Pubblicato il 12/11/2020, 19:05 | Scritto da La Redazione
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Pippo Baudo e quella volta che Alberto di Monaco voleva il Festival di Sanremo

Pippo Baudo: «Non scartateci, abbiamo tanto da fare»

Famiglia Cristiana, pagina 29, di Antonio Sanfrancesco.

Pippo Baudo, 84 anni, se ne sta tranquillo nella sua casa di Roma. Ha appena finito di guardare in Tv i funerali di Gigi Proietti.

Che ricordo ha di lui?
«Era il 1971, al Teatro Sistina di Roma erano in corso le prove di Alleluja brava gente con Renato Rascel e Domenico Modugno. I due litigarono, e Modugno, che aveva un carattere fumantino, se ne andò. I registi, Garinei e Giovannini, mi chiamarono disperati. Gli dissi di andare a vedere un certo Proietti che in quel periodo lavorava al Teatro delle Muse. Lo videro e se ne innamorarono. Io lo premiai subito invitandolo a Fantastico, dove si alternava ogni settimana con Monica Vitti. È difficile trovare un altro artista come lui, sapeva fare tutti i generi: alto e basso, colto e popolare, il teatro scespiriano e le barzellette. Un genio».
Il presidente della Regione Liguria Toti ha detto che voi anziani non siete più «indispensabili allo sforzo produttivo del Paese».
«Sciocchezze. È vero che non siamo più produttivi come quando avevamo 40 anni, ma siamo utili in tanti altri modi: diamo una mano ai figli, seguiamo i nipoti. Non vorrei che si facesse spazio anche in Italia la teoria del premier inglese Boris Johnson, che a marzo sosteneva che per arrivare all’immunità di gregge era giusto tenere aperto tutto e sacrificare gli anziani. Sarebbe crudele se facessimo come gli spartani, non bisogna arrivare a questa disumanità».
Come trascorre le sue giornate?
«Non ho tanta voglia di uscire, sto bene, la mia casa è grande e posso muovermi. Se esco la gente mi riconosce anche con la mascherina, mi chiedono una foto, un autografo, un abbraccio. Come si fa a sottrarsi? L’affetto del pubblico merita grande riconoscenza. Però questo Covid-19 è una brutta bestia, non ci vuole abbandonare».

(…)

Lei ha vissuto tanti periodi difficili della storia d’Italia. Questo com’è?
«Peggio della guerra. Nel luglio1943, dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia, avevo 7 anni. Fuggimmo da Catania a piedi, verso la casa di campagna. Mangiavamo erbe, non c’erano né pane né carne. Ricordo benissimo i bombardamenti sull’aeroporto di Catania e lo scontro tra tedeschi e alleati. Questa è una guerra vera, forse anche più brutta perché il virus spara in maniera subdola e tu puoi solo difenderti e non sempre ci riesci».
A tenerci compagnia in questa clausura forzata è rimasta soprattutto la Tv. Le piacciono i programmi di oggi?
«Per niente. La Tv di oggi è brutta e ripetitiva. Da 15 anni fanno sempre gli stessi spettacoli, una minestra riscaldata, molti programmi sono stupidi, non solo non abbiamo più grandi propositori e artisti, ma la cosa drammatica è che mancano anche gli autori. Importiamo format dall’estero mentre ai miei tempi eravamo noi a esportarli fuori. Il mio Luna Park del 1979 fu un successo straordinario, copiato ovunque e da tutti».
Anche il Festival di Sanremo quest’anno è a rischio.
«Un gran bel guaio. Bisogna rivoluzionare tutto, mettere il plexiglas tra il pubblico, distanziare l’orchestra che finirà per mangiarsi tutto il palco, che non è grandissimo, con il rischio che chi sta in fondo non veda nulla».
Il Teatro Ariston è la sua seconda casa, lo conosce benissimo.
«Ho presentato il Festival tredici volte. Ma lo sa che il principe Alberto di Monaco voleva “scipparlo” all’Italia e io l’ho salvato?».
Racconti…
«Un giorno venne a trovarmi a Sanremo e mi proposte di trasferire la kermesse a Montecarlo. Gli risposi: “Se lo faccio mi ammazzano”. Poi chiamai l’allora sindaco di Sanremo, Leo Pippione, e gli dissi di chiamarlo “Festival della canzone italiana di Sanremo”, così nessuno si sarebbe appropriato del format. Sanremo è il Festival, se lo fanno da un’altra parte non interessa a nessuno».

 

(Nella foto Pippo Baudo)