Pubblicato il 10/03/2021, 19:05 | Scritto da La Redazione
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Quello scuolabus della paura ora è un docufilm

«La paura? Bruciare vivi». I ragazzi, i militari, Crema e quella lezione che arriva dall’autobus dirottato

Corriere della sera, pagina 22, di Beppe Severgnini.

Cinquantuno bambini sequestrati, altrettante famiglie disperate, due insegnanti e una bidella, alcuni carabinieri, una scuola e una piccola città in Lombardia. La vicenda dello scuolabus dirottato da Crema verso l’aeroporto di Linate nel 2019 è diventata un docu-film, andrà in onda sabato 13 marzo alle 21.25 sul canale Nove. Cronaca nera, infanzia e televisione sono una pessima combinazione, di solito. Se poi, come me, sei di Crema e conosci tutto – la scuola media statale «Giovanni Vailati» sta a duecento metri da casa, l’ha frequentata mio padre negli anni Venti, mia moglie negli anni Settanta, mio figlio negli anni Duemila – la visione diventa quasi insopportabile.

Invece si è rivelata terapeutica: per tutti, credo. Il merito è soprattutto dei ragazzi intervistati: allora dodicenni, oggi quattordicenni. Ma il regista Claudio Camarca ha usato occhi, testa e cuore. Il film, curato da Tommaso Vecchio e prodotto da Stand By Me per Discovery Italia, aiuterà tutti a capire alcune cose.

La storia

La vicenda, per cominciare. 20 marzo 2019, mercoledì. L’autista Ousseynou Sy – nato in Senegal, cittadino italiano da quindici anni – deve riportare, come sempre, due classi dalla palestra Serio alla scuola media «Vailati», che sta in centro. Ma si è messo in testa di dover vendicare i migranti africani morti nel Mediterraneo, e si è inventato un modo atroce per farlo. Armato di coltello e pistola – un’arma giocattolo, si scoprirà poi – lega i ragazzini con fascette da elettricista, si fa consegnare i cellulari e rovescia due taniche di gasolio dentro l’autobus. Si dirige verso l’aeroporto di Linate, distante 40 chilometri: intende incendiare il mezzo e farlo esplodere, con i bambini dentro. «Oggi nessuno da qui uscirà vivo», dice.

Ma due bambini, con l’aiuto dei compagni, riescono a nascondere i telefonini e contattare i carabinieri. «Vi prego correte, questo non è un film!»: la voce è chiara, nella registrazione. Due pattuglie accorrono, inseguono l’autobus, lo bloccano, riescono a liberare gli studenti appena prima che prenda fuoco. Cosa c’è da imparare? Almeno tre lezioni, forse quattro. I bambini avevano dodici anni, frequentavano la seconda media. Adesso ne hanno quattordici. Otto di loro raccontano, in una sala del museo di Crema, gli occhi nell’obiettivo della telecamera. Sorridono, ma non è difficile capire cosa gli è costato. Ma gli psicoterapeuti, consultati dalle famiglie, hanno suggerito di partecipare; e l’impressione è che sia stata la decisione giusta.

I ragazzini dicono cose intelligenti; per fortuna ingenue, ogni tanto. «Sono rimasta freezata», esclama una di loro. «”Avremo qualcosa da raccontare ai nostri figli!”. L’avrò ripetuto cinquanta volte, sceso da quell’autobus…», confessa un altro. Il più calmo del gruppo, quello che si è offerto in ostaggio e ha viaggiato vicino all’autista con un coltello puntato sulla pancia: «Hai paura della morte, ma soprattutto di bruciare vivo».

 

(Nella foto l’autobus bruciato)