Pubblicato il 07/12/2020, 19:02 | Scritto da La Redazione
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La Netflix della cultura fatta con i privati e non con la Rai

La Netflix della cultura fatta con i privati e non con la Rai
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: continuano le polemiche dopo l’annuncio della nuova società creata dal Ministero dei Beni culturali e Chili Tv di Stefano Parisi.

Ecco la “Netflix della cultura”: è il nuovo gioco della politica?

Il Fatto Quotidiano, pagina 16, di Tomaso Montanari.

Cosa sarà la “Netflix della cultura” così fortemente voluta dal ministro Franceschini? Per ora si parla di mettere in scatola lo spettacolo dal vivo: una soluzione forse comprensibile come estrema misura di emergenza, ma suicida come obiettivo di lungo periodo, quanto lo sarebbe immaginare una scuola per sempre in dad. Perché, come ha scritto Marco Baliani, così «ci si abituerà delegare il nostro sguardo alle varie telecamere che riprendono il mondo. Quando assisto a uno spettacolo teatrale ripreso in streaming io vedo quello che operatori registi e montatori hanno deciso di farmi vedere, non posso mica dislocare lo sguardo altrove nello spazio scenico, perché quello che ho di fronte è uno spazio piatto bidimensionale, senza profondità e senza volumi. Ma soprattutto senza odori, senza fremiti, senza corpi accanto al mio che mi trasmettano emozioni e sensazioni, senza possibilità di decidere da cosa voglio essere attratto». Il che darebbe un colpo mortale non solo al teatro, ma anche alla nostra capacità di relazione, di autogoverno, di pensiero critico: di democrazia. E poi c’è il modo in cui tutto questo sarà fatto.

L’investimento

I dieci milioni di euro investiti dal ministero per i Beni Culturali (che contemporaneamente condanna a morte archivi e biblioteche per mancanza di soldi, e dunque di personale), e il controllo pubblico attraverso il 51% detenuto dalla Cassa Depositi e Prestiti potrebbero far pensare alla rinascita di una strategia pubblica nella diffusione della cultura. Ma il fatto che l’altro socio sia la piattaforma privata Chili, fondata da Stefano Parisi (già candidato del Centrodestra contro Beppe Sala a Milano), richiama l’ormai endemica incapacità del pubblico di cavarsela da solo, la sua irreversibile inclinazione ad affidarsi a interessi privati garantiti dal sottobosco della politica.

A parte l’imperdonabile provincialismo dell’idea di una “Netflix de noantri”, è impietoso il paragone tra la politica che seppe fondare e far crescere la Rai e una politica che partorisce una simile trovata. Perché non si è puntato proprio sulla piattaforma pubblica che già esiste, inarrivabilmente ricca di contenuti culturali? Alludo naturalmente a Rai Play, patrimonio comune di tutti noi. La risposta a questa diffusa obiezione è stata che si è provato, certo: ma l’ostacolo era proprio la sua natura pubblica e gratuita. Uno Stato che si è ritirato da ogni comparto produttivo della cultura, mettendo in mano tutti i servizi redditizi dei musei a rapaci concessionari legati a doppio filo alla politica, vuole ora fare l’imprenditore.

C’è un’altra ragione, credo. Ed è che rinunciando alla Rai, il Ministero “della Cultura” evita una necessaria mediazione: con tutti i suoi difetti (tantissimi), con tutte le sue occasioni perse, con tutta la sua vergognosa lottizzazione, la Rai (specie per la cultura) rappresenta comunque un filtro rispetto al controllo della politica. Che in questa nuova struttura guidata da Cassa Depositi e Prestiti rischia invece di essere senza freni.

 

(Nella foto Chili Tv)