Pubblicato il 21/07/2021, 11:35 | Scritto da La Redazione
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Fabrizio Salini: Vi racconto i miei tre anni in Rai

Fabrizio Salini: Vi racconto i miei tre anni in Rai
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: «È una fatica che non vi dico. Tre anni per fare l'amministratore delegato della Rai sono pochi. Non chiudi un ciclo. Non fai in tempo a capire dove sei, che è già finita», dice l’ad uscente di viale Mazzini.

Addio viale Mazzini

Il Foglio, pagina 1, di Salvatore Merlo.

Dice di essere sollevato, ma anche dispiaciuto, forse, perché a fare l’amministratore delegato della più grande azienda editoriale d’Italia ci si abitua. Ci si prende gusto. «Anche se è una fatica che non vi dico». C’è qualcosa che ha imparato? Una consapevolezza ultima? «Che tre anni per fare l’amministratore delegato della Rai sono pochi. Non chiudi un ciclo. Non fai in tempo a capire dove sei, che è già finita». E Fabrizio Salini, che da qualche giorno non è più il numero uno di Viale Mazzini, si duole «per non essere riuscito a portare a compimento il piano industriale. È rimasto a metà», dice. Ora toccherà al suo successore, Carlo Fuortes. Vi siete parlati? «Brevemente». Vi vedrete? «Sì, lo devo mettere al corrente di alcune faccende». Cosa gli consiglia? «Di proseguire sulla strada del piano industriale che non ho completato. La Rai non deve più ragionare pensando ai contenuti per ciascuna delle sue reti, ma deve ragionare in termini più moderni. E diventare una media company».

Arrivato nel 2018 in Rai dopo diverse esperienze nel privato, Salini lascia la grande bestia di stato dopo tre anni e tre governi. Le montagne russe. Dal bislacco “cambiamento” al governo M5s-Pd, fino a Mario Draghi: le ingerenze, l’alveare di Viale Mazzini e i partiti, soprattutto. Con i loro interessi di sottobottega televisiva. Di marchetta in onda media. «Però le assicuro che non si occupano del prodotto. E questo è un vantaggio. È un bene. Non gli interessa». Lei fu scelto da Luigi Di Maio? «Fui scelto per curriculum e questa è una cosa che va a merito anche di Di Maio. Feci alcuni incontri con lui, con Giuseppe Conte e con Matteo Salvini». Ai tempi del proconsolato. Poi rapporti, dicono, molto tesi con il Pd. Ma dica la verità: quanto le hanno rotto le scatole? «Quindici anni fa, per Fox, feci Boris, la commedia che prendeva in giro i tic della Rai. Mai avrei pensato che ci sarei andato a lavorare». E cosa ha ritrovato di Boris nella Rai? «Tanta romanità. Nel bene e nel male». In Boris c’era la “cagna maledetta”, l’attrice scarsa ma raccomandata dal politico. «Diciamo che le fiction sono molto migliorate. Oggi attraggono anche attori come Alessandro Gassmann». Dunque non solo “cani maledetti”.

La vita in Rai sembra una commedia

Eppure ne sono successe di cose comiche in questi anni. Roba che sarebbe piaciuta a Mattia Torre, uno degli autori di Boris. Ce lo racconta come andò veramente la storia del finto Giovanni Tria, quando al presidente della Rai Marcello Foa arrivò una mail di un tizio che diceva di essere il ministro dell’Economia e voleva un milione di euro? E qui Salini si ferma. Strizza gli occhi. «C’è un’indagine, preferisco non parlarne». Però l’ex capo della Rai accompagna queste parole con una risata eloquente. Foa pare si fosse scapicollato perché voleva finanziare con quel milione di euro il progetto del finto Tria. Commedia all’italiana, appunto. Come quell’altra storia: quando è stato scoperto che un dipendente s’era rubato dei dipinti di valore a Viale Mazzini e li aveva sostituiti con delle copie. Non l’avrebbe immaginato nemmeno Alberto Sordi. «Quando l’ho scoperto ho cominciato a guardare con sospetto anche i quadri del mio studio». Poi, fattosi serio: «Il furto è avvenuto molti anni fa, prima che arrivassi io. Noi l’abbiamo soltanto scoperto facendo tutte le denunce. E per evitare che qualcosa del genere possa mai ripetersi ho creato una direzione “Beni Artistici”. Però, certo, capisco che siamo nella commedia».

A proposito: com’erano i rapporti con Foa? «Freddi. Con momenti di scontro anche aperto». E com’è stato il suo ultimo giorno in azienda? È vero che gli uscieri non corrono più a spalancare le porte e che il codazzo dei questuanti si dilegua, alla Fantozzi? «Diciamo che gli ultimi giorni prima della scadenza dell’incarico ti danno la possibilità di valutare la qualità umana delle persone che hanno lavorato con te». È come se l’azienda, il gran corpo dotato di vita propria, dicesse: è finita, il potere non è più lui. (Ed è quasi un lampo quando nel ristorante in cui avviene questa conversazione compare un dirigente della Rai, Pier Francesco Forleo. Si avvicina a Salini. Si salutano sorridenti. «Ti mancherò?». E Salini, ironico: «Non credo proprio»)

La Rai sovranista?

Cosa non le mancherà della sua esperienza in Rai? «I riflettori puntati addosso, sono uno schivo per natura. In tre anni ho fatto solo quattro interviste, mi pare. Questa è la quinta. Quando sei lì finisci ogni giorno sui giornali. C’è una polemica su tutto. Uno scandalo su ogni cosa minima. Ma ci si abitua». C’è stato un momento che il Pd le stava molto addosso. Davvero pare volessero cacciarla, soprattutto Gualtieri, l’ex ministro dell’Economia, e Zingaretti. Le cronache erano piene di ricostruzioni al veleno. «Una volta che ti abitui alla politica, resisti». Però le nomine si fanno così: sentendo i partiti. Persino i programmi di informazione. «Sì e no. Alla fine sei tu che decidi». Alla Rai lei ha incarnato anche il surreale periodo sovranista. «Mi pare senza particolari esiti negativi. Dicevano che avremmo chiamato Maria Giovanna Maglie. L’avete vista voi in Rai la Maglie?». No. «Per me le cose che contano sono state altre». Cioè? «Il prodotto. Per me è stato molto più interessante, e politico, vedere vincere i Maneskin a Sanremo. O essere riuscito a valorizzare Raiplay, la piattaforma on-demand della Rai. Oggi la Rai si può permettere Lundini, che recupera un pubblico che si stava perdendo. I più giovani».

Di cosa è particolarmente fiero? «Di aver coinvolto Fiorello su Raiplay, di avere fatto le prime fiction in streaming, di aver portato Stefano Bollani in prime access, di aver rinnovato il pomeriggio di Rai1 con Serena Bortone e Alberto Matano. Non sono successi solo miei. Stefano Coletta, direttore di Rai1, è bravissimo».
(Continua su Il Foglio)

 

(Nella foto Fabrizio Salini)