Pubblicato il 19/01/2016, 18:34 | Scritto da Gabriele Gambini
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Filippo Timi: “Il successo del Barlume? È nella sua morbidezza, che non rinuncia alla pungente ironia di provincia”

Una conversazione con Filippo Timi ricorda la contemplazione di un ordigno che, sul punto di esplodere, mira in tutte le direzioni possibili alla ricerca di bersagli nuovi. È sufficiente dare un’occhiata all’incipit di qualsiasi articolo che lo riguardi. Troverete gli aggettivi “eccessivo”, “istrionico”, “poliedrico”. Il fantastico caravanserraglio di qualifiche che certificano lo scarto tra il genio attoriale e la consapevolezza nell’usarlo. Sia quando procede per addizione, come nei suoi spettacoli teatrali, su tutti lo sfarzo pop del Don Giovanni, sia quando prova con la sottrazione, come ne I delitti del Barlume, dove il personaggio del “barrista” Massimo, detective suo malgrado, riesce a incarnare vizi e virtù a cui ogni buon quarantenne vorrebbe tendere. E Timi si gode il successo degli ultimi due film ispirati ai romanzi di Marco Malvaldi: l’ultimo episodio, Azione e Reazione, ha raccolto un totale di 766 mila spettatori medi complessivi su Sky Cinema 1/+1 HD, Sky Cinema Hits HD e Sky On Demand, compresi i clienti Sky che lo hanno visto in anteprima nei giorni precedenti nella sezione “Primissime” di Sky On Demand. Un risultato per la produzione Palomar/SkyCinema che supera del +4% il record stabilito settimana scorsa e del +55% la media degli esordi delle precedenti 5 storie del BarLume.

Da fan dei suoi spettacoli teatrali, ho ben in mente il Don Giovanni e le propongo un raffronto con il Barlume. Sembra abbia lavorato su due direzioni opposte: da un lato l’addizione, dall’altro il basso profilo di Massimo, eroe del quotidiano.

Per forza. Se vogliamo davvero fare un raffronto, da una parte avevamo lo spettacolo teatrale barocco per eccellenza. Ne I delitti del Barlume, invece, c’è un quarantenne che ama follemente le sue indecisioni, che non rinuncia a sentirsi ancora adolescente, a dispetto dell’età. In un contesto d’azione dove 4 simpatici bambini ultrasettantenni alimentano il suo modo di sentire. Aggiungiamoci poi l’eterno equilibrio con le due presunte fidanzate e la risposta è chiara: Massimo gioca con la vita, ma non è un Dongiovanni.

La definiscono spesso “eccessivo”. Non è meglio, riferendosi al suo approccio ai ruoli, istintivo?

Istintivo mi piace moltissimo. Mi rispecchia. Ma ho lavorato spesso sull’eccessivo, nella mia carriera. Penso all’Amleto, o quando ho parlato di handicap con Skianto. Oggi l’eccessivo sta affievolendosi, dando spazio all’istinto.

Ma che cosa significa, per lei, istintivo?

Faccio mia una definizione di Stanislavskij: “Bisogna sapersi fidare di una frase anche quando non la si capisce subito, ma la si trova bella. Prima o poi la si capirà e se ne comprenderà la portata di verità”. Ecco. Provo a fidarmi di quello che sento quando sono in scena, sul palco o davanti a una macchina da presa. E quando scelgo i ruoli da interpretare. Mi metto in gioco.

Con I Delitti del Barlume si è messo in gioco e il riscontro è arrivato.

Siamo migliorati sempre di più, come riscontri. Sono felicissimo.

Perché ha incontrato il gusto del pubblico, secondo lei?

Perché nelle storie del Barlume c’è qualcosa di molto morbido. Non si tende mai all’estremo, gli angoli sono smussati. Tutto rispecchia, se me lo concedete, una sorta di ordine “umanoide” da cui partono i racconti: c’è l’elemento detection, c’è un sano umorismo di provincia, di quelli che si permettono anche di cacare fuori dal vaso, ma senza volgarità. Per me si tratta di una conquista. Col Barlume ho imparato a essere ragionevole nel gioco attoriale.

E c’è anche l’amore, visto che il “suo” Massimo, ormai quarantenne, da un po’ di tempo nelle storie del Barlume ha fatto divampare l’ormone nei confronti delle due pretendenti.

Quello è il lato che più rispecchia la vita reale. Che cosa sono gli amori, le passioni? Tutto o niente. Possono essere qualcosa di molto fisico, oppure una semplice proiezione di fantasia. Però sono sempre qualcosa per cui vale la pena vivere. Quando tocchi quelle sfere, senti che puoi diventare protagonista della tua esistenza. Il pubblico coglie ciò e scatta un felice meccanismo di identificazione.

Filippo Timi fa a sua volta parte di un pubblico televisivo? Tradotto: guarda la tv?

Certo. In questo periodo sto impazzendo con alcune serie tv: American Horror Story, House of Cards, Scandal. Narcos, che trovo bellissimo. C’è un incremento della portata narrativa delle serie di oggi e lo trovo un fatto positivo.

Quindi chi dice che la serie tv ha l’appalto del racconto della contemporaneità non ha poi così torto.

Il cinema è una forma d’arte compiuta quando si sforza non solo di attirare pubblico, ma di aver qualcosa da dire con orizzonti progettuali precisi. Ma anche una bella serie riesce a fare questo, diventando una forma d’arte, svolgendo appieno il suo compito.

Che cosa le riserva il suo di compito, nell’immediato futuro?

In questo periodo sono stato completamente fagocitato dalle prove di Casa di Bambola, dal 28 gennaio al 24 febbraio al Teatro Franco Parenti di Milano. Una sfida pazzesca, riuscire a rielaborare con efficacia il testo di Ibsen.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Filippo Timi)