece, si è costretti a muoversi di più. C’è qualcosa che vorresti fare e che non hai ancora fatto?
«Un programma che sto scrivendo con Irene Ghergo. Un progetto chiamato Signora mia. Già il titolo dice tutto. Una sorta di giornale, di approfondimento d’attualità con un’ottica femminile. Attenzione: non si propone di parlare del mondo delle donne, come un qualsiasi contenitore già esistente. Lo scopo è guardare il mondo in generale con l’occhio delle donne. È diverso».
Discorsi sulle quote rosa e la meritocrazia mancata?
«Certo che no, quella è una questione patetica. Le donne sono grandi ammortizzatori sociali, ma la questione uomo-donna nei centri di potere, francamente, è superata da tempo. Facciamo qualche nome: la Camusso in CGIL, la Annunziata in Rai, Bianca Berlinguer al TG3, Letizia Moratti… tutte donne brave che ricoprono posti importanti. L’abilità non è definita dal sesso».
Si dice che nella tv di oggi, una certa abilità di un tempo, sia latitante: di fronte alla rivoluzione digitale, non tutti le reti reggono il passo. A te, la tv così com’è, piace?
«La tv dovrebbe avvicinarsi di più all’arte contemporanea. Da dieci anni a questa parte, l’evento che ha saputo coinvolgere maggiormente gli spettatori, catalizzando l’attenzione, è stato il dramma dell’11 settembre 2001, per l’altissimo impatto. Questo per dire che la televisione deve ritrovare forza narrativa, anche nel raccontare la vita quotidiana».
Un esempio?
«La vita in diretta. Daniel Toaff ha dimostrato grande intuito puntando a raccontare le storie della gente, puntando a una dimensione narrativa, magari non sempre aderente con la verità. Ma il racconto televisivo non deve sempre essere verità».
Anch’io ora voglio la verità: hai mai avuto un piano “B”, per le occasioni in cui sei stato tentato di mollare tutto?
«Mai. Ho iniziato a fare questo mestiere a 15 anni. Oggi ne ho 35».
Però ti sarai pure pentito di qualche tua scelta!
«Ah, certo. È capitato».
E…?
«Non ci ho dato molto peso. Ho la fortuna di essere un animo leggero. Le mie scelte sono dettate più dall’istinto che dalla ragione, fino a oggi. Se il pentimento arriva, al massimo dura pochi minuti».
A istinto, hai già fatto delle scelte professionali per la prossima stagione?
«Le novità non si dicono. Le novità si ricordano».
 
Gabriele Gambini
 
(Nella foto, Pierluigi Diaco)