Pubblicato il 30/07/2021, 11:34 | Scritto da La Redazione

Riecco Boris, ritorna la serie cult

Francesco Pannofino: «Dai, dai, dai! Sta tornando anche Boris in tv»

QN – Quotidiano Nazionale, pagina 24, di Giovanni Bogani.

«Ormai mi ero rassegnato al fatto che Boris non si sarebbe rifatto mai più», dice Francesco Pannofino. «Ogni tanto mi portavo dietro René Ferretti, ma ero sicuro che non lo sarei stato mai più. E invece…». E invece Boris ritorna. Ci sarà una nuova serie, undici anni dopo la terza serie, dieci dopo il film. Lo conferma Francesco Pannofino, che incontriamo al Prato film festival diretto da Romeo Conte, dove è stato premiato per la sua interpretazione in Ostaggi di Eleonora Ivone. Eh già. Boris. Il dietro le quinte di un’immaginaria serie tv (Gli occhi del cuore) che è diventato un ritratto dell’Italia: del pressappochismo, della cialtroneria, dell’egoismo spicciolo. Ma anche dell’inventiva, della capacità tutta italiana di convivere col disastro, di camminare a due millimetri dal baratro.

Boris – tre stagioni girate tra il 2007 e il 2010 e tornate prepotentemente al successo in questi ultimi mesi grazie a Netflix – è una delle rarissime serie tv non ambientate in commissariati, ospedali o conventi, ma in un luogo molto più sinistro, cinico e spietato: il set di una serie tv. Un po’ Effetto notte di François Truffaut, che raccontava il dietro le quinte di un set cinematografico, un po’ Fellini, un po’ Ken Loach, molto Woody Allen all’amatriciana. Con un regista continuamente alle prese con attori vanitosi e mediocri, attrici raccomandate, e una troupe al cui confronto l’Armata Brancaleone è una macchina da guerra.

Dunque, Francesco: è confermato? Ci sarà la quarta serie di Boris?
«Sì: gli autori Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico stanno lavorando come matti, riprendendo anche alcune idee di cui avevano discusso con il terzo autore della serie, quello che rimane davvero incastonato nei nostri cuori: Mattia Torre, scomparso a 47 anni nel 2019».
Che sentimenti prova al pensiero di ridiventare René Ferretti?
«Sono contentissimo: ma lo ero già quando ho capito che Boris aveva fatto un salto di generazione, ed era arrivato ai ragazzi. L’ho capito dal successo che ha avuto sulle piattaforme, fra persone che non avevano mai visto la serie tv, e che hanno divorato Boris nei mesi della pandemia».
Boris è amato moltissimo anche da chi fa il cinema, dagli “addetti ai lavori”…
«È vero! Quando vado su un set cinematografico, le troupe mi accolgono come se fossi Sant’Antonio da Padova! Perché tutti – elettricisti, macchinisti, costumiste, truccatrici e truccatori – si sentono rappresentati da questa serie che è, prima di tutto, un atto di amore per il cinema».

E nel pubblico, qual è il motivo profondo del suo successo?
«Credo che sia perché racconta la verità di ogni lavoro. In ogni ambiente di lavoro ci sono i raccomandati, i cialtroni, le gerarchie, la fretta. E tutto questo viene raccontato con ironia, ma anche con empatia umana».
Come racconterebbe René Ferretti?
«René Ferretti è cinico per necessità, ma sarebbe un idealista. È questo che me lo ha fatto amare».
Con Boris per la prima volta ci si addentra così in profondità nella vita di un set televisivo.
«Esatto. E lì c’è un miracolo che gli autori sono riusciti a fare. Perché guardare le riprese di un film o di una serie è meno divertente che vedere il bucato che si asciuga. Ma Boris, rendendo paradossali le situazioni, ha reso interessante quello che per gli addetti ai lavori è spesso una noia mortale. Ha reso epico qualcosa che è di per sé noioisissimo!».
(Continua su QN – Quotidiano Nazionale)

 

(Nella foto Francesco Pannofino)