Pubblicato il 16/09/2021, 15:06 | Scritto da La Redazione
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Rai: la crisi è sempre più profonda e non c’è davvero più tempo

Rai: la crisi è sempre più profonda e non c’è davvero più tempo
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: secondo l’opinionista del quotidiano “Domani”, Stefano Balassone, l'attuale vertice sa che la riforma dell'azienda deve essere basata sui fatti.

La crisi della Rai è così profonda che sarebbe imperdonabile sprecarla

Domani, pagina 9, di Stefano Balassone.

La Rai del nuovo Consiglio di amministrazione è subito alle prese con malesseri e “sommosse”, almeno a giudicare dall’improvvisa sciopero romano che lunedì scorso, 13 settembre, ha bloccato l’avvio dei palinsesti di stagione. È probabile che l’episodio ne anticipi di analoghi, sempre più frequenti mano a mano che tanti ottimi impiegati, tecnici e giornalisti confessano a loro stessi che i posti di mestiere su cui da anni hanno plasmato convenienze, rabbie e aspettative non possono riprodursi tali e quali, perché stanno come una zavorra che tira a fondo ogni avvenire dell’azienda e la espone alla sindrome Alitalia.

Prodotto e organizzazione

Tutto questo nonostante che chi lavora in Rai (per nostra diretta, prolungata e approfondita conoscenza) appartenga in media al meglio del mestiere. Le chiacchiere da bar ospitate dai giornali suggeriscono il contrario e s’attardano sulla spuma della cronaca amministrativa ed editoriale perché comunque se c’è di mezzo la tv è pronta la notizia. Ma ciarlando di quisquilie pochi pongono attenzione al reale dramma dell’azienda che risiede non nel modo (più o meno onesto ed efficiente) di operare, ma in quella che produce giornalmente in aderenza ai vincoli imposti al palinsesto e, conseguentemente, all’organizzazione.

In questo quadro sembra che il nuovo vertice aziendale rifugga dal fare da pompiere e tirare a campare per sé stesso in mezzo al tirare delle cuoia dell’azienda, come ha fatto, in sostanza, il cda precedente. Questo ricaviamo dai virgolettati che secondo il Foglio riportano le opinioni degli “ambienti vicini” all’amministratore delegato, deciso, a quanto pare, a fare «tutto e subito» per accorpare le Testate multiple e deflazionare il numero dei (10) canali attualmente trasmessi sul digitale terrestre. I fondamenti, in breve, del pluralismo lottizzato.

La presunta strategia

In linea generale si tratterebbe, se capiamo bene, di ridurre la dilatazione a favore del peso dell’offerta, concentrando gli sforzi su una mandata di canali e aumentando la quota di prodotti a utilità ripetuta, rispetto a quelli che si limitano a fare il surf sulle emergenze della cronaca.

Un’offerta editoriale più densa e meno espansa ha ovviamente il merito di introdurre nella tv generalista italiana esattamente ciò che al complesso italiano, pubblico e privato, più manca nel paragone coi sistemi all’estero. C’è anche in quei virgolettati un accenno al completamento della vendita delle torri trasmissione a operatori specializzati del settore, atto inevitabile quanto tardivo, e l’investimento di risorse su RaiPlay, la piattaforma digitale e dunque il terreno di ogni visibile futuro, a cui volgere il grosso delle risorse risparmiate altrove. Il punto è che le “risorse” non si fanno volgere altrove volentieri, per ovvia diffidenza condita di paura. E considerato che il passare a fare altro dovrebbe riguardare, a occhio e croce, qualche migliaio di persone fra tecnici, impiegati e giornalisti e circa il 20 per cento del bilancio, si ottiene una buona misura delle condizioni di fondo che sono all’origine delle attuali e future turbolenze. Quali che siano i pretesti tecnici, organizzativi e contrattuali che di volta in volta appariranno in primo piano.
(Continua su Domani)

 

(Nell’immagine il logo Rai)