Pubblicato il 29/12/2020, 16:02 | Scritto da La Redazione

Renzo Arbore e i suoi antidoti alla depressione da lockdown

Vaccino, sorrisi e belle canzoni. La cura Arbore per battere la pandemia

Domani, pagina 14, di Enrico Fierro.

«Caro Maestro…». «Aé (tipica espressione napoletana capace di racchiudere in sé ironia e finto stupore, ndr), maestro, maestro. Ma lei lo sa cosa diceva il grande Vittorio Gassman?». Ovviamente l’intervistatore non lo sa e aspetta la risposta da Renzo Arbore. Classe 1937, pugliese di Foggia e napoletano per desiderio, il personaggio è indefinibile. Nel senso che non si sa come etichettarlo, perché nella vita è stato ed è mille cose. Conduttore radiofonico con Gianni Boncompagni, come Bandiera Gialla, Per voi giovani, Alto gradimento. Creatore di personaggi strampalati e censurati come il colonnello Buttiglione, una parodia gradita dal pubblico tra gli anni Sessanta e Settanta, ma non dall’interessato che esisteva davvero e che non apprezzava quel suo doppio radiofonico. Scopritore di talenti, dai musicisti ai comici, come Nino Frassica, Riccardo Pazzaglia, Maurizio Ferrini. Inventore e dissacratore della televisione con Quelli della notte e Indietro tutta, grandi successi diventati programmi cult. Attore in diciotto film e regista in due, il censuratissimo Pap’occhio, con Roberto Benigni, e Ffsg che mi hai portato a fare sopra Posillipo.

Sempre all’avanguardia (fin dagli anni Sessanta, quando alla radio portò i dischi di un gruppo sconosciuto e poco gradito dai vertici Rai, i Beatles), sempre controcorrente, sempre sorridente. Parlare con lui, scambiarsi opinioni sull’attualità e giocare con i ricordi del passato, è un piacere. Sentirlo parlare di musica e canzoni, un privilegio. È una girandola continua tra i vicoli di Napoli e le stradine di New Orleans. Un diluvio di personaggi citati perché conosciuti e dai quali Arbore ha attinto a piene mani. Con molti di loro, da Murolo a Carosone, ha duettato in giro per concerti. L’uomo è il personaggio: una tempesta di idee e di progetti per il futuro. Ovviamente per la tv, che considera la sua seconda casa, il web, dove è attivissimo e frenetico navigatore, la musica e i concerti dal vivo con la sua Orchestra italiana. Ma veniamo al dunque.

Maestro, cosa le diceva Gassman?
Caro Renzo, stai attento, quando iniziano a chiamarti maestro, vuol dire che sei già nella fase discendente.
Non mi pare il suo caso, lei ha sempre nuovi progetti. Ci dica cosa sta facendo in questo periodo di clausura forzata?
Appena finisco di parlare con lei devo fare gli ultimi ritocchi al nuovo programma per il mio canale www.renznarborachannel.tv. È in rete da lunedì, basta cliccare.
Maestro, ci dica ‘o titolo, il titolo.
Aspettando il vaccino.
Parliamo subito di cose serie?
Serissime, il vaccino è essenziale per uscire da questa orrenda situazione. Mi vaccinerò e voglio dare un contributo perché la gente si vaccini, ma lo farò a modo mio, proponendo sorrisi e buonumore.
Lei è ottimista, ma quale Italia cl lascia in eredità questa pandemia?
Io sono un vichiano, nel senso di Giambattista Vico, filosofo napoletano. Credo nei corsi e ricorsi storici e ho pure una certa età. Quindi ho visto tutto. La guerra a Foggia, da bambino, e il dopoguerra il paese distrutto, in macerie, e la voglia di fare. Il cinema con i suoi grandi protagonisti, dal neorealismo alla commedia. Registi e attori erano creatori, inventori, vincevano Oscar e diventavano scuola mondiale. Quelli di oggi, anche i bravi che pure ci sono, sono solo degli epigoni. Ho vissuto la musica. Le melodie e i suoni nuovi che arrivavano dagli Stati Uniti, il jazz, il blues. Ho visto crescere la Repubblica grazie alla voglia di fare degli italiani. Si lavorava, si ricostruiva, si voleva stare al passo della modernità. Costruimmo l’Autosole in soli due anni. Ho visto la gente riscoprire la voglia di amarsi, di volersi bene. Ma lei lo sa che in alcuni paesi della mia Puglia i preti andavano d’accordo con i comunisti? Quella di Peppone e don Camillo non fu una storia del tutto inventata. Ho vissuto il boom economico, un periodo fantastico, artisticamente paragonabile alla Belle Époque. Quanta voglia di divertirsi, che miniera è stata la musica leggera italiana di quel periodo. E poi la politica, la prima Repubblica con le sue convergenze parallele e i governi balneari, il ’68, gli anni bui del terrorismo, il crollo del Muro, la Milano da bere, e l’avvento di Berlusconi, le seconde e terze repubbliche, e Grillo. Fino a oggi, a questo revanscismo di destra che spero passi presto e prima possibile.

Maestro, nutre delle speranze?
Certo. Non sono mai stato un comunista, neppure quando era di moda e quando la sinistra esercitava, come si diceva ai tempi, la sua egemonia culturale, diciamo che ci siamo rispettati. Ma spero fortemente che dopo questa grande crisi la gente ripensi a sé stessa e al modello di vita. Spero che si accantoni per sempre un periodo tutto votato al consumismo, al tornaconto personale, alla venerazione del dio denaro. Forse la clausura forzata ci ha aiutato a riflettere, forse riusciremo a ripulire il futuro dopo questi anni volgari e sbrindellati.
II suo contributo è il sorriso, l’ironia e la dissacrazione intelligente.
Parlavo prima del mio canale tv, un canalino, cerco di far sorridere e la gente mi segue. Pensi che riproponendo un pezzo di Riccardo Pazzaglia che cantava con Simona Marchini una canzone ironica dal titolo Me ne vado a fare il guru (provi a pronunciarlo velocemente e capirà), abbiamo fatto 700mila visualizzazioni.
Ascolti da talk show televisivo.
Sì, ma senza urla, invettive, grida e offese. Pubblico nevrotizzato.
In una notissima gag di ormai trent’anni fa, lei e Nino Frassica convinceste un disperato Massimo Troisi che non era lui, ma Rossano Brasi, attore del cinema dei telefoni bianchi. Perché lo diceva la televisione. Si trattò di un vedere lontano, anticipaste i tempi di oggi dove davvero la tv può importi le sue verità?
Sì può succedere, forse sta succedendo. Indietro tutta nacque proprio come forma di protesta verso la tv dell’epoca anni Ottanta del secolo passato. Se li ricorda i quiz dove si doveva indovinare quanti fagioli fossero contenuti in un barattolo? E il come si chiama, da dove chiama? Non mi piaceva, non piaceva a Ugo Porcelli che con me firmava il programma. Mi irritavano le ballerine del Drive In. Insomma, non ci piaceva quel tipo di tv che ci portava indietro, ci faceva regredire come spettatori e come Paese. Se altri mettevano in campo ballerine scosciate, noi li prendevamo in giro con le Ragazze Coccodé, ai quiz fessi replicavamo con il Che sta pensando quiz? Alla pubblicità ossessiva che serviva ad ammaliare il telespettatore trasformandolo in consumatore compulsivo, replicammo con il Cacao Meravigliao, un prodotto inventato, inesistente, che però la gente andava a cercare nei supermercati. Ci divertivamo prendendo in giro le trasmissioni bluff. Ora è diverso, c’è la dittatura dell’Auditel, non si premia più la qualità, ma la massa degli ascolti. Anche i critici televisivi si sono fatti sottomettere. Una volta, con giornalisti e scrittori del calibro di Sergio Saviane (grande critico tv dell’Espresso, ndr) i programmi erano belli o brutti. Non si discuteva. Ora l’aggettivo artistico è scomparso dal vocabolario televisivo, non va più di moda. Per tornare alle verità che la televisione può imporre, pensi che una volta in un programma di Piero Chiambretti mi divertii a simulare il mio fidanzamento con un’attrice, Sonia Aquino, di Avellino. Il gossip prese quota, i giornali mi cercavano, le tv volevano intervistare la mia nuova fiamma. Era una bufala ma ci cascarono tutti. Litigammo pure, sempre indiretta tv, e ci cascarono ancora. La mia televisione ha lo scopo di far sorridere. Da me la gente si aspetta il sorriso e la bella canzone. Ecco, se non fosse il titolo di un settimanale, potrei dire tv, sorrisi e canzoni.

 

(Nella foto Renzo Arbore)