Pubblicato il 31/07/2021, 12:35 | Scritto da La Redazione
Argomenti:

Bruno Pizzul: Oggi nelle telecronache si parla troppo

Bruno Pizzul: «Sono pigro e senza patente, mi affido alla tigre, mia moglie. Fui calciatore, iniziai con Zoff»

Corriere della sera, pagina 21, di Giorgio Terruzzi.

«Bruno Pizzul: l’uomo più buono del mondo». La definizione è di Beppe Viola, amico e collega alla Rai di Milano. Conferma? «Detta da Beppe è una frase che mi lusinga. Ma non è questione di bontà, sono solo un uomo tranquillo che cerca di rispettare gli altri».
Ha compiuto 83 anni l’8 marzo scorso. Nato a Cormòns, Friuli. Calciatore, laureato in giurisprudenza, telecronista dal 1970 al 2002. La sua voce: indimenticabile. In molti avrebbero voluto riascoltarla per la finale dell’Europeo. Ha risposto, no grazie. Nemmeno una esitazione?
«Faccio fatica ad attraversare la strada, figuriamoci andare a Londra. Qualcuno deve aver postato per scherzo la proposta di mandare me a sostituire Alberto Rimedio costretto alla quarantena. In tanti si sono agganciati al messaggio. Incontravo gente che chiedeva cosa facessi a casa, altri che domandavano se fossi contagiato io, altri ancora che volevano biglietti per la finale».
Però la telecronaca l’ha fatta lo stesso…
«Quel giorno terminava a Cormòns il Giro d’Italia femminile di ciclismo. Il sindaco mi aveva chiesto di partecipare a una serata in omaggio alle atlete. Hanno montato un maxischermo. Ho pronunciato qualche parola per i miei compaesani, gente a cui voglio bene».
II successo della Nazionale ha scatenato una festa enorme. Si aspettava tanto entusiasmo?
«Mancini ha creato un gruppo che ha riconciliato i tifosi con la squadra azzurra. Giovani che hanno mostrato di stare volentieri assieme. Poi sono arrivati i risultati, dunque una gioia e una spensieratezza ritrovate».

È tornato a Cormòns da pensionato. Gira in bicicletta, mai presa la patente di guida. Quando tocca usare l’automobile, che succede?
«Guida la Tigre, mia moglie Maria. Che ormai ha anche funzioni di badante, causa anagrafe e pigrizia congenita».
La Tigre… come nasce il soprannome?
«La moglie di un calciatore della Triestina veniva chiamata così. Quella ragazza mostrava analogie con Maria e adottai il nomignolo. Lei ogni tanto fa qualche smorfia ma si rende conto che il paragone animalesco è assai lusinghiero. La tigre sarà feroce ma è una bestia mobile, bella. Ah, la tigre!».
Nostalgie milanesi?
«Venni accolto benissimo, in città come alla Rai dove ho lavorato per decenni senza alcuna promozione, cosa che mi rende orgoglioso. La Tigre e io avevamo in mente di tornare qui, dove vivevano i nostri genitori. È un luogo che contiene molti ricordi, abitato da gente simpatica, con una certa proiezione verso i beveraggi, cosa che non mi dispiace per niente. I dottori mi proibiscono il vino. Beh, proibire.. bere un pochino si può».
A Milano, chi voleva incontrarla doveva cercare al bar, sotto casa. Carte, vino, sigarette. E poi?
«I bar erano due. Frequentati da una congrega di calciatori, allenatori, giocatori di scopa e tresette. Cene da Londonio dove si faceva il calciomercato. Con Trapattoni, Radice, Bellugi. Carte e liti furibonde. Fumavo lì perché in casa c’era la Tigre con le sue reprimende. Ho fumato sino a sette anni fa. Mi spiace non aver smesso prima. Ogni volta che incrocio Boninsegna ripete: mi hai affumicato durante le telecronache».

Incontri con uomini straordinari. Chi c’è nella sua lista?
«Strinsi un rapporto speciale proprio con Viola anche se capii subito che non mi sarei alzato alle 4 del mattino per accompagnarlo a vedere i trottatori sgambare. Poi Gianni Brera, sempre gentile. Con i colleghi si stava bene, sempre insieme. Mi pare che questo sia un po’ sparito. Anche con i campioni si metteva in comune molto, ora è impossibile. Troppi filtri, liste di attesa per un’intervista, complicazioni da diritti tv. Rapporti personali quasi inesistenti. È uno specchio di questo tempo: nervosismi, scarsa capacità di accettare l’altro».
Carlo Sassi, Adone Carapezzi, Guido Oddo, Mario Poltronieri, Adriano De Zan. La capitale dello sport Rai era Milano?
«Sì. Non solo tv. Una redazione radiofonica fortissima. In corso Sempione passavano tutti, quelli dei cavalli, attori, calciatori. Con qualche stanza ambita, a cominciare da quella dove albergavano Viola, Carapezzi e Fineschi, stracolma di giornali, tutti di materia ippica».
Anno 2014. Spot per la Fiat girato in Brasile. Protagonisti Pizzul e Trapattoni. Sembravate i ragazzi irresistibili…
«Un ricordo meraviglioso. A Rio, insieme per dieci giorni. Il Trap: un ragazzino. Conosceva ogni angolo della città, raccontava avventure in continuazione. Un personaggio unico. Non riusciva mai a rispettare il copione, ma era efficacissimo».
Ha giocato a calcio per molti anni. Fermato da un infortunio al ginocchio. Avrebbe voluto fare il calciatore?
«Speravo e sognavo. Poi capii che la mia passione era inversamente proporzionale al talento. Ero riuscito a laurearmi, insegnavo alla medie di Gorizia. La Rai di Trieste organizzò un concorso per programmista. Non si presentò nessuno e mi invitarono a partecipare in quanto giovane laureato. Uno dei membri della commissione era Paolo Valenti: mi aveva visto giocare, mi aveva notato. Per l’altezza, non certo per la bravura. Fu lui a dirottarmi sul concorso per radio-telecronisti. Con me c’erano Bruno Vespa, Paolo Frajese. Beh, venni assunto, con mia somma sorpresa. Cominciò così una carriera inaspettata. Le modalità: irripetibili. Quando un giovane mi chiede come fare a diventare telecronista non so che dire. I giovani fanno fatica e sono troppo spesso sfruttati in maniera invereconda».

Nando Martellini: un maestro o un ingombro?
«Un gentiluomo. Mi accolse. Anche perché non pensavo affatto di poter seguire le sue orme. Incontravo spesso anche Nicolò Carosio. Diceva, con quel suo tono stentoreo: anche se sfortunatamente fossi astemio, fatti sempre vedere con un whisky in mano, così quando pronuncerai qualche stupidaggine potranno dire che avevi bevuto».
Da telespettatore oggi, chi le piace ascoltare?
«Mi pare ci sia una eccessiva presenza di parole. Venivamo accusati di parlare troppo quando la telecronaca era fatta da una sola persona, oggi sono coinvolti tre o quattro cronisti. Sono tutti bravi, persino troppo. E qualche volta ho la sensazione che sia la televisione a raccontare se stessa più della partita».
Cristiano Ronaldo e Messi oggi. Quali altri campioni l’hanno entusiasmata?
«Insomma, Rivera è stato Rivera. Molti altri per la capacità di condividere le nostre vite».
Con la Nazionale dal 1986 al 2002. II cittì più amato?
«Ero amico di Azelio Vicini sin da ragazzo. Con Bearzot ho avuto un rapporto particolare. Era friulano pure lui, parlavamo nel nostro dialetto, seduti fianco a fianco. La cosa generò sospetti e invidie perché molti colleghi credevano che Enzo stesse confidandomi chissà quali segreti tattici. In realtà parlavamo delle vendemmie. Lo stesso con Dino Zoff. Cominciammo a giocare assieme».
(Continua su Corriere della sera)

 

(Nella foto Bruno Pizzul)