Pubblicato il 01/11/2012, 14:30 | Scritto da La Redazione

LA SATIRA IN ITALIA? RIPOSA IN PACE, MA PER FORTUNA CI SONO LE INTERCETTAZIONI

Il nostro blogger-verificatore analizza lo stato di salute della comicità e della satira nella tv italiana degli ultimi trent’anni. Con il solito corredo di video esclusivi.

Gli ultimi giorni hanno registrato un significativo incremento del tasso di schizofrenia politica. Berlusconi fa un passo indietro, poi viene condannato a 4 anni per frode fiscale e poi ritorna come Montecristo assetato di vendetta contro la “magistocrazia”. Nel frattempo, l’ex comico Grillo conquista la Sicilia, affermando di essersi allenato per sei mesi per attraversare lo Stretto di Messina a nuoto: «Ho impiegato venti minuti meno del traghetto. Ciò dimostra che quando si desidera qualcosa si può ottenere. Il cambiamento è possibile, ma deve partire da voi. Bisogna azzerare la classe politica, perché è un sistema marcio».

Se il varietà è morto e sepolto, tranne qualche raro exploit di Fiorello, lo stesso si può dire della satira, perita sul campo di morte violenta. Mandante ed esecutore è, manco a dirlo, Silvio Berlusconi che, per la legge degli opposti che si attraggono, ricevette una curiosa benedizione nel 1986 per la sua nascente televisione francese addirittura da Benny Hill, famoso in tutto il mondo per le sue comiche pre-bunga bunga a cui ci abituerà Silvio anni dopo (qui il video).

Pierpaolo Pasolini diceva che in Italia si ride troppo e male, oggi avrebbe issato bandiera bianca di fronte al totale capovolgimento della realtà. È ormai un luogo comune affermare che i comici fanno i politici e viceversa, ma Berlusconi è andato oltre, annientando o semmai spuntando le armi dei satirici e comici in circolazione. Come? Introducendo e usando in politica i loro stessi strumenti, dalla parolaccia all’auto-parodia, dalle battute sul sesso alla satira sugli avversari politici.

Politica, religione e sesso. Da sempre sono questi gli argomenti che hanno “dato” lavoro ai comici e nel contempo terrorizzato i censori e i guardiani della morale. Sin dagli anni ’50, la Tv ha collezionato un numero di polemiche, scandali e censure legate alla satira tutto sommato neanche spropositato, ma è dal «Berlusconi II» del 2001 sino a oggi che si è assistito a un crescendo, da un lato di manipolazioni e censure in tutti i settori dei mass-media, ma parallelamente dall’altro allo sviluppo di una controinformazione diffusa, quasi unicamente nata su Internet, che permette al cittadino più vispo di arrivare a qualche verità. Certo, un ruolo non marginale lo hanno avuto anche Fanfani, Andreotti, Craxi e D’Alema, ma non c’è mai stata partita con il Berlusconi media-mogul.

Dalle cacciate storiche (Tognazzi, Vianello e Fo) ai casi più noti (il «Wojtylaccio» di Benigni, la parolaccia di Mastelloni, le parodie di Arafat e di Khomeini del Trio Marchesini-Solenghi-Lopez), dalle polemiche sulla satira teppistica (accusa rivolta a Paolo Rossi, Antonio Albanese, Paolo Hendel, Maurizio Crozza) sino ai tabù infranti da Luttazzi in materia sessual-scatologica, per arrivare alla telefonata in diretta di Maurizio Gasparri a Quelli che il calcio. Tanti e diversi sono i fattacci, molti dei quali inediti o poco conosciuti, come la cacciata voluta dall’Osservatore Romano di Nino Manfredi da Canzonissima ’59 (il primo caso ufficiale di censura documentato) per una battuta su Andreotti, allora ministro della Difesa. I guai di Alighiero Noschese, che si divertiva a imitare i politici anche in privato e non solo in tv; la sospensione dell’imitazione-parodia di Daniela Fini imposta a Cinzia Leone, passando per gli ultimi due grandi scandali con cacciata: il caso Satyricon di Daniele Luttazzi (2001) – poi bissato con Il Decameron del 2007 su La7 – e Raiot di Sabina Guzzanti (2003).

Negli ultimi anni è quasi routine il fatto che persino i comici di fascia media e bassa (gente che notoriamente fa ridere poco, come Dario Vergassola o Enrico Bertolino) vengano chiamati in causa direttamente da Berlusconi e siano costretti all’autocensura o a timbrare il cartellino con monologhi e sketch insipidi. Per quanto riguarda le grandi “isole satiriche” di Zelig, Le Iene, Gialappa’s Band e Striscia la notizia, più che incendiari diventati pompieri, siamo di fronte per lo più a comicità furbetta travestita da satira. Non si può fare satira se il programma che la ospita dura da 10 anni o addirittura più di 20 anni come Striscia la Notizia. Questo non vuol dire che non siano state fatte cose lodevoli in questi quattro programmi – penso ad alcune caratterizzazioni di Zalone a Zelig, ai servizi di costume di Lucci a Le Iene, ai personaggi di Albanese a Mai dire Gol e i fuorionda di Striscia) ma forse la satira va cercata altrove.

Questo perché la satira è come il vino e va ad annate, ma in questi anni la politica ha anche cambiato il modo di far ridere, depotenziando la funzione catartica della satira, perché il re è consapevolmente nudo e di fronte a film-denuncia come W Zapatero, Videocracy, Silvio Forever, continua a sentirsi sicuro, perché tanto è roba seguita da un minoranza che matematicamente non può spostare voti ed equilibri nel Paese reale.

La satira si rivolge da sempre a un pubblico più istruito, che in Italia è rappresentato dal cosiddetto «Five Million Club», cioè quel segmento di pubblico che legge quotidiani e riviste, va a cinema e teatro, compra libri e dvd, viaggia abitualmente, ma, come ho detto sopra, non conta nulla, anche perché tutti gli italiani – compresi questi 5 milioni – perseguono chi più chi meno il «chiagne e fotti». Lamentarsi sempre per non cambiare nulla.

In Italia, si sa, siamo 60 milioni di geni, più o meno tutti incompresi, e c’è poca umiltà e rispetto della professionalità, specie nel campo delle arti. Non credo però che ci sia stata una caduta verticale dei gusti del pubblico. La maggioranza del pubblico italiano ha gusti beceri e se per caso si imbatte in qualche comico che usa qualche parola in più, come a esempio il grande Bergonzoni, cambia canale e non gliene importa molto di sapere che un altro giocoliere della lingua italiana come Dario Fo ha ricevuto un premio forse ancora più importante del Nobel. Nell’episodio intitolato Yokel Chords dei Simpson (18ma stagione, 2007), Dario Fo viene infatti citato da Lisa Simpson in una sua canzone con tanto di foto, che lo ha immortalato per sempre nella serie tv animata più longeva e famosa del piccolo schermo.

Trovo quindi davvero mortificante, che quegli intelligentoni di Espresso e Repubblica dedichino interviste e spazio alla Sora Cesira, solo perché è antiberlusconiana. I suoi orrendi video, basati ancora sullo storpiamento dell’inglese, sono roba da anni ’70, quando i comici dicevano «che situescion», a conferma che ancora preferiamo sfotterla una lingua straniera, anziché impararla. Per non parlare poi di robette come Sgommati, FlopTv (ad eccezione del genio infantile di Maccio Capatonda), I soliti idioti o gli scherzi telefonici de La mente contorta. Il nostro specifico rimane purtroppo il «Con che fa rima Orione» di Bonolis oppure «il calippo e ‘na bira» delle due coatte di Ostia di qualche estate fa. Zalone è un Abatantuono riverniciato, il terrunciello degli anni ‘50. Che dire poi del Daniele Luttazzi ruba-battute che può essere accostato benissimo a Berlusconi in quanto bugiardo e megalomane?

La specialità di noi italiani, diceva Flaiano, è la parodia, consolazione dei popoli sottomessi: non è un caso che il pernacchio sia nato a Napoli, occupata e amministrata da stranieri. Come costruttori non saremo un gran che, ma come demolitori diamo lezioni a tutti, e la satira dei nostri comici lo dimostra tutti i giorni.

Esempio lampante di questa vocazione è Boris, la serie tv e il film omonimo basati sulle miserie del mondo televisivo italiano popolato di attori cani, registi incapaci, produttori ladri e dirigenti sottomessi. Il prodotto ha funzionato perché faceva ridere, ma sempre di parodia si è trattato e non di un’idea originale basata su una scommessa. Poi, a dirla tutta, l’epilogo è stato come al solito “all’italiana” perché il protagonista-simbolo di Boris Francesco Pannofino, alias René Ferretti, è rientrato nei ranghi, difendendo le fiction che prendeva in giro e cedendo persino al nepotismo. Chiamato come presentatore all’ultima edizione del Concertone di Primo Maggio, Pannofino ha infatti avuto  il coraggio di piazzare tra gli autori della diretta fiume il fratello Lino.

È satira questa? Sì e no, perché forse l’unico e vero serbatoio infinito di auto-satira involontaria rimasto è l’intercettazione telefonica. Che è quasi un genere letterario ormai. Da Dell’Utri a Ricucci, da Bisignani alla Minetti, da Umberto di Savoia a Balducci, da Ruby Rubacuori all’impressionante galleria di faccendieri degli ultimi anni (Mokbel, Lavitola, Tarantini, Fiorito e via depredando) l’affresco à la Satyricon che esce del Paese è devastante e nessun Paolo Rossi o Maurizio Crozza possono fare di meglio. L’unico però ad aver colto la schizofrenia dei tempi corrivi è Corrado Guzzanti, l’ultimo dei grandi artisti comici che abbiamo in Italia. Il suo personaggio più riuscito del suo show di Sky Aniene è sicuramente quello del giornalista con l’Alzheimer che afferma e smentisce un fatto in pochi secondi. A lui rendiamo omaggio con questo brano tratto da un’intervista del 2002, in cui spiega come sono nati due dei suoi personaggi originali più riusciti: Rokko Smitherson “il regista de paura” e Lorenzo, “il ragazzo selvaggio” (qui il video).

 

twitter@LucaMartera

 

(Nella foto Nicole Minetti)