Pubblicato il 22/06/2021, 17:34 | Scritto da La Redazione
Argomenti:

Report: il Tar permette di violare la segretezza delle fonti giornalistiche. Ecco perché

La sentenza del Tar su Report si fonda sull’eterno equivoco sul ruolo della Rai

Domani, pagina 11, di Giulia Merlo.

Il dibattito sorto intorno alla sentenza del Tar che obbliga Report a consegnare alcuni “documenti” utilizzati per produrre un servizio ha sollevato due questioni: il diritto alla tutela delle fonti giornalistiche e la natura della Rai. Per capirne i contorni vanno ricostruiti i fatti. Il 26 ottobre scorso Report ha mandato in onda un servizio dal titolo “Vassalli, valvassori e valvassini”, che approfondiva il ruolo dell’avvocato amministrativista Andrea Mascetti, iscritto alla Lega e molto vicino al presidente della Lombardia Attilio Fontana. Mascetti, negli anni, ha ricevuto numerose consulenze da parte di enti locali controllati dal partito. Dopo il servizio, Mascetti ha presentato ricorso al Tar per chiedere ai giudici amministrativi di ordinare alla Rai la consegna di «tutte le richieste rivolte dai giornalisti o dalla redazione di Report, tramite e-mail o con qualsiasi mezzo scritto o orale, a persone fisiche ed enti pubblici (comuni, province, ecc…) o privati (fondazioni, società, ecc…), per ottenere informazioni o documenti» riguardanti Andrea Mascetti e la sua attività professionale e culturale e «in particolare la corrispondenza personale intercorsa tra lo scrivente e soggetti terzi illustrata nella parte finale del servizio», insieme a «ogni altra corrispondenza che sia intervenuta tra i giornalisti o la redazione di Report con riferimento all’avvocato Andrea Mascetti o allo studio legale Mascetti».

A giustificazione della sua richiesta di ottenere tutte le carte su cui si è basato il servizio, Mascetti sostiene che questi elementi gli siano necessari «per poter promuovere iniziative a tutela del suo buon nome dinanzi alle competenti autorità giudiziarie e amministrative». Vale a dire, per sostenere una denuncia per diffamazione a mezzo stampa e per chiedere i danni in sede civile alla stessa Report.

La decisione del Tar

Per ottenere ciò che vuole, Mascetti fa leva sulla natura “ibrida” della Rai. dove Report va in onda In sostanza la tesi è: la Rai è un’azienda che fornisce un servizio pubblico, dunque soggetto alle norme di trasparenza dei soggetti di diritto pubblico, e il materiale chiesto è riconducibile al concetto di “documento amministrativo”. Inoltre, spiega Mascetti, la richiesta non è quella di conoscere l’identità delle fonti, ma di acquisire i documenti su cui è stato costruito il servizio televisivo. Gli avvocati della Rai obiettano sostenendo che l’attività editoriale e giornalistica non possa essere ricondotta nella sfera dell’attività di pubblico servizio della Rai. In ogni caso, poi, l’attività della Rai come azienda non comprende gli aspetti che riguardano le prestazioni giornalistiche e l’elaborazione dei singoli prodotti, che rientrano nella libera esplicazione dell’opera intellettuale del giornalista incaricata. Il Tar, tuttavia, accoglie parzialmente il ricorso e con la sua pronuncia mostra da un lato di conoscere in modo più che sommario il funzionamento di una redazione giornalistica, ma nello stesso tempo evidenzia l’eterna contraddizione della Rai.

Le fonti

Il Tar fa una diversa valutazione degli atti a cui Mascetti chiede di accedere e li divide in «dati», «informazioni» e «documenti». Ai primi due si può avere accesso con il cosiddetto “accesso civico”, che però è previsto solo per le società in controllo pubblico, escluse quelle quotate. La Rai, invece, emette strumenti finanziari quotati che la equiparano a una società quotata. Dunque, il Tar ha dichiarato inammissibile la richiesta di «dati» e «informazioni». L’accesso ai «documenti», invece, viene fatto con la forma dell’«accesso documentale» agli atti amministrativi, che invece è possibile nei confronti di tutti i gestori di pubblici servizi. E, secondo il Tar, la Rai ha sì una veste formalmente privatistica, ma conserva elementi pubblicistici come la nomina del consiglio d’amministrazione da parte della Commissione parlamentare di vigilanza, la destinazione di un canone e la proprietà pubblica.

Dunque, la richiesta di documenti è sempre possibile. Il ragionamento dei giudici amministrativi, quindi, è puramente tecnico-giuridico, ma si fonda su un sillogismo inaccettabile per la professione giornalistica e cioè che i servizi giornalistici della Rai, in quanta prodotti da un’azienda pubblica, siano atti di diritto amministrativo e non servizi giornalistici. Tradotto: i giornalisti non sarebbero liberi professionisti che producono opere intellettuali, ma dipendenti amministrativi che producono atti amministrativi che possono (nel caso dei documenti) o non possono (nel caso di dati e informazioni) essere soggetti alla richiesta di accesso da parte di chi ne abbia interesse qualificato. Dunque, in quanto atti amministrativi dovrebbero essere pubblici sia nella parte “visibile”, ovvero il servizio, che in quella “invisibile” che è il lavoro di ricerca retrostante.
(Continua su Domani)

 

(Nella foto Sigfrido Ranucci a Report)