Pubblicato il 01/07/2015, 17:36 | Scritto da Gabriele Gambini

L’attore Jack Maxwell: “Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei”

L’attore Jack Maxwell: “Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei”
Attore in "24" e in "Lost", arriva su Fine Living (canale 49 del DTT) con "Un mondo da bere", format in cui concilia il gusto per l'avventura con l'osservazione delle società, a tutte le latitudini geografiche, filtrate attraverso i bicchieri dei drink conviviali.

Un viaggio lunghissimo. Dalla Mongolia alla Turchia, passando per l’Italia, il Giappone e il Perù. Raccontato attraverso il rito conviviale dei drink – rigorosamente alcolici – cartina di tornasole per conoscere vizi e virtù di una società. E per scoprire che “Dopo un paio di bicchieri,  l’uomo è uguale a ogni latitudine. Noi umani abbiamo in comune molto più di quanto le differenze culturali vogliano farci credere”.
Benvenuti in Un mondo da bere (Fine Living, da lunedì 6 luglio alle 22). Lui è Jack Maxwell, attore in serie quali Lost, 24, 90210. Ma anche avventuriero, grazie a questo format. È passato dall’Italia per registrare una puntata e lo abbiamo incontrato. Cin-cin!, Kampai! Zsdarovye! a tutti i lettori di quest’intervista sorprendente.

Buongiorno, Jack, siamo su TVZoom, vorremmo che presentasse il programma al pubblico italiano e spiegasse di cosa tratta.

Si intitola Un Mondo da Bere ma in America il titolo è Booze Traveler. Andrà in onda su Fine Living, canale 49 del DTT, a partire dal 6 luglio. È elettrizzante per me, perché nel titolo si parla di drink, benché l’argomento non sia tanto il bere in generale quanto che cosa si beve. Si tratta di un’esplorazione, ma anche di un rito, una celebrazione dei luoghi e delle culture del mondo visti attraverso il vetro di un bicchiere da cocktail.

Come è nata l’idea del programma?

Il concept non è mio. Sono state due donne che amano viaggiare non disdegnando il piacere di un buon drink, ad avere l’idea. La società di produzione si chiama White Reindeer Productions. Il programma è poi passato a Travel Channel in America, dove si è aggiunta una società di produzione chiamata Karga7, che segue il programma da allora, con la supervisione di Travel Channel.

Personalmente, conserva ricordi lontani che hanno a che fare col rito conviviale dei drink?

Ho partecipato ai casting nelle mie vesti di attore, ma non posso scordare di essere nato nella parte meridionale di Boston, Massachusetts. Il mio era un quartiere operaio piuttosto povero. Crescendo in una zona di case popolari, avevo l’urgenza di guadagnare qualche soldo, perché vivevo con mia madre, che lavorava per mantenere mia sorella e me. Ricordo quando, il giorno di Natale, che coincide col mio compleanno, chiesi per regalo una scatola da lustrascarpe e iniziai a girovagare nei bar, nei pub e nei locali a lustrare scarpe per guadagnare qualcosa. Ero un ragazzino e rimanevo affascinato nell’ascoltare i fantastici racconti alcolici di viaggi e avventure emozionanti da parte degli avventori. Pensavo: “Wow, un paio di bicchieri non solo cambiano le persone rendendole più aperte, comunicative e simpatiche, ne fanno anche dei narratori”. La trovavo una combinazione elettrizzante: il magico effetto socializzante dell’alcol associato al potere del viaggio. Ora ho la possibilità di fare entrambe le cose e non sarò mai grato abbastanza a Travel Channel e al nostro pubblico.

La combinazione viaggio/rito conviviale dell’aperitivo è l’ingrediente segreto anche dei grandi narratori. Esiste una bevanda che preferisce in assoluto, associata a un’esperienza in particolare?

Ho diverse preferenze in fatto di cibi e bevande, ma, vedi, per me è anzitutto una questione di rapporti umani. I ricordi più intensi che mi restano di questo programma e dei miei viaggi riguardano le persone che ho incontrato. Dopo un paio di bicchieri, ti rendi conto che l’uomo è uguale a ogni latitudine. Abbiamo in comune molto più di quante le differenze culturali ci vogliano far credere. E beviamo tutti per lo stesso motivo: per festeggiare, per socializzare, a volte per un lutto, spesso per distenderci alla fine di una lunga giornata.

Eppure ci sarà un luogo che le è rimasto più impresso di altri.

Effettivamente c’è. Forse penserete che lo dica perché sto parlando a un giornalista italiano, ma non è così. Io amo la Sicilia. Mi fa sentire a casa, tra l’altro ho scoperto di avere dei parenti in quell’isola. Il cognome di mia madre è La Paglia, suo nonno era di Chianni. Un viaggio in Sicilia è una riscoperta delle mie origini. Non c’è cosa più bella di incontrare un parente lontano che ti avvicina e ti dice: “Hey, posso offrirti qualcosa da bere?”. Da lì scatta la conversazione e inizia il rapporto umano.

Un simile rapporto coi drink rimanda alla mente Hemingway e molti scrittori. Perché l’alcol e il bere sono considerati così importanti per la dimensione creativa e artistica della vita, secondo lei?

È una domanda eccezionale e non so se sono in grado di rispondere. Credo che le persone creative siano aperte, nel cuore e nell’anima, e vogliano vivere. Non vogliono essere solo un elemento di arredo in una stanza, esistere in modo passivo. Vogliono vivere davvero fino in fondo. Provare emozioni. Respirare. Amare. Violentare la propria sensibilità. Quando ami, quando vivi, corri anche il rischio di rimanere ferito, di provare dolore, ma è così che funziona. È la vita. Per questo, molti scrittori e artisti hanno confidenza con i buoni drink. Vedi, non tutti beviamo perché siamo poeti o artisti, a volte beviamo soltanto perché non lo siamo ma vorremmo esserlo.

Vero. O a volte perché vogliamo divertirci e dimenticare il rigore formale quotidiano. A proposito di divertimento, è capitato qualcosa di particolare durante le riprese del programma?

Ne vedrete delle belle. Mi sono battuto con i Vichinghi in Islanda, ma i miei avversari hanno preferito combattere in un garage perché fuori faceva troppo freddo.
In Mongolia ho bevuto vodka di latte di cammella, una bevanda stranissima. Ho munto personalmente la cammella, ho riportato il latte nella ger, la tenda in cui vivono i nomadi mongoli. Lo abbiamo distillato per farne della vodka. Poi la nonna, matriarca della famiglia, ha detto che, per mostrare di essere uno di loro ed essere accolto nella loro terra, avrei dovuto berne tre ciotole. L’ho fatto. Da quel momento, mi hanno trattato come un pari.

Ha fatto tappa anche in Italia.

Non sapevo granché del vostro Paese. Pensavo che Italia significasse vino e Amaro Averna. Questo è il bello. Pensi di conosce un posto fondandoti sui luoghi comuni intorno a esso, poi ci vai davvero e scopri una miriade di novità.

Poi è stato in Turchia.

I turchi sono gente chiassosa, passionale, capaci di accoglierti ed entrarti nel cuore. Mi hanno invitato a una partita di calcio. C’era da aspettare nove ore prima della partita, ma già si udivano grida, urla e fuochi d’artificio. Sette ore prima della partita tutti hanno inziato a mangiare. Stava prendendo forma il più grande party di attesa del mondo, o almeno il più grande che io avessi mai visto. Per loro, partecipare era una questione di vita o di morte. Ero sorpreso soprattutto perché il 99 per cento della popolazione è musulmano ma, nonostante questo, i buoni drink facevano parte del loro armamentario conviviale.

C’è una differenza nel vivere l’esperienza del bere tra uomini e donne?

Direi di sì. In molti luoghi del mondo che ho visitato, il bere è una prerogativa maschile. È un modo per socializzare o per riunirsi e discutere di problemi. Certo, esistono zone del mondo in cui le donne non sono discriminate. Questo perché la cultura del bere cambia in base alle aree geografiche ed è lo specchio autentico di una società.

24, Lost, 90210. Se queste serie a cui ha partecipato fossero bevande, che drink sarebbero?

Se Lost fosse un drink, sarebbe un cocktail tropicale. Tante persone diverse su un aeroplano, provenienti dai luoghi più disparati, che si ritrovano assieme su un’isola. Ci vorrebbe un mix di liquori diversi.
24 sarebbe un shot veloce, perché tutto accade rapidamente e in sequenza: tanta azione, quindi boom!, non c’è tempo di sorseggiare un drink, giù un bicchierino, boom!, e via, a salvare il mondo.
90210 è una serie che mi ha divertito moltissimo. I protagonisti erano ragazzi, stavano imparando a vivere. Probabilmente sarebbe della buona birra, perché molti giovani la bevono alle superiori e al college. Potrebbe essere anche un sofisticato bicchiere di vino, in tributo alle signore eleganti di Beverly Hills.

Gabriele Gambini
(Nella foto Jack Maxwell in Africa)