Pubblicato il 29/07/2021, 15:23 | Scritto da La Redazione
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Gabriele Corsi: Ero già vecchio da giovane. Devo tutto a Gigi Proietti

Gabriele Corsi: Ero già vecchio da giovane. Devo tutto a Gigi Proietti
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: lo showman compie oggi 50 anni. «Il vantaggio è essere rimasto uguale: ero sempre in biblioteca o a teatro, di rado in discoteca. Attore teatrale preferito? Da ragazzo aspettavo Glauco Mauri fuori dal camerino: conservo il suo autografo sul bollettino delle tasse pagate per l'Accademia d'Arte drammatica. A lui aggiungo Gigi Proietti. Gigi mi ha cambiato la vita: mi ha preso sotto il suo sguardo e insegnato che cos'è questo lavoro».

Gabriele Corsi: «La vera lezione di Proietti, la cheesecake e la botanica»

Il Fatto Quotidiano, pagina 17, di Alessandro Ferrucci.

Conduce Il contadino cerca moglie e sa cos’è il topinambur; se qualcuno gli parla di numeri, sono guai («Ho una laurea in Scienze Statistiche»). Come imperativo morale ha scelto la cheesecake per “colpa” di Limonov e del suo cantore Carrère e con il Trio Medusa ringrazia Vittorio Sgarbi per il salto di popolarità («Le sue aggressioni sono cult, anche quando ci urlava culattoni e raccomandati»). Oggi Gabriele Corsi compie 50 anni (auguri), ma è un uomo che non ha messo da parte i sogni di ragazzo e con lui la massima «l’ironia è una cosa seria» sembra un guanto.

Come si sente?
Ero già vecchio da giovane, il vantaggio è essere rimasto uguale: ero sempre in biblioteca o a teatro, di rado in discoteca.
Attore teatrale preferito?
Da ragazzo aspettavo Glauco Mauri fuori dal camerino: conservo il suo autografo sul bollettino delle tasse pagate per l’Accademia d’Arte drammatica; a lui aggiungo Proietti.
Con il quale ha lavorato.
La prima volta l’ho visto in teatro quando avevo 16 anni: i biglietti del Gaetanaccio erano il regalo di compleanno dei miei; poi è arrivato Il Maresciallo Rocca e conosciuto il mito.
Ne è rimasto scottato?
Gigi mi ha cambiato la vita: mi ha preso sotto il suo sguardo e insegnato cos’è questo lavoro.

Primo articolo dalla Costituzione secondo Proietti.
Non solidarizzare mai con chi non ha il senso dell’umorismo e chi non sa ridere di sé.
L’hanno espulsa dall’Accademia.
Giustamente: ero insubordinato, inadatto alla struttura, alle regole e a quella impostazione teatrale. Sono selvaggio.
Ribelle?
Sono cresciuto per strada, ma con l’educazione di una nonna marchesa; vengo da Cinecittà (sud di Roma), lo stesso quartiere di Eros Ramazzotti; (sorride) mia madre è stata la sua insegnante alle medie, e ogni volta che ci sentiamo mi domanda: «Come sta mamma?». E rispondo: «Io bene grazie».
Insomma, Cinecittà.
Erano anni vivaci, purtroppo molte persone a me vicine se le è portate via la droga: nel parco davanti a casa vedevi la famosa «distesa di aghi sotto il cielo» come cantava De Gregori; in terza media avevo un compagno che morì di overdose.

La favella quando l’ha scoperta?
Subito: il maestro delle elementari mi piazzò su un palco e lì ho capito; (ride) da ragazzo, per otto anni e con i miei due «soci», abbiamo vissuto una gavetta durissima, siamo andati in giro nei teatri più sperduti d’Italia: ricordo una serata a Grotte di Santo Stefano, dove non ci hanno pagato: «Se volete vi diamo un piatto di pasta e fagioli». Abbiamo accettato.
Quanti spettatori?
Anche due. A Roma, in una di queste serate, nei camerini si presentò una signora: «Vuoi fare il Maresciallo Rocca?». «Cos’è?». «Una serie tv». «Sono più interessato al teatro. Per curiosità, quanto pagate?». «800 mila lire al giorno». La mattina dopo ero sul pianerottolo della casa di produzione.
È anche nel cast di uno dei film più trash del mondo.
Non si permetta di parlar male di Alex l’Ariete e di Alberto Tomba (il protagonista, ndr). A Cortina lo proiettano tutti gli anni e il pubblico conosce a memoria le battute; alla fine delle riprese Damiani (il regista, ndr) mi disse: «Ti voglio bene, taglierò la tua parte». Mi ha lasciato in una sola scena.
Quanto ringrazia Sgarbi?
Come Trio tanto; c’è stato un periodo nel quale mi chiamava al telefono e l’incipit era «sono papà»; con noi ha ammesso di aver perso: per un provocatore il massimo cadere nella provocazione.
Si sente più culattone o raccomandato?
Culattone; raccomandato mai, altrimenti con Furio (del Trio, ndr) non avrei fatto il servizio in un manicomio. Il primo giorno arrivo, vedo un signore, gli chiedo un’indicazione e mentre risponde mi vomita addosso. Era uno dei pazienti.
Con chi niente selfie?
Con i politici: poi passa una settimana, leggo il Fatto e li trovo inquisiti. Comunque non con questa destra, con l’omofobo, il razzista e il non vaccinato.
(Continua su Il Fatto Quotidiano)

 

(Nella foto Gabriele Corsi)