Pubblicato il 12/03/2021, 16:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Massimo Callegari: “Io c’ero” racconta l’epica del calcio sperimentando linguaggi

Massimo Callegari: “Io c’ero” racconta l’epica del calcio sperimentando linguaggi
Il giornalista di Mediaset e Dazn racconta a TvZoom l'esperienza di Io c'ero, ciclo di podcast dedicati alle imprese memorabili del calcio internazionale, impreziositi dalla presenza in studio dei grandi protagonisti.

Massimo Callegari: «Ho un ricordo indelebile della mia esperienza di cronista durante i Mondiali di Russia 2018»

Capita che i luoghi comuni intorno al calcio siano così zuccherosi, da rendere necessaria una botta d’insulina preventiva per compensare una curva glicemica in fuorigioco, non raddrizzabile neanche dall’intervento del Var. «Il calcio è la metafora della vita», «Una partita giocata con il cuore», per non parlare del termine «narrazione», di cui si fa largo abuso oggi, pescando a piene mani dal carniere della retorica. Zucchero e miele. Eppure.

Eppure esiste anche il peperoncino, parafrasando il titolo di una popolare commedia all’italiana. È il condimento dell’anti-retorica, l’ingrediente che rende un racconto epico quanto basta per mettere in scena agonismo e sentimenti, prodezze e disastri. Trasformando il divano dello spettatore negli spalti dello stadio. Io c’ero, serie di podcast di Massimo Callegari targata Dopcast, ha lo strato di zucchero – senza esagerare -, ha il peperoncino, soprattutto ha un orizzonte: unisce la componente cronachistica (Callegari è telecronista di lungo corso, da Mediaset alle partite commentate su Dazn, dai Mondiali di Russia 2018 al campionato di Serie A, non scordando le incursioni su Radio105) alla testimonianza diretta dei protagonisti che le partite le hanno disputate, magari da outsider.

Ecco allora che nella puntata intitolata Bayern Monaco-Valencia, la finale più brutta della storia, il giornalista intervista il mitico Amedeo Carboni, a un passo dalla conquista del trofeo europeo col suo Valencia all’età di 36 anni, e però capace di sbagliare il rigore decisivo e di cadere dalla vetta nell’abisso. Oppure, nella puntata dedicata a Milan-Juventus del 2003, finale di Champions vinta dai rossoneri ai rigori, se ne parla con Sandro Piccinini, che della Coppa dalle grandi orecchie è aedo certificato.

Massimo Callegari: in Io c’ero si cerca un punto di vista laterale nel racconto del calcio.
La sfida è raccontare non solo ciò che il tifoso vuole sentirsi dire, ma i dettagli e le caratteristiche dell’imprevisto. Le grandi partite incoronano grandi vincitori, ma certificano anche il fallimento, a volte memorabile, degli sconfitti. Raccontare tutto ciò dà un senso al tempo trascorso, analizzandolo col giusto metro. Il bello del pallone sta nella sua componente umana amplificata.
Dare un senso al tempo. Che significa?
Prendiamo l’eliminazione della Juventus dalla Champions League nel 2018 contro il Real Madrid. Avevano accusato Gianluigi Buffon di aver esagerato con il suo sfogo nei confronti dell’arbitro, con quel «Bidone dell’immondizia al posto del cuore». Il portiere stesso ha ammesso di essersi lasciato prendere dalla delusione. Ma ripercorrere quegli istanti a bocce ferme significa far comprendere al pubblico la densità del momento vissuto. Sfumature impossibili da descrivere con il giusto distacco per un cronista costretto a scrivere un articolo sulla partita a pochi minuti dalla sua conclusione.
Dall’ultima, drammatica partita di Maradona con la maglia del Napoli, nel 1990, alla finale di Champions di Manchester 2003. Per non parlare della parabola di Amedeo Carboni, giunto a un passo dalla conquista della coppa più importante.
Le puntate su Amedeo Carboni e su Milan-Manchester del 2003 mi hanno dato gran soddisfazione. Soprattutto avere di fianco a me Amedeo, disponibile a raccontare quel che capitò nella sua partita più importante e più sfortunata. Non ero sicuro che si sarebbe messo a nudo volentieri, sfoderando aneddoti toccanti.

In questo periodo gli stadi sono vuoti. La tensione agonistica è alla mercè dei microfoni. Si sente tutto ciò che si dice in campo, improperi compresi, come nella scaramuccia Ibrahimovic-Lukaku. Un episodio banale per chi conosce il pallone, eppure stigmatizzato dal politicamente corretto.
Gli stadi vuoti amplificano percezioni dello spettatore un tempo impalpabili. Aggiungiamoci poi il regolamento, oggi giustamente più rigoroso nel tutelare i giocatori. E poi la presenza massiccia di telecamere e microfoni, la partigianeria di questo o quel cronista nel descrivere una vicenda. Credo che questa sia la ragione di una ricezione diversa di alcuni episodi rispetto agli anni Ottanta o Novanta. Le logiche del campo capita che vengano esasperate, fa parte del gioco. Capitò nei Mondiali 2006, con la testata di Zidane in risposta alle provocazioni di Materazzi. I giornali italiani difesero Materazzi, quelli francesi insorsero.
Da cronista Dazn: stupito dall’andamento di questo campionato?
L’Inter ha superato il suo momento di sofferenza e, dopo aver patito la mancanza di pubblico, sta puntellando le sue caratteristiche, avvicinandosi sempre di più allo Scudetto. Il Milan gioca a livelli altissimi, non me l’aspettavo. Sta dimostrando quanto la coesione di un gruppo conti. Non esistono solo le valutazioni dei data analyst. Mi ricorda in parte la Roma quando decise di puntare su un organico giovane, scoprendo grandi calciatori come De Rossi e Aquilani.
Quanto è cambiato il tuo approccio nel raccontare calcio rispetto ai tuoi esordi di carriera?
La mia identità è definita da vent’anni di lavoro, lo stile è formato. Cambia la consapevolezza di rivolgermi a un pubblico differente a seconda della situazione. Se commento calcio internazionale su Mediaset davanti a una platea generalista, spiego meglio alcuni tratti che dinanzi agli appassionati darei per scontati. In alcuni casi è bene essere didascalici, in altri ricercati.
E nei podcast?
È un esperimento per tutti. Un mondo che si sta ampliando velocemente e che consente di sperimentare un mix di generi. Il dono della sintesi, la leggerezza e il rispetto del tempo di chi ci ascolta sono peculiarità da tenere in conto.

Dazn sta aprendo la strada alle tv in streaming dedicate allo sport.
La strada è tracciata, le condizioni di fruizione nuove permettono di costruire l’evento televisivo anche con ingredienti inediti. Se per esempio confeziono un servizio su Lukaku, lo penso affinché resti il più possibile attuale anche a distanza di settimane o mesi, non solo nell’ottica della fruizione unica e immediata.
Lo spartiacque per l’evoluzione della tua carriera?
Commentare Juventus-Real Madrid nella Champions League del 2015 ha puntellato la mia consapevolezza. Poi ci sono stati i Mondiali di Russia 2018, un’esperienza pazzesca, un evento di successo trasmesso dai canali Mediaset capace di segnare un precedente. Abbiamo retto la pressione e coinvolto gli spettatori, nonostante la nazionale italiana non fosse qualificata.
L’intervista dei sogni?
Mi piacerebbe intervistare Leo Messi. Mi sarebbe piaciuto chiacchierare con Johan Cruijff. Vorrei anche intervistare Gary Lineker, un grande atleta e un conduttore calcistico dall’ironia e il talento impareggiabili.
I campioni del futuro?
Mbappe e Haaland sono destinati a sfidarsi per il Pallone d’oro come hanno fatto Messi e CR7. Gigio Donnarumma può superare i numeri di Gianluigi Buffon.
Però c’è una schiera di veterani che non si arrende e fa scuola ai giovani, Ibrahimovic davanti a tutti.
Le nuove tecnologie, le conoscenze alimentari e un allenamento finalizzato al recupero puntuale dello sforzo, consentono agli atleti di raggiungere una longevità agonistica un tempo impensabile. Fermo restando che gente come Ibra, CR7 e affini sono fenomeni.
Arriverà un nuovo ciclo di podcast?
C’è in cantiere un’idea molto bella che ancora non posso svelare.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Massimo Callegari)