Pubblicato il 20/04/2021, 17:04 | Scritto da Gabriele Gambini

Daniele Piervincenzi: Le mafie approfittano della crisi economica per insediarsi nel tessuto sociale

Daniele Piervincenzi: «Mappe Criminali racconta la morfologia nazionale delle organizzazioni mafiose, evitando la spettacolarizzazione del male»

Negli Stati Uniti lo chiamano true crime. Il racconto progressivo di fatti criminali realmente accaduti con la leva dell’inchiesta sul campo, abbinata all’affabulazione della narrativa di genere: dalla dilatazione cadenzata nella ricostruzione degli eventi, all’interludio con dichiarazioni dei protagonisti. Ingredienti di sicura efficacia per destare l’attenzione dello spettatore. Scoperchiando, nel caso di Mappe Criminali – in seconda serata ogni martedì su TV8 – un vaso di Pandora noto solo a metà.

«L’intreccio tra finanza e organizzazioni mafiose ha oggi raggiunto un nuovo livello di pericolosità, la mafia non è solo quella della violenza di strada, è quella dei colletti bianchi», spiega Daniele Piervincenzi, che del programma è gran cerimoniere. Ha persino rischiato di buscarsi una pallottola per aver ficcato il naso in affari scottanti. Gli era già capitato quando, ai tempi di Nemo, rimediò una testata da Roberto Spada, fratello del boss dell’omonimo clan. Lui non si scompone troppo, nel rievocare la scena. In Piervincenzi convivono la sana perversione etica del giornalista che conosce il suo unico padrone, il lettore o lo spettatore, e il piglio del giocatore di rugby, sport in cui la prima dote necessaria è possedere un cuore bello saldo.

Mappe Criminali traccia una morfologia precisa delle organizzazioni criminali in Italia.
Mafie diverse per origine e regione d’appartenenza, accomunate da un modus operandi e criteri di comportamento spesso simili. Con opportune distinzioni. La mafia garganica, per esempio, agisce in modo quasi sartoriale, artigianale, è legata ad ancestrali ritualità della terra. Per molti anni era diffusa tra i suoi adepti una modalità precisa nel regolamento di conti: sparare in faccia all’avversario, affinché nessuno ne ricordasse il volto, in una macabra damnatio memoriae. Ma oggi il pericolo vero, oltre agli episodi di violenza, è il solido legame tra attività criminali e imprenditoria pulita in apparenza. Su piazze insospettabili.
Due diversi livelli di azione.
Quando siamo stati in Calabria abbiamo cercato di ricostruire la piramide di comando della ‘ndrangheta. È acclarato che esistano due livelli strategici: il piano militare, dove viene eseguito il classico lavoro sporco, e il piano finanziario, dove si stabiliscono legami con la società civile.
Qual è il pericolo maggiore oggi?
Parlando di contingenza, il rapporto tra mafie e pandemia da covid. Il disegno dei clan, come rimarca il magistrato Nicola Gratteri, non è tanto l’infiltrazione nella sanità pubblica. È molto più ampio. Le mafie potenti stanno facendo rientrare ingenti capitali dall’estero, penetrando nelle attività commerciali redditizie vessate dalla crisi. Dalla ristorazione al turismo, passando per la moda. Parliamo di cifre a nove zeri in gioco. Un assalto in piena regola al tessuto sociale.

Qual è l’anello di congiunzione tra il tessuto sociale e l’assalto economico condotto dai clan?
Le figure contigue ai due mondi. Nel programma spieghiamo chi sono quei professionisti che si muovono in un limbo grigio e che, spinti dall’avidità, si mettono a disposizione dei boss per permettere loro l’ingresso nell’imprenditoria.
Siete tornati anche a Roma.
Dalla caduta del clan Spada al famigerato omicidio di Diabolik, il litorale romano sta diventando un laboratorio d’avanguardia per varie tipologie di attività criminali.
Esistono strumenti di contrasto a queste realtà tanto diffuse?
Gli strumenti investigativi a disposizione degli inquirenti sono tanti, molto efficaci. Soprattutto nei confronti della cosiddetta mafia militare, quella più nota, quella del pizzo agli esercenti e dei regolamenti di conti su strada. Per la mafia finanziaria invece, la situazione è ingarbugliata e inquietante. Siamo stati a Milano, a Ventimiglia, teatro di strategie fuorilegge sapientemente mantenute in sordina. Abbiamo raccontato di come i clan flirtino col mondo delle professioni.
Un esempio?
Ci sono avvocati disposti a pagare tangenti pur di rappresentare in tribunale mafiosi di spicco e acquisire contatti e visibilità.
Nel corso delle puntate se l’è vista brutta?
Penso al racconto della mafia garganica, tornata da poco sotto i riflettori della cronaca nazionale. Abbiamo avvicinato una persona coinvolta in numerosi omicidi – basti pensare che in quella zona, fino a non molto tempo fa, l’85% dei delitti rimaneva senza colpevole – che ha minacciato di sparare a me e alla mia troupe. Persino all’arrivo dei carabinieri, le minacce sono continuate.

Come fa a staccare la mente da momenti del genere quando non lavora?
Negli anni ho sviluppato una sorta di bipolarismo protettivo. Durante le inchieste non sono disposto ad arretrare di un millimetro. Quando sono a casa, trascorro il tempo con la mia famiglia, guardo le partite di rugby, mi allontano dalla pressione. Nella consapevolezza che, per fortuna, non tutti i luoghi d’Italia sono abbandonati.
La testata subita da Roberto Spada ha segnato la sua carriera.
Mi sono formato alla scuola di LA7, con Lilli Gruber e Paolo Pagliaro. Poi ho commentato il Sei Nazioni di rugby. Approdato a Nemo, mi sono confrontato con tematiche ad ampio respiro. Dopo l’episodio della testata sembrava che non potessi condurre altro se non inchieste sul crimine.
Che cosa si deve evitare, quando si confezionano programmi come Mappe Criminali?
Stare alla larga dalla fascinazione del male. La divinizzazione dell’eroe cattivo, frutto anche della spettacolarizzazione mediatica di alcune serie tv, è un equivoco che ha portato molti giovani ad avvicinarsi a realtà pericolose. Molti boss, in certe zone d’Italia, sono idolatrati. Ma, quando si entra a contatto con il loro mondo, non ci si trova davanti a eroi. Piuttosto a persone continuamente braccate, che conducono una vita triste e disperata.
Il rugby l’ha aiutata a tenere i nervi saldi nei momenti difficili?
Il rugby insegna ad avere una meta prefissata, a non sottovalutare la paura, a nutrire fiducia nel gioco di squadra. Il mio team di lavoro è il miglior supporto per ciò che faccio.
Un desiderio per il suo futuro professionale?
Racconto il true crime, ma sogno di condurre Linea Blu.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Daniele Piervincenzi)