Pubblicato il 25/06/2021, 15:02 | Scritto da La Redazione
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Jerry Calà: Non è vero che ho tradito Mara Venier in viaggio di nozze

Jerry Calà: «Avevo 8 in greco, ma puntai sul cabaret. Mara esagera: non l’ho tradita dopo le nozze»

QN – Quotidiano Nazionale, pagina 16, di Massimo Cutò.

Che cos’è l’estate? «È uno stato d’animo, non una stagione». Eccolo qui Calogero Alessandro Augusto Calà, detto Jerry «perché facevo l’imitazione di Jerry Lewis», nato a Catania, sbarcato a Milano da bambino con papà e mamma, quindi studente a Verona dove vive in un palazzo del ‘700 a due passi dall’Arena. Sposato, divorziato, risposato, un figlio diciottenne, lunedì compirà 70 anni (e mezzo secolo di carriera). Attore, regista, sceneggiatore, cabarettista, cantante, showman. Un uomo da 120 serate l’anno, Covid permettendo. Campione d’incassi, il volto della commedia all’italiana anni ’80. I suoi film hanno macinato miliardi di lire al botteghino: «A un certo punto mi è venuta l’angoscia da successo. Telefonavo alle cassiere per sapere quanti biglietti avevano venduto», racconta.

Com’è iniziata l’avventura?
«Per gioco. Dovevo fare il professore, al classico ero fortissimo in greco e latino: doppio 8 in pagella, mi sono iscritto a Lettere antiche all’università di Bologna. Ma è la vita che decide per noi».
La sua prese un’altra piega.
«Suonavo il basso in un gruppo beat. II destino aveva la faccia di tre amici: Umberto Smaila, Franco Oppini e Nini Salerno. Mi convinsero a fare cabaret e partimmo per Roma prima e Milano poi, in cerca di fortuna. Erano nati i Gatti di Vicolo Miracoli. A scoprirci fu Cino Tortorella, il Mago Zurlì che ci portò alla Tv dei ragazzi. E da lì al mitico palco del Derby».
Com’era la vostra comicità?
«Innovativa. Basata sul ritmo e un’intesa perfetta. Litigavamo, certo. Ma anche questo aiuta a restare uniti».
Era divertente?
«Da pazzi. Vivevamo nello stesso appartamento. La sera all’ora dell’aperitivo arrivava una banda con Teocoli, Tozzi, Silvia Annicchiarico e Abatantuono. Diego era il nostro tecnico delle luci. Dopo finivamo in qualche trattoria a tirar mattina».
La tivù portò la popolarità?
«La consacrazione venne nel ’74 con Non stop, trasmissione geniale di Enzo Trapani. Senza conduttore, una staffetta di comici. Noi. la Smorfia di Troisi. Messeri, Gaspare e Zuzzurro, i Giancattivi con Francesco Nuti. Un cast di semisconosciuti a caccia di gloria».
Chi era il più bravo?
«Verdone mi entusiasmava. Entrava in camerino e provava i suoi personaggi memorabili».
Poi finalmente il cinema?
«Un’attrazione fatale. Benedetta da Carlo ed Enrico Vanzina, il profumo delle nostre vacanze».

Amori sotto l’ombrellone?
«Gli anni ’80 tra Rimini, Forte dei Marmi, Saint Tropez. E d’inverno Cortina, il personaggio di Billo al pianobar era un paradigma. È stato il boom».
Qual era il segreto?
«L’atmosfera. Lo specchio di un entusiasmo generazionale contagioso: la voglia di fare, provarci, rischiare. Sapore di mare è il simbolo: un gruppo di ragazzi del ’60 che si ritrova vent’anni dopo. Aria di libertà e cambiamento: capelli lunghi, minigonne, muri mentali che cadono. La battuta di Virna Lisi nel film è il riassunto: ci batteva forte il cuore. E nessuna censura, al contrario di oggi, adesso domina il politicamente corretto».
È ancora il re della Capannina?
«Agli spettacoli viene gente di 40-45 anni. E vedo molti ragazzi cresciuti con i miei film: le piattaforme digitali li hanno resi popolari a tutte le età».
Stessa spiaggia e stesso mare?
«Ho girato un videoclip intitolato Un’altra estate che va. Certe cose non cambiano, stanno nell’essere giovani».
La canzone dice: se guardo tutto quello che è successo / forse lo capisco solo adesso. È cosi?
«Abbiamo raccontato la nostra età come un affresco. Un’istantanea. Con leggerezza e verità».

Quanto le ha dato il cinema?
«Tanto. Anche se mi hanno etichettato come comico e basta. Un giorno mi telefonò Marco Ferreri: sai fare l’attore drammatico?, domandò. Risposi bluffando: certamente maestro. E lui: allora ti prendo. Diario di un vizio raccolse applausi unanimi al Festival di Berlino del ’93. Wenders volle stringermi la mano: una grande soddisfazione».
I critici hanno liquidato i suoi film come cinecocomeri e cinepanettoni.
«Ferreri s’incazzava con loro come una bestia. E anch’io ci ho sofferto. Sapevo di aver anticipato temi che sarebbero venuti a galla solo dopo».
Per esempio?
«II precariato. Il ragazzo del pony express è stata un’intuizione nata da un fatto reale. Un giovanotto con lo scooter, il casco e la pettorina suonò al portone: doveva consegnarmi un copione. Mi ha incuriosito. L’ho fatto entrare, lui ha raccontato la sua storia di laureato che cercava di sbarcare il lunario. L’ho portato dal fotografo e dal produttore Bonivento. Era già il manifesto di un film non ancora scritto».
Altri esempi?
«Yuppies ha preceduto nell’86 l’avvento della Milano da bere. Per non parlare di Vita smeralda che ho diretto nel 2006: la Sardegna del jet set, gli yacht, le feste e i festini. Satira di costume e critica sociale che hanno preceduto Vallettopoli».

(Continua su QN – Quotidiano Nazionale)

 

(Nella foto Jerry Calà)