Pubblicato il 15/02/2021, 14:04 | Scritto da La Redazione

Francesco Sarcina: Droga, sesso e violenza. Questa è stata la mia vita

Francesco Sarcina: «Ero arrabbiato con la vita e anche il sesso era furioso. Adesso parlo con le piante»

Corriere della sera, pagina 27, di Candida Morvillo.

A pagina 2 della sua autobiografia, Francesco Sarcina si sta già facendo una striscia di coca nel bagno di un locale notturno. Glielo fai notare e lui: «Se è per questo, nella stessa pagina, e nello stesso bagno, sto anche già facendo sesso con una donna mai vista prima. Credo di aver passato più notti così che nel mio letto». Le 216 pagine scritte dal leader delle Vibrazioni sono un’epopea nera fra droga, sesso compulsivo, risse, alcol e rock ‘n roll. Dedicato a te, Vieni da me, Se, Dov’è sono solo alcuni dei successi che ha scritto, cantato, suonato. Nel mezzo, c’è tutta una vita da romanzo, ci sono la mamma che lo abbandona da adolescente, gli avi «terroni» che includono un bisnonno omicida e un nonno con un proiettile in pancia, un’infanzia con spaccio tra le periferie milanesi della Barona e di Gratosoglio, la musica per non pensare, le band nelle cantine, il padre depresso che poi finisce in sedia a rotelle e lui che deve occuparsene.

Ci sono le risse, una fuga all’estero e «il giorno in cui finirono un sacco di cose: un amore, un matrimonio, un’amicizia». Quel giorno lo aveva raccontato al Corriere nel luglio 2019, quando accusò la moglie Clizia Incorvaia di averlo tradito con Riccardo Scamarcio, suo migliore amico e testimone di nozze. Nel mezzo è il titolo del libro, edito da Sperling&Kupfer e in uscita domani con la prefazione di J-Ax, che l’ha aiutato a disintossicarsi, e la postfazione di Paolo Ruffini, che scrive «Francesco è bravissimo ad autodistruggersi volentieri, ma è anche bravissimo a rialzarsi».

Sarcina, perché raccontarsi in modo così crudo?
«Quando io e mia moglie ci siamo lasciati, in tv, si è scatenato un salottino di basso profilo. Tutti parlavano di me come se fossi solo la fine di quella relazione e non 25 anni di musica, di palchi sudati. Come se la mia vita non sia, invece, più intensa, drammatica, ricca di soddisfazioni e cadute. Mi ha fatto profondamente male perché sono il papà di due figli a cui devo qualcosa. Nina ha 5 anni e mezzo e temo il momento in cui avrà l’età per leggere su Internet certe cose sul padre. Tobia ne ha 14, l’ho visto soffrire. Gli ho voluto spiegare chi sono e che sono nato in ambienti dove c’erano violenza, droga e dovevi sopravvivere, sapendo picchiare e giostrartela. Gli ho detto: te lo racconto perché il silenzio è pericoloso. Mi ha detto che l’ho sconvolto nel senso buono. Dopo, ho pensato: quasi quasi, scrivo un libro».
Come entra la droga nella sua vita?
«I quartieri in cui sono cresciuto erano di un tale piattume che noi ragazzini guardavamo i più grandi con la voglia di stare dove accadeva qualcosa e lì c’erano solo droga e spaccare auto. Per strada, giocavamo a pallone, ma c’era sempre qualcosa da portare di qua o prendere di là. Quando fai il primo tiro di canna, pur di averne ancora, spacci e non solo. La coca, però, arriva molto dopo, quando già suonavo nelle cantine e il circolo di amici si è ingrandito e sa da chi arrivava? Non dai pezzenti come noi, ma dai figli di papà, quelli con la chitarra più bella, gli amplificatori più moderni».
Sua madre, a un certo punto, se ne va. Che ricorda di quel giorno?
«Sono tornato a casa e ho visto il vuoto, il buio. Fin lì, i miei litigavano, non c’erano soldi, papà si faceva i cavoli suoi, era sempre via, mamma aveva perso il figlio che aspettava ed era rimasta scioccata, ma comunque erano i miei genitori, erano le fondamenta della nostra casa modesta. Invece, quel giorno, loro crollano ed è come se si fosse aperta una voragine in cui sprofondava tutto. Il tempo si è fermato».

Si è fermato anche per suo padre?
«Lo ricordo sempre sul divano liso, stava lì immobile e cambiava la forza di gravità: entrare in casa era come entrare in un buco nero dove tutto si distorce. Per cui, stavo sempre fuori. E più stavo in giro, più tutto peggiorava. Ci hanno dato lo sfratto, ci hanno staccato la corrente per due anni. D’estate, come fai senza il frigo? Mangiavo solo pane e Nutella».
Con sua madre si è riconciliato?
«Anni dopo, mi ha chiamato dalla Puglia: voleva tornare a Milano. Sono andato a prenderla in macchina. Oggi che sono genitore anch’io, so che ha avuto un esaurimento nervoso, capisco come deve essersi sentita».
Quanta rabbia aveva dentro, da ragazzo?
«Ero arrabbiato con la vita e con le donne. Anche il sesso era cattivo, rabbioso. Preso il diploma, facevo il manovale, mi spaccavo la schiena, poi andavo in giro a suonare, rimorchiare e ammazzarmi di canne. Col tempo, alcol e coca hanno preso il sopravvento. L’alcol è la droga peggiore, la più subdola. Però non sono mai stato un tossico depresso, da paranoia. Forse, perché, avevo la musica: per me, scrivere canzoni è una medicina, una seduta di psicanalisi, mi mette a posto».
Com’è, adesso, essere sobri?
«Sento le voci, parlo con le piante e vedo gli spiriti: ho capito che la realtà si percepisce solo nella naturalezza di quello che sei. Ho capito che mi buttavo negli eccessi per staccarmi dalle sofferenze. E che poi mi dicevo che avevo bisogno delle sofferenze perché sulle sofferenze scrivo canzoni. Questo libro mi ha permesso di guardarmi a fondo come non avevo mai fatto».
Come si è disintossicato?
«Mi sono chiuso in casa per cinque mesi. Mi sono legato al letto. J-Ax mi ha suggerito di fare tutti gli abbonamenti a Netflix e simili. L’ho deciso mentre mi stavo separando, il giorno in cui mi hanno detto che forse avevo un tumore: ho sentito dentro così tanta violenza e cattiveria che non ho dormito. Quella notte, non ho visto la mia vita, ma quella dei miei figli. Mi sono detto: di questo passo non avranno un padre o, se lo avranno, starà su una sedia a rotelle per dieci anni, come è successo al mio. Allora, ho deciso di prendermi cura di me. E per fortuna, non avevo un tumore, ma solo un problema alla tiroide».

 

(Nella foto Francesco Sarcina)