Pubblicato il 23/02/2021, 19:02 | Scritto da La Redazione

Walter Siti analizza l’evoluzione del trash nell’era del politically correct

Walter Siti analizza l’evoluzione del trash nell’era del politically correct
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: lo scrittore si occupa de "La pupa e il secchione e viceversa" a 15 anni dalla prima edizione, quando machismo e body shaming non erano tabù.

Confuso fra pupe e secchioni anche il trash si finge edificante

Domani, pagina 14, di Walter Siti.

Certo come si fa a non sentirsi solidali coi poveri autori di La pupa e il secchione attualmente in onda su Italia1? Esperti di navigazione tra Scilla e Cariddi. Quando il programma esordì, 15 anni fa, era intonato al registro della farsa: c’erano ragazze belle e sceme, secondo il cliché dell’oca giuliva, e intellettuali nerd pallidi e stortignaccoli: alle prime si facevano domande di cultura generale, i secondi venivano interrogati sul trucco e sul gossip. Ne nascevano incroci buffoneschi, scintille di genuina ilarità, e per le pupe era un trampolino di lancio. L’oca giuliva era una maschera che poteva nascondere notevoli doti di intelligenza e astuzia, come nei grandi esempi cinematografici della Judy Holliday di Nata ieri (straordinariamente doppiata da Rina Morelli) o da noi di Sandra Milo.

Ma ad alcune pupe la parte riusciva talmente naturale da far sospettare che non stessero recitando. Anziché giocare con lo stereotipo machista, spesso la trasmissione lo assecondava, e il conduttore Enrico Papi non si tirava indietro. Ora, 15 anni dopo, la situazione sotto il cielo del costume è radicalmente cambiata. Innanzitutto perché la parità di genere è ormai un intrasgredibile dogma (più negli intenti che nella realtà), dunque alle pupe e ai secchioni si dovevano per forza affiancare i pupi e le secchione.

Pupe, secchioni e viceversa

Il personaggio del muscoloso idiota era già presente nell’immaginario collettivo (guardaspalle, cowboy ingenui, culturisti, gorilla), ma ora è geneticamente mutato con l’avanzarsi sul proscenio degli uomini-oggetto, dei ragazzi-immagine, di quella folta fauna di palestrati che hanno le stesse identiche ambizioni delle loro colleghe. Dal 2020 la trasmissione si è intitolata La pupa e il secchione. E viceversa (nell’attuale edizione 2021 le pupe sono cinque e i pupi erano tre, più un quarto entrato in corsa). Unisex è rimasta l’abitudine bizzarra di chiamare gli istruiti, maschi e femmine, col cognome e i supposti ignoranti, maschi e femmine, col nome di battesimo; forse perché negli appelli a scuola ci si conosceva per cognome, o postulando che gli ignoranti vengano sentiti dal pubblico come più familiari.

Il vero ostacolo però, quello insormontabile, è legato al nuovo modo di considerare il corpo femminile. I canoni della bellezza femminile, si sa, sono cambiati molte volte dall’antica Grecia ai giorni nostri: la Venere Callipigia, le dame angelicate del gotico, le belle di Rubens e Twiggy – ma sempre, accanto, c’era l’idea contrastiva della donna brutta, dalla leggenda su Saffo alla Fosca di Tarchetti, per non parlare dei comici (la signorina Silvani di fantozziana memoria). Ora la bruttezza è scomparsa dal novero del dicibile quando si parla di una donna: se una ragazza è bassa, sovrappeso e con un naso lungo e storto (pardon, “importante”), si ritiene giusto dire che “è bella in un modo tutto suo particolare”, perché la bellezza viene da dentro eccetera. Se no, scatta l’accusa di body shaming. In queste condizioni, qualunque persona dotata di buonsenso avrebbe concluso che non era proprio il caso di riesumare il programma, se il contesto è sfavorevole se ne prende atto, stop. Ma la struttura dei palinsesti televisivi ha ragioni che il buonsenso non conosce, e quindi i poveri autori si sono trovati legati braccia e gambe a due carri diretti in direzioni opposte titillare i residui di maschilismo, ma contemporaneamente appoggiare il mainstream progressista.

 

(Nella foto La pupa e il secchione e viceversa)