Pubblicato il 18/05/2022, 19:02 | Scritto da La Redazione
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La Formula1, da sport a… reality show

La F1 confonde le linee tra sport e reality Tv

The Times, pagina 57, di Matthew Syed.

Dopo uno dei finali più avvincenti della storia della Formula1 dello scorso anno, ho faticato a mantenere il mio entusiasmo per questa stagione. Questo sport ha molte storie avvincenti, offre un buon quoziente di drammaticità e sta indubbiamente crescendo in termini di presenza sui social media, di reddito e di portata (l’ingresso in America è particolarmente impressionante). Ma devo confessare che ho sempre più la sensazione che noi, i fan, veniamo manipolati.

Non è certo originale notare che il culmine della scorsa stagione non è stato un puro dramma sportivo. No, è sembrato più un intrattenimento sceneggiato; un direttore di gara sotto pressione da parte dei signori dello sport per garantire che la narrazione raggiungesse un picco di tensione drammatica. Il messaggio delle 18:27 era «Le vetture doppiate non saranno autorizzate a sorpassare», ma è stato rapidamente seguito da un messaggio in cui si affermava che cinque vetture doppiate – quelle che intralciano la potenziale sparatoria dell’ultimo giro – sarebbero state autorizzate a sorpassare. Non c’è da stupirsi che Lewis Hamilton si senta come se fosse stato derubato.

La serie di documentari di Netflix Drive to Survive contribuisce ad accrescere questo senso di manipolazione. La premessa della serie era di portare i fan più vicini all’azione e di offrire uno sguardo alle ambizioni e alle nevrosi dei principali protagonisti, e in genere fa un ottimo lavoro. Ma si scopre – per fare un solo esempio – che le presunte profonde tensioni tra Lando Norris e Carlos Sainz Jr, coppia della McLaren 2020, sono state inventate. Come ha detto Zak Brown, amministratore delegato della McLaren: «Naturalmente, tutti noi che viviamo in questo sport sappiamo che Carlos e Lando avevano un ottimo rapporto e che non c’era la tensione che viene dipinta. Ma penso che ogni volta che si entra in uno show televisivo si creerà un intrattenimento che noi tutti nel paddock sappiamo che forse non era proprio così. Penso che vada bene così…».

Tutto è show

Ma va bene così? Edd Straw, uno dei più perspicaci giornalisti di F1, ha parlato dei pericoli che si corrono quando «l’intrattenimento sportivo si confonde con lo sport come intrattenimento». Non ho potuto fare a meno di pensare a questo commento quando si è parlato di biancheria intima ignifuga e di una disputa sull’uso dei gioielli. Non fraintendetemi: comprendo perfettamente l’importanza di questi temi per la sicurezza, ma non ho potuto fare a meno di intravedere un’ottica di pubbliche relazioni nella tempistica delle notizie. A Sebastian Vettel è stato chiesto di indossare i boxer sopra la tuta a Miami, come in un copione teatrale? O è stato spontaneo e umano? Ci sono anche altri esempi, non ultimo quello del Gran Premio d’Italia dello scorso anno, che ha influenzato la gara e non solo.

Come racconta Straw «Al Mugello, la tempistica dello spegnimento delle luci della safety car è diventata un argomento di discussione, con il sospetto che sia stata lasciata in ritardo deliberatamente per rendere le ripartenze un po’ più eccitanti e imprevedibili. Questo ha contribuito alla ripartenza più imprevedibile di tutte, con un grosso incidente che ha causato un’altra bandiera rossa». Osservando tutto questo, non posso fare a meno di pensare a un famoso paradosso nel mondo dell’editoria digitale. Quando i giornali passarono per la prima volta a Internet, l’industria scoprì una cosa interessante: la gente cliccava sulle storie quando i titoli erano provocatori, anche quando questi titoli non riflettevano accuratamente la storia sottostante. «Il primo ministro è una canaglia, dice un collega». Chi non cliccherebbe su un titolo del genere?

Rischio di perdere fan

All’epoca la parola d’ordine era “ottimizzazione”. Se si riusciva a massimizzare il numero di persone che cliccavano, si ottenevano maggiori introiti pubblicitari, si pubblicavano titoli ancora più accattivanti, creando così un circolo virtuoso (e redditizio). Era persino possibile determinare quali parole ottenevano più clic e in quale combinazione, insieme a determinati tipi di foto. Il futuro sembrava d’oro. – Ma avrete già notato il difetto. All’inizio i lettori possono cliccare su titoli accattivanti. Ma dopo un po’ si renderanno conto di essere stati manipolati e inizieranno a diffidare del marchio.

L’ottimizzazione, in questo senso, può spesso andare di pari passo con la distruzione del valore. Lo stesso vale per lo sport. Il calcio trarrebbe indubbiamente benefici a breve termine se a tutti gli arbitri fosse concessa la libertà di massimizzare il dramma, ad esempio trovando modi sempre più creativi per assegnare molti rigori all’ultimo minuto. Ma questo funzionerebbe solo per qualche mese prima che i tifosi si rendano conto che non stanno guardando lo sport ma l’equivalente della WWE. Perché lo sport abbia un senso, le regole devono essere interpretate in modo imparziale. Non è forse questo che crea la forma più pura di dramma: quello che ha portato Sergio Agüero a segnare un gol all’ultimo respiro per vincere la Premier League; che ha portato l’Inghilterra a tenere duro nel secondo tempo della finale di Euro 2020 contro l’Italia; che ha portato una folla di persone in piedi fuori dall’Old Ship pub di Richmond domenica scorsa, a guardare la TV dalla finestra mentre la finale di FA Cup andava ai rigori?
(Continua su The Times)

 

(Nella foto il Gran Premio di Miami di F1)