Pubblicato il 26/11/2020, 19:03 | Scritto da La Redazione
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Michele Serra e l’addio a Maradona

Se fossi napoletano

La Repubblica, pagina 34, di Michele Serra.

Incredibile quanta gente piange, in televisione, sul web, al telefono, in giro per il mondo intero. Piangono i conduttori e i giornalisti, piange chi per lavoro spesso specula sul pianto degli altri, e ora alla telecamera offre, finalmente, il suo. Perfino il vizio retorico tipico dell’informazione annega e scompare, nel mare di lacrime che accompagna Maradona nell’oltretomba. Le lacrime non hanno la grevità o la banalità delle parole, le lacrime sono il corpo umano che parla per conto suo, senza bisogno di articolare parole.

Per un giocatore di pallone? Beh certo, per un giocatore di pallone, lo sport è stato inventato apposta per dare vita materiale ai nostri sogni, al bisogno di eroi, di dei (nel senso greco), di gesti perfetti, di imprese ammirevoli, di vittoria che ci redime dalla mediocrità, dall’affanno, dalle miserie, e costruisce la nostra epica di massa. Diego come Ettore, Achille, Enea? Beh certo, Diego come Ettore, Achille, Enea.

Un eroe per tutti

Tanto più perché era nato disgraziato, «in un posto dove non c’è nulla, ci sono stato e non c’è nulla», dice un giornalista (bravo) con gli occhi rossi. Un povero che diventa un dio, non è abbastanza per farne un’icona planetaria, non è abbastanza per dire, come dice un bravo telecronista, piangendo, «lui ci sarà per sempre»? Non fatevi troppe domande, voi che non amate il calcio o non lo capite, ed è vostro diritto. Perdonate a cinque o sei miliardi di persone questo dolore così semplice, così unanime, così grande. Se fossi argentino avrei pianto tutta la notte, se fossi napoletano piangerei ancora adesso.

 

(Nella foto Maradona)