Pubblicato il 30/01/2013, 15:03 | Scritto da La Redazione

STORIA DELL’INTERVISTA TV ALL’ITALIANA: DALL’ATTACCO ALLA GIUGULARE ALLA CALATA DEI PANTALONI

 

Il nostro blogger-verificatore ripercorre la storia delle interviste tv, come si sono evolute, o involute, nel corso dei decenni. Come sempre con l’ausilio di video davvero sorprendenti per il gioco della memoria.

Il primo a sospettare che l’intervista fosse una specie di furto è stato Leo Longanesi, il quale la definì «un articolo rubato». Il re degli aforisti italici, a pari merito con Ennio Flaiano, si riferiva però alle interviste della carta stampata, non potendo nemmeno immaginare che un giorno l’intervista sarebbe diventata uno dei principali artifici di quella televisione che ancora oggi si trascina avanti con il format «tre camere-intervistato-intervistatore», per massimizzare ascolti e spendere poco. Oltre a questi due indubbi vantaggi, ce n’è anche un terzo: promuovere a pseudo-giornalista la o lo sgallettato di turno, che vorrebbe crescere in autorevolezza, porgendo il microfono al politico o, peggio ancora, alla vittima di disgrazie.

I reucci e le reginette di questo sottogenere sono a frotte, ecco perché è interessante invece fare un po’ di pulizia, ripercorrendo la storia di chi l’arte dell’intervista l’ha promossa, diffusa e portata alle estreme conseguenze. È importante non confondere l’intervista intima a tu per tu con quella pollaio da talk show. La prima si distingue perché a essere inquadrati sono solamente il giornalista e l’intervistato, la seconda è solo chiasso indistinto. Il primo a dettare le regole dell’intervista seria è stato Sergio Zavoli, con Nascita di una Dittatura, format poi riproposto con i titoli di La Notte della Repubblica negli ’80 e Nostra Padrona Televisione nei ‘90. L’uso del primo e primissimo piano, le telecamere a vista, le parole rotte da lunghissime pause e silenzi carichi di emotività: sono alcuni degli strumenti di Zavoli, sapientemente usati per arrivare all’anima (o giugulare) dei terroristi e fascisti pentiti (guarda il video).
Non all’anima, ma più modestamente a un brandello di verità, ha puntato l’altro maestro dell’intervista italiana: Maurizio Costanzo. Le sue interviste a Bontà loro, Acquario e Grand’Italia possono essere considerate sedute di autoanalisi e la sua immagine di uomo medio gli è stata sicuramente d’aiuto nel mettere a proprio agio sia i personaggi celebri che le persone normali. Resteranno giustamente grandi momenti di spettacolo – e il giornalismo televisivo non è che una forma di spettacolo – le sue domande impertinenti a Tina Anselmi sulla decisione di restare zitella, e a Giulio Andreotti sul luogo dove ha dichiarato la promessa di matrimonio (guarda il video). E ancora Alberto Sordi in difficoltà per la domande sulle tasse, Raimondo Vianello, campione di autoironia, che parla della sua lotta al tumore e gli sguardi truci del pretore Salmeri al cospetto di Cicciolina. Grand’Italia, il suo ultimo talk show targato Rai, si chiude idealmente con la tortata che gli rimediò l’allora duchessa Marina Lante della Rovere davanti a un marpione della tv quale Marco Pannella anticipando la televisione-champagne dei berlusconiani anni Ottanta.

La conversazione con uso di spettacolo del portatore sano di Collofit si evolverà infatti qualche anno dopo nel format che porta il suo nome, Maurizio Costanzo Show, e per venticinque lunghi anni il Teatro Parioli di Roma sarà il teatrone-teatrino privilegiato dove mettere in scena i vizi italici: da Carmelo Bene, che invoca la morte del Presidente della Repubblica, a Vittorio Sgarbi, che pronuncia per la prima volta la parola «stronza» in televisione, da Bertinotti, che ritira la fiducia al governo Prodi, alle campagne contro la mafia in tandem con Michele Santoro.

Parallelamente a Costanzo, c’è un altro anchorman negli anni ’80 che lancia un nuovo stile. È Giovanni Minoli che poco più che trentenne inventa Mixer, rotocalco di attualità e spettacolo, ma anche prima scuola di giornalismo investigativo televisivo in cui si faranno le ossa molti volti noti futuri, a cominciare da Milena Gabanelli. La rubrica più famosa di Mixer è il faccia a faccia, nel quale il giornalista nato a Torino usa un approccio apparentemente freddo – in molti direbbero anglosassone – per processare a ritmo serrato con 100-domande-100 in 30 minuti i suoi potenti interlocutori del capitalismo e della politica italiana. L’uso innovativo del chroma key permette di arrivare a quelle verità che spesso le risposte nascondono, perché la microfisiognomica del volto umano permette senza pietà a un buon osservatore di capire se Gianni Agnelli, Bettino Craxi, Eugenio Scalfari, Enrico Berlinguer, Silvio Berlusconi ci sono o ci fanno quando parlano (guarda il video).

Di questo approccio ne farà una strepitosa parodia Corrado Guzzanti nella prima edizione di Avanzi. In questo video, il comico intervista un tacchino condannato a morte nello stile dei newsmagazine americani tv, gli stessi che saranno qualche anno dopo oggetto di critica feroce da parte di Oliver Stone nel suo film controverso Assassini nati.

Tra Zavoli, Costanzo e Minoli l’altra colonna della domanda one-to-one declinata però con finto candore è Enzo Biagi, superstar macina-rubriche su tv e carta stampata per oltre 30 anni. Presente sin dagli anni Sessanta con RT poi diventato Tv7, il curiale Biagi ha esercitato il suo mestiere con grande serietà, eleganza e professionalità ritagliandosi il ruolo di vecchio saggio del giornalismo televisivo italiano con il vizio della citazione e qualche volta della domanda scomoda (guarda il video).

Gli anni ’80 sono anche quelli della contaminazione tra i generi e se poteva fare impressione vedere Andreotti da Costanzo nei ’70, è già routine vedere Zio Giulio nei salotti di Baudo, Carrà e persino da Bongiorno in casa Fininvest (guarda il video). I politici non DC preferiranno andare da Gianni Minà sulla seconda rete, progressista e socialista per contratto.

Dopo Tangentopoli l’intervista intima lascia definitivamente il posto all’aggressione verbale dei talk show politico-sportivi e tutto quello che era spettacolo negli anni ’70 e ’80 diventa inevitabilmente trash, per vendere sempre più pubblico agli inserzionisti pubblicitari. I tribuni del piccolo schermo si chiamano Michele Santoro, Gad Lerner, Lucia Annunziata, Giuliano Ferrara, Gianfranco Funari. Sul versante puro intrattenimento si distinguono Piero Chiambretti, per l’approccio disinvolto e fulminante nel Portalettere, Servizi Segreti, TgZero e L’inviato speciale, e Catherine Spaak all’opposto per l’approccio sciampista radical chic di Harem e Pascià.

Gli anni 2000 sono una rimasticatura con altri volti di queste tecniche e quindi associare le espressioni trite e ritrite come “nuovo programma”, “ospiti sottoposti al terzo grado”, “stile irriverente” a Fabio Fazio (Che tempo che fa), Daria Bignardi (Tempi moderni e Le invasione Barbariche), Antonello Piroso (Niente di personale) e Fabio Volo (Il volo della notte) suona francamente eccessivo. Dal mucchio salta fuori per la bravura nell’immortalare davanti alle telecamere l’imbarazzante deriva antropologica dell’homo italicus Enrico Lucci, che in oltre dieci anni di corrispondenze per Le Iene ha raccontato in tutta la loro cialtronaggine i nuovi italiani della categoria “senza vergogna” (guarda il video).

Quanto agli altri nomi citati è sicuramente più divertente rivedere i lori esordi buffi e carichi di promesse mantenute e disattese:

Guarda il video con Giuliano Ferrara che parla di lotta politica in uno sceneggiato in costume del 1972.

Guarda il video con Lucia Annunziata che commenta le elezioni politiche del 1976. 

Guarda il video con Gad Lerner che parla di terrorismo nel 1980.

Guarda il video con Daria Bignardi che parla di marketing “ravennate” nel 1987.

Guarda il provino di Antonello Piroso per la Fininvest del 1984.

Guarda il video con Fabio Fazio che fa le imitazioni nel 1983.

 

twitter@LucaMartera

 

(Nella foto Giovanni Minoli intervista Enrico Berlinguer negli anni Ottanta, a Mixer su Rai2)