Pubblicato il 20/05/2021, 19:02 | Scritto da La Redazione

Fabrizio Ievolella: Nei prossimi anni vedremo più show e talk show, ovvero tv veloce e a basso costo

Fabrizio Ievolella: Nei prossimi anni vedremo più show e talk show, ovvero tv veloce e a basso costo
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: parla l’amministratore delegato della casa di produzione Banijay Italia e prevede che l’intrattenimento sarà un contenuto sempre più usato anche dalle tv in streaming.

Fabrizio Ievolella: «L’intrattenimento va in streaming»

Italia Oggi, pagina 23, di Claudio Plazzotta.

Banijay Italia, società nata nel 2019 dall’unione di Magnolia e Dry Media, è probabilmente la casa di produzione più ecumenica di tutta la televisione italiana. Nel senso che produce programmi di punta per tutti i broadcaster tv: L’Eredità per Rai1, Il Collegio per Rai2, L’Isola dei famosi per Canale5, Piazza pulita per La7, Guess my age, Name that tune e Cuochi d’Italia per Tv8, Deal with it e Undressed per Nove, Bake off Italia per Real Time, la prossima edizione di Pekin Express per Sky Uno. Dopo un 2020 delicato, il 2021 è tornato in linea con i volumi di attività consueti, anche se il mondo della produzione, come sottolinea Fabrizio Ievolella, amministratore delegato di Banijay Italia, «andrà incontro a notevoli cambiamenti. L’intrattenimento, che ora è un contenuto distintivo della tv tradizionale, sarà sempre più utilizzato anche dalle piattaforme di streaming alla Amazon o Netflix. E quando sul mercato entrano interlocutori come Netflix o Amazon, impongono modelli di lavoro industriale che il comparto produttivo italiano non adotta. Il sistema produttivo, infatti, segue ancora regole artigianali, ci si fida molto della persona. Ma è una china pericolosa».

Perché è convinto che le piattaforme di streaming investiranno nell’intrattenimento?
Le piattaforme si stanno accorgendo che non possono vivere di sole serie tv o film, e si aprono scenari molto diversi sia sul fronte narrativo, sia su quello più strettamente economico. Fare intrattenimento, da un punto di vista produttivo, è molto più veloce rispetto alla realizzazione di una serie tv o di film: costa meno ed è molto distintivo. Vedi, ad esempio, il boom di LOL: un programma che teoricamente avrebbe un minutaggio insignificante per la televisione tradizionale. Ma che impacchettato come ha fatto Amazon è diventato un grande successo. Questo è un esempio virtuoso, con una resa altissima grazie a un meccanismo produttivo molto snello.
E Amazon e Netflix si stanno già muovendo in maniera massiccia?
Amazon e Netflix hanno capito bene il valore della proprietà intellettuale, e sanno perfettamente che se con loro costruisci il format giusto, tutti i soggetti della filiera svoltano. Perciò si devono costruire progetti da sviluppare insieme e da distribuire su scala globale. Il gruppo Banijay è presente in 20 nazioni con oltre 120 società, e quindi può diventare esso stesso una piattaforma distributiva globale. Peraltro oltre il 20% di Banijay è della De Agostini, un gruppo italiano, e l’amministratore delegato globale è Marco Bassetti, italiano. Avere una società così grossa, con dna italiano, operativa in Italia, deve essere uno stimolo per costruire proprietà intellettuali in Italia e poi portarle nel mondo, come è accaduto ad esempio con Undressed.
A proposito di mondo: come vanno le cose con Pekin Express, programma che andrà su Sky e che, per forza di cose, deve fare viaggiare i suoi protagonisti per il mondo?
Si potrà fare entro l’anno. Dipende dal piano vaccinazioni e dalle rotte in via di costruzione, dove introdurremo meccanismi con tante micro-bolle itineranti e isolate dalle altre.
Le piattaforme social, tipo Twitch, Instagram o YouTube, possono già essere ulteriore segmento di mercato per le produzioni di Banijay?
No, è antieconomico. E in Italia su quelle piattaforme ci sono numeri ancora troppo piccoli.
State invece realizzando produzioni originali per le piattaforme di streaming dei grandi broadcaster televisivi? Mi riferisco a RaiPlay, MediasetPlay, Discovery+, ecc.
Beh, c’è Discovery che sta facendo tanto, con una grande attenzione a costruire specifiche dinamiche di consumo. Mediaset ha capito già tempo fa che i suoi contenuti non dovevano andare liberamente in giro sul web. Magari in rete sono meno scintillanti, suscitano meno dibattito. Ma monetizzano tanto, in una logica molto Publitalia, e non si fanno ingannare dal luccichio del momento.

Banijay è impegnata in queste settimane nella produzione dell’Isola dei famosi, su Canale5: due puntate a settimana, ovvero uno sforzo incredibile…
Vero, non era mai accaduto in tutto il mondo. D’altronde Mediaset ci costringe a pensare ai programmi in maniera che per noi non è naturale: il nostro faro è la qualità, il prodotto prima di tutto. Quello di Mediaset, giustamente, è un compromesso tra qualità e redditività.
L’Isola dei famosi con due puntate a settimana. Il Grande fratello Vip che dura sei mesi. Il sistema produttivo come si può adattare a questi cambiamenti così repentini?
Oggi il sistema della produzione televisiva in Italia non è industriale, non funziona con regole industriali, ma segue di più le regole artigianali, ci si fida della persona. Tuttavia questa è una china molto pericolosa. Perché quando sul mercato entrano interlocutori come Netflix o Amazon, impongono modelli di lavoro industriale su tutti i fronti: amministrativo, produttivo, di formazione del personale. Perciò tutti gli interlocutori attivi nell’intrattenimento dovranno anche accettare che il settore si trasformi con logiche industriali. E serviranno aiuti pure da parte dello stato.
Nel senso?
Mi spiego: un tempo noi potevamo dedicare tre autori in esclusiva a un programma, e in questo modo facevamo formazione. Oggi i margini si sono ridotti, questa possibilità non c’è più, su un programma ci sono due autori che, in contemporanea, fanno anche altro. Il sistema tende a non autoalimentarsi, non ci sono professionalità che si autogenerano. E viene quindi meno anche la capacità artigianale. Allora serve una mentalità industriale, con aiuti statali da dedicare alla formazione. E con un sistema di tax credit che liberi surplus per investire e generare nuova linfa per il sistema produttivo, non per compensare la differenza di costi che i broadcaster non vogliono pagare.
(Continua sul giornale)

 

(Nella foto Fabrizio Ievolella)