Pubblicato il 05/01/2012, 09:36 | Scritto da La Redazione

RASSEGNA STAMPA: LA FENECH TORNA A RECITARE. E POI LE NOVITÀ SUL BEAUTY CONTEST

RASSEGNA STAMPA: LA FENECH TORNA A RECITARE. E POI LE NOVITÀ SUL BEAUTY CONTEST
L’attrice-produttrice francese nei panni di Caterina II di Russia su Rai Uno il 9 e 10 gennaio. Un articolo de “Il Sole 24 ore” spiega le novità sull’assegnazione delle frequenze tv. Corriere della sera, pagina 37, di Emilia Costantini Fenech e i set anni ‘70: quei film una sofferenza «Umiliata ma ero una ragazza madre […]

L’attrice-produttrice francese nei panni di Caterina II di Russia su Rai Uno il 9 e 10 gennaio. Un articolo de “Il Sole 24 ore” spiega le novità sull’assegnazione delle frequenze tv.

Corriere della sera, pagina 37, di Emilia Costantini

Fenech e i set anni ‘70: quei film una sofferenza

«Umiliata ma ero una ragazza madre e dovevo lavorare»

ROMA – È abituata da anni a stare nelle retrovie, per far quadrare i conti come produttrice. Stavolta si rimette in gioco in prima persona, in un ruolo non da protagonista, però molto significativo. Edwige Fenech torna a recitare ne «La figlia del capitano», nei panni della zarina Caterina II di Russia. La miniserie in due puntate, coprodotta da Hai Fiction e da Immagine e Cinema della stessa Fenech, va in, onda su Raiuno il 9 e 10 gennaio con Vanessa Hessler e Primo Reggiani protagonisti, per la regia di Giacomo Campiotti.

A parte un carneo, cinque anni fa, nel film di Quentin Tarantino «Hostel: Part II», è la prima volta che esce dall'ombra. Perché?

«Tante volte mi è stato suggerito, ma non volevo tornare sullo schermo come attrice. Quando ho letto la sceneggiatura di questo progetto, non pensavo di esserne un'interprete, ma quando mi sono imbattuta nel personaggio dell'imperatrice, mi sono detta: vorrei proprio farlo. Sarà per vanità? Mi sono fatta un regalo».

La storia è ispirata al celebre romanzo di Puskin: sullo sfondo delle sommosse di cosacchi e contadini nella Russia del Settecento, l'amore contrastato tra la giovane Mascia e il bell'ufficiale degli ussari Pjotr. E la zarina?

«Era mia donna eccezionale nel bene e nel male, crudele e spietata coni nemici».

Lei, però, ha iniziato la sua carriera di produttrice vent'anni fa, essendo anche la protagonista delle sue fiction.

«Sì, ma poi ho fatto largo ai giovani. Vanessa Hessler la conosco da quando aveva 15 anni, ha debuttato con me… così ho fatto con altre attrici. Io preferisco stare dietro le quinte. Perché dovete credermi: sono afflitta da una timidezza che rasenta quasi la psicosi. Non amo apparire, ho fatto tanto cinema, eppure non mi sono mai sentita una diva. Il mio vero problema è che non mi sono mai presa sul serio».

Eppure non ha mai rinnegato i suoi trascorsi di attrice.

«Ci sono film che non rifarei – è sincera – ma è troppo facile dire oggi quello che non avrei dovuto fare allora. Avevo seri problemi, ero una cosiddetta ragazza madre, dovevo portare avanti la famiglia, mio figlio Edwin di cui sono orgogliosa. Mi dicevano: se continui a fare film di serie C, non ti chiameranno mai per fare quelli di serie A. Invece, mi hanno chiamato attori come Tognazzi, Sordi… ho lavorato con attrici come la Vitti, che per me erano dei miti. Per non parlare del teatro, dove ho lavorato con autori come Giuseppe Patroni Griffi».

La cosa più cattiva che le hanno detto?

«Quando rimasi incinta, mi fecero capire che non ci sarebbe stato avvenire per me, né per mio figlio. E poi certe battute mi facevano male dentro: quando sentivo chiamarmi "quel gran pezzo…" oppure "Giovannona coscia lunga" avvampavo. I titoli non li sceglievo mica io, ma ne venivo come marchiata a fuoco e non era piacevole: un karma da scontare. Adesso me ne infischio».

Per questo ha deciso di passare dall'altra parte della barricata?

«Dopo tanta gavetta, un'evoluzione naturale della mia carriera».

Un mestiere più maschile che femminile, quello del produttore.

«Per noi donne è tutto più difficile, ma non credo che per gli uomini sia più facile. È un continuo combattimento di boxe».

Contro chi combatte?

«Con i conti prima di tutto, per far quadrare il budget, e con chi non mantiene la parola, con il menefreghismo, la mancanza di rispetto».

A chi allude?

«A certi registi che fanno sballare i tempi di riprese. Di solito si dice che gli attori siano capricciosi, invece no. Ho avuto attori del calibro di Al Pacino (nel film «Mercante di Venezia» ndr): un grande professionista. Aspettava ore e ore sul set senza battere ciglio, anche quando non era il suo ciak, non guardava mai l'orologio ed era sempre l'ultimo ad andarsene».

Adesso, poi, con la crisi, far quadrare i conti è più complicato.

«Come si dice qui in Italia? Fare le nozze coi fichi secchi. È quello che cerco di fare sempre, non è una novità».

Più soddisfazione a produrre cinema o fiction?

«È una differenza che si fa solo qui in Italia. In America, grandi attori o registi da Oscar fanno l'uno e l'altra indifferentemente. E come produttore, l'ansia è identica».

Il teatro lo ha definitivamente archiviato?

«Una scuola eccezionale, soprattutto per la mia timidezza: a ogni replica, dimagrivo. Ma è una vita da zingari, sempre in giro, nei posti più impensati. E poi fai tardi la sera, mangi male nei ristoranti… io adoro svegliarmi presto la mattina, mangiare sano… ».

È per questo che, sex symbol degli anni Settanta, si mantiene così bene?

«Per favore basta con questo sex symbol: ho fatto di tutto per allontanarmi da quell'immagine, che mi rappresentava solo per ciò che apparivo e non per quello che ero».

L'età che passa non la spaventa?

«Non sono rifatta. Non ho nulla contro la chirurgia plastica, per chi ne sente psicologicamente il bisogno. Ma certo non mi piacciono gli abusi: certe bocche a canotto o gli zigomi come palle da ping pong, sono un orrore. Per quanto mi riguarda ho una fortuna».

Quale?

«Sono nata il 24 dicembre, una data in cui si festeggia un evento ben più importante, che ha sempre messo in secondo piano il mio compleanno. Così, quando arriva quella data fatidica, posso dire: che bello… domani è Natale!».

 

Il Sole 24 ore, pagina 26, Marco Mele

Frequenze, arriva lo stop alla cessione

Secondo il ministero dello Sviluppo

ROMA – Il trasferimento dei diritti d'uso delle frequenze è vietato se il diritto a utilizzarle è stato ottenuto inizialmente a titolo gratuito. È una della maggiori novità contenute nell'emendamento al Codice delle comunicazioni elettroniche messo a punto dal ministero per lo Sviluppo. Obiettivo: recepire in Italia – in ritardo rispetto al termine del 25 maggio 2011 – due direttive europee del 2009, la 136 e la 140. Quest'ultima dà la possibilità agli Stati membri d'introdurre il divieto di trading per le frequenze date in uso gratuitamente. Il testo è stato sottoposto, con una prassi non usuale, a una consultazione pubblica che si è chiusa il 28 dicembre, alla chetichella o quasi.

L'articolo14-ter sul «trasferimento o sull'affitto di diritti individuali d'uso delle Radiofrequenze» contiene la non applicabilità della norma nel caso in cui i diritti individuali d'uso delle frequenze (che sono e restano, nelle direttive Ue, un patrimonio pubblico, ndr) siano stati ottenuti a titolo gratuito. Il testo dovrà ora essere trasferito all'interno della legge Comunitaria o diventare un decreto legislativo che dovrà ricevere il parere delle commissioni parlamentari competenti. Si può ancora cambiare, insomma, e qualche fonte ministeriale ha spiegato che potrebbe non applicarsi alle televisioni. Queste ultime non sono convinte di tale interpretazione. Tanto che l'associazione Aeranti-Corallo, partecipando alla consultazione, chiede la rimozione ditale norma perché, una volta approvata in via definitiva, «tutti i soggetti locali e nazionali che hanno ottenuto o otterranno il rilascio di diritti d'uso delle frequenze per la tv digitale terrestre in sede di transizione dall'analogico (essendo tale rilascio a titolo gratuito) non potranno trasferire o affittare tale diritto d'uso». Per Aeranti-Corallo si introdurrebbe un principio mai applicato in Italia sia per la tv analogica sia per quella digitale, tra l'altro «ostacolando un processo di razionalizzazione del settore, attraverso accorpamenti».

Il testo del Ministero assesta un colpo di maglio alla procedura del beauty contest, ovvero all'assegnazione gratuita di sei frequenze televisive nazionali. Il divieto si applicherebbe a tutte le altre 34 frequenze ottenute dalle emittenti tv come "eredità analogica". Il nuovo quadro regolamentare europeo prevede un uso flessibile e neutrale dello spettro, senza esclusive o vincoli a favore dì un servizio o dì una tecnologia: non dovranno più esistere frequenze per la tv e frequenze "per i cellulari".

La nuova norma sembra dar ragione a chi chiede un'asta competitiva anche per le frequenze tv. Un'assegnazione «non gratuita» che consentirebbe un successivo trading. Tesi che deve fare i conti con un assetto del sistema televisivo verticalmente integrato e a elevata concentrazione, a scapito dei soggetti deboli e dei nuovi entranti. In caso di annullamento 'del beauty contest bisognerà spiegare alla Commissione in che modo l'Italia intende permettere ai nuovi entranti e a chi ne ha diritto, di avere accesso alle frequenze. Proprio da questa impossibilità si è aperta la procedura d'infrazione che la Ue non ha chiuso in attesa di capire gli esiti del "concorso di bellezza".