Pubblicato il 06/07/2021, 11:34 | Scritto da La Redazione
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Marcello Foa: Cara Rai o ti svegli oppure…

Foa: «La Rai ha 3 anni per entrare nel futuro o sarà il declino»

La Repubblica, pagina 6, di Francesco Bei.

La Rai, i suoi conti, le prospettive, i rapporti con la politica. Siamo saliti al settimo piano di viale Mazzini per interrogare il presidente Marcello Foa, in uscita tra pochi giorni, su questi tre anni al vertice del servizio pubblico. Ma sulla porta ci coglie la notizia della scomparsa del volto forse più famoso dell’azienda. Non si può che iniziare da Raffaella Carrà. «Ho provato grande commozione. Raffaella ha unito gli italiani attraverso più generazioni. Io la associo alla mia infanzia, quando eravamo tutti incantati a casa, davanti alla Tv, a guardare i suoi balletti. Anche negli ultimi anni è sempre stata solare, sorridente, molto umana, mai superba. È bello che la Rai abbia sempre avuto fiducia in lei. La sua morte è uno choc per tutti noi».

Presidente Foa, quando Carrà ha iniziato la sua carriera c’era solo la Rai, poi arrivò Mediaset e fu duopolio. Ora tra Netflix e le altre lo spettatore è sommerso dalle offerte. Diciamo la verità: la Rai ha ancora un futuro?
«La Rai ha di fronte a sé tre anni decisivi, il cui esito non è affatto scontato. L’aumento degli ascolti durante il periodo Covid rischia di essere illusorio, perché ha riportato al centro di tutto la televisione, ma ha anche accentuato il mutamento delle abitudini di fruizione mediatica».
La sfida è per la conquista del tempo delle persone: la Rai è in grave ritardo.
«Noi oggi non abbiamo solo la concorrenza di Netflix, di Amazon, di Discovery, Disney Channel, ma anche dei giganti digitali. E la proporzione delle risorse a livello mondiale nel 2019 era questa: 36 miliardi a disposizione dei servizi pubblici europei e 960 miliardi tra Amazon, Apple, Facebook e gli altri top player. Nel 2020 il divario sarà ancora maggiore. Come si fa a competere?».
La Rai rischia di restare un passatempo per i vecchi?
«Tutte le tv pubbliche europee hanno spettatori anziani. Noi oggi abbiamo 14 canali televisivi e 12 radiofonici (per fortuna la radio va bene), ma un ritardo cronico sui siti Internet».
Su Internet la Rai non esiste proprio, è normale con 1.400 giornalisti a disposizione e una produzione video sterminata?
«No, non è normale che il sito di informazione della Rai sia oltre il 20esimo posto della classifica dei siti più visitati. A Londra il sito della Bbc è tra i primi tre, la France television è tra i siti più frequentati: perché la Rai non ha un sito che primeggia grazie al traino dei suoi canali?».

Ce lo dica lei, è il presidente!
«Perché purtroppo nei vari consigli che si sono succeduti negli ultimi anni il fattore Internet non è stato affrontato in maniera costante e nessuno ci ha creduto veramente».
Ancora aspettiamo la nomina di Milena Gabanelli.
«Non c’ero a quel tempo e non posso commentare quello che è accaduto, ma il risultato strategico è che non abbiamo un sito di informazione all’altezza. Noi parliamo ogni giorno a 39 milioni di italiani. Dovremmo avere un sito che strabatte quello di Repubblica!».
Anche Raiplay è stata una meteora.
«È stato un esperimento riuscito, anche grazie a Fiorello, ma è chiaro che non basta. Ha dimostrato che quando la Rai azzecca la formula, funziona».
La formula l’azzeccate raramente però.
«Noi abbiamo una struttura concepita per mantenere il primato su Mediaset, ma quell’obiettivo non è più attuale. Occorre che le risorse vengano dirottate su nuove priorità».
Se la Rai non ci riesce?
«Se non cambia le proprie priorità editoriali, tecnologiche e le professionalità all’interno, da qui a tre anni rischia di scoprire che il suo pubblico si è ridotto in modo drastico. A quel punto tutti diranno: perché la Rai deve ricevere circa 1,8 miliardi di canone se è vista solo da una parte limitata della popolazione?».

Parla come un osservatore esterno, perché questo Cda non l’ha fatto?
«Questo Cda aveva contemplato un primo passo necessario con il piano industriale che prevedeva di togliere potere alle reti e creare delle divisioni tematiche. Il contrario di quanto avviene oggi, con ogni rete che fa tutto in verticale. Era un primo passo».
Perché vi siete fermati?
«Perché, quando si trattava di mettere in pratica il piano, è arrivato il Covid. Assorbito il primo colpo, l’Ad ha preferito non accelerare e tutto è rimasto fermo. Sono scelte operative. Devo aggiungere, a onor del vero, che è difficile fare una rivoluzione del genere in tempi di pandemia, con il personale che lavora in smartworking».
Lei è stato nominato dalla politica, il male oscuro della Rai. Cosa direbbe a chi sta in Vigilanza?
«La politica dovrebbe pensare a un mandato del Cda che duri 4 o 5 anni, quanto una legislatura. Chiunque arrivi in un’azienda complessa come questa ha bisogno di tempo per capirla».
Ci dica due riforme che andrebbero fatte subito.
«Noel Curran, direttore generale dell’European Broadcasting Union, ha offerto dei suggerimenti in Vigilanza. Ha citato tra i fattori che favoriscono l’indipendenza dei servizi pubblici la nomina dei vertici da parte di un organismo indipendente e il controllo da parte di organi di vigilanza altrettanto indipendenti. E tra i fattori che la indeboliscono, la politicizzazione delle nomine e le porte girevoli. Mi sarei aspettato un dibattito, invece gli sono state fatte solo poche domande».
È la stessa politica che ha nominato lei.
«Sì, ma nel mio ruolo ho fatto tutto quello che era possibile fare nei settori che ricadono sotto le deleghe a me affidate: l’audit e le relazioni internazionali. Tuttavia, nel Cda ho spesso ripetuto quello che le sto dicendo. Ma non sono discorsi che piacciono in generale alla politica».
Lei da un certo punto si è come ritirato dalla scena.
«Sì, mi sono reso conto che, in una fase di forte cambiamento anche politico del Paese, il modo migliore per onorare il mandato in uno spirito istituzionale era quello di non alimentare le polemiche».

Eppure lei era un fior di polemista sovranista, ricordo i tweet su Mattarella e su Putin.
«Nell’università sono un docente e so cosa bisogna dire in un’aula. Il blog ha un linguaggio suo, i social anche. Come presidente ho fatto il presidente, non ho voluto essere una figura politica ma colui che rappresenta tutta l’azienda. Ammetto che talvolta mi sono morso la lingua».
Tutti i programmi di taglio “sovranista” che avete lanciato sono stati un flop. Perché?
«Sono esperimenti che andavano calibrati meglio e con figure riconoscibili dal grande pubblico. Fare una trasmissione di successo richiede grande preparazione, tempi lunghi. Ricordiamo Floris e Porro. In questa Rai trovare interpreti di pensieri diversi è difficile. Un’altra questione riguarda invece i vecchi leoni».
Ce l’ha con Vespa?
«Non ce l’ho con Vespa, Venier, Annunziata. Fanno ascolti e meno male per la Rai che ci sono. Ma chiaramente hanno un’età per cui l’azienda dovrebbe aver preparato i nuovi talenti. Questo non avviene anche perché i tre anni di mandato te lo impediscono».
(Continua su La Repubblica)

 

(Nella foto Marcello Foa)