Pubblicato il 22/01/2021, 11:35 | Scritto da La Redazione

Il mondo dello Spettacolo in rivolta contro Sanremo

Sanremo, la rivolta dello spettacolo

La Stampa, pagina 24, di Alberto Mattioli.

Tutti i teatri italiani devono restare chiusi al pubblico, dalla Scala alla sale parrocchiali. Chiusa la prosa, chiusa l’opera, chiuso il balletto, chiusi i concerti classici e jazz e pop, chiusi i cinema. Tutti chiusi tranne, pare, l’Ariston, perché si sa che senza il Festival di Sanremo non c’è salvezza, e insomma per chi decide l’Italia è ancora e sempre sinonimo di canzone, cuore e amore e via andare. Amadeus l’ha ripetuto ancora pochi giorni fa: farà di tutto perché Sanremo si faccia con il pubblico, magari su e giù dalla nave ancorata al largo, le troupe crocierate, la riserva di plaudenti tamponati. Fra chi il teatro lo fa e fra chi a teatro ci va la rabbia monta da giorni. Anche perché la prima delle due categorie è spaccata fra i tutelati, gli assunti delle fondazioni e degli stabili, che prendono la cassa integrazione, e i liberi professionisti, che vivono dei mille euro governativi al mese, se e quando arrivano, e non è che siano tutti divi con ingenti patrimoni.

Così ieri l’indignazione generale è esplosa con le parole di Emma Dante, grande regista di prosa e lirica, che su Facebook ha scritto quel che tutti pensano: «Se si decide di fare Sanremo con il pubblico, si riaprono i teatri e i cinema. È pacifico», e anche abbastanza lapalissiano: almeno nella disgrazia valga la par condicio. Apriti cielo. I social hanno plebiscitato l’uscita della Dante e subito sono arrivate altre dichiarazioni. Per esempio, quella di Manuela Kustermann, attrice e direttrice del Vascello di Roma: «Se il Festival di Sanremo apre al pubblico, mobilitiamoci, scendiamo in piazza. Ci sentiamo mortificati, dimenticati. Si parla di turismo, mai di cultura, mai di teatro. È vergognoso che da mesi il ministro Franceschini sia latitante, non dica nulla, non si esponga». In effetti, il Mibact sembra evaporato, tranne la nebulosa idea della «Netflix della cultura» che non convince nessuno e drenerà ulteriori risorse all’unico teatro che conta davvero: quello che si fa in teatro, davanti al pubblico, in carne, ossa, lacrime e risate.

Renzo Arbore, Al Bano e Iva Zanicchi

E non sono le solite élite snob a dire che vedere l’Ariston aperto e la Scala chiusa sarebbe una vergogna planetaria. Renzo Arbore, campione del nazionalpopolare, è chiarissimo: «Il Festival faccia di necessità virtù. Il pubblico vero non si può avere, ma dei figuranti sì. Basteranno ad Amadeus e Fiorello che sono bravissimi e sapranno inventarsi qualcosa di adatto per giocare comunque. Non si può fare finta di niente: gli spettatori sanno benissimo che teatri e cinema sono ancora chiusi e che è un Festival nato in una pandemia».

E Al Bano, uno che sta a Sanremo come la Nutella al pane? Lui è addirittura per il rinvio: se deve diventare «un Festival a metà», si chiede, allora «non sarebbe meglio aspettare tempi migliori?». Quanto a Iva Zanicchi, altra sanremese dop, dice che «non si può fare un Festival di Sanremo senza il pubblico e il suo calore. Sarebbe molto triste».

 

(Nella foto il Festival di Sanremo 2020)