Pubblicato il 11/10/2021, 15:02 | Scritto da La Redazione
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Vi è piaciuto Squid Game? In Corea è un caso politico

Vi è piaciuto Squid Game? In Corea è un caso politico
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: 9 anni fa, sul web, il tormentone “Gangnam Style”. Due anni fa, al cinema, il capolavoro (quattro Oscar) “Parasite”. Ora (in Tv, su Netflix) la fiction che ha stordito il mondo. La K-Pop dilaga, ma il divario sociale ricchi-poveri che racconta è una ferita aperta nel Paese.

Film e K-Pop, tendenza Sud Corea

Corriere della sera, pagina 17, di Matteo Persivale.

Quattrocentocinquantasei concorrenti. Quarantacinque virgola sei miliardi di won sudcoreani (pari a circa quarantatré milioni di euro) di monte premi. Una versione infernale di Giochi senza frontiere: chi sopravvive – non metaforicamente, proprio fisicamente, perché l’eliminazione consiste in una pallottola nella testa – vince tutto. La ricetta della fiction di Netflix Squid Game è di una semplicità cartesiana: un talent show genere Survivor o Isola dei famosi dove l’eliminazione è la morte, la vittoria è la ricchezza che pare contemporaneamente a portata di mano e lontanissima. Homo homini lupus, proverbio latino nato duemilatrecento anni fa a novemila chilometri di distanza da Seul; è il riassunto in tre parole della trama di Squid Game, successo globale (a sorpresa).

Non si tratta di semplice avidità: i concorrenti sono tutti, ma propri tutti, strangolati dai debiti e partecipano al gioco, che fin dall’inizio pare molto equivoco e allarmante nelle modalità di reclutamento dei giocatori, con un solo obiettivo. Vincere significa uscirne, significa la salvezza. Fisica e finanziaria. C’è l’uomo d’affari in difficoltà, l’immigrato pachistano, il profugo nordcoreano in fuga dalla dittatura, l’uomo che sta morendo di cancro. All’estero Squid Game trionfa grazie alla regia precisissima, quasi hitchcockiana, di Hwang Dong-hyuk, alla bravura degli attori, alla fotografia; in Corea del Sud però Squid Game è diventato un caso politico perché il tema del debito personale non è un artificio della sceneggiatura, è una realtà sociale drammatica: il debito familiare sudcoreano è il più alto di tutta l’Asia (l’Italia è in difficoltà per altri motivi, ma ha il debito familiare più basso d’Europa); il boom dell’ultimo ventennio ha esacerbato le disuguaglianze. Quello che fuori dalla Corea pare semplicemente un horror benissimo realizzato, in patria viene visto da destra come un umiliante modo di lavare i panni sporchi davanti al mondo, da sinistra come campanello d’allarme su un’emergenza nazionale che necessita di una soluzione non più rinviabile, il lato meno piacevole del grande balzo in avanti compiuto economicamente – e mediaticamente – dal Paese.

Tutti pazzi per la Corea

Proprio la cultura pop sudcoreana è diventata negli ultimi anni una macchina straordinaria – il grande pubblico europeo occidentale se n’è accorto con il tormentone della canzoncina Gangnam Style nove anni fa, e soprattutto con i quattro Oscar al thriller Parasite di due anni fa (peraltro anche Parasite parlava senza remore dell’enorme divario tra ricchi e poveri). Ma l’onda lunga dell’intrattenimento made in South Korea è ventennale, con il K-Pop, pop coreano fatto di canzonette che a noi italiani ricordano – in versione riveduta e corretta e con i tempi accelerati – quelle di Sanremo anni Cinquanta, ma che in Asia sono diventate un fenomeno dominante.
(Continua su Corriere della sera)

 

(Nella foto Squid Game)