Pubblicato il 23/10/2020, 11:35 | Scritto da La Redazione
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Emily fa schifo, ma me la guardo tutta di fila

Emily fa schifo, ma me la guardo tutta di fila
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: la serie di Netflix su una giovane americana a Parigi spopola ovunque, a partire dai social. Qual è il segreto del successo? Prova a spiegarlo un articolo (acidulo) del nuovo quotidiano “Domani”.

La serie Emily in Paris fa schifo ma non si riesce a smettere

Domani, pagina 15, di Giulia Pilotti.

È difficile guardare Emily in Paris senza farsi esplodere un paio di vene, soprattutto per chi ha a che fare con il mondo della moda, che è noto per essere il festival dell’umiliazione gratuita. Credo che la mia amica a cui durante la fashion week hanno letteralmente tirato una pianta, con il vaso e tutto quanto, sarebbe d’accordo con me. Eppure da quando è uscito a inizio ottobre Emily in Paris è in cima alla classifica dei programmi più visti su Netflix e sui social sembra che nessuno stia guardando nient’altro.

L’Internet è invaso da recensioni che dicono più o meno tutte la stessa cosa fa schifo, ma è perfetto per l’hate watching, che è tanto vero quanto deprimente. È la nostra versione del fight dub, ma senza violenza fisica e, purtroppo, senza gli addominali di Brad Pitt non proviamo talmente più niente nelle nostre vite ordinarie, che per sentirci vivi basta un’americana troppo sicura di sé da detestare.

Ci vuole talento per l’orribile

Quando mi sono trasferita a Milano, nove anni fa, ero una diciannovenne che non sapeva fare niente e il mio interesse ricadde in modo abbastanza casuale e un po’ per esclusione sull’editoria. Dire che l’ho presa alla larga è riduttivo. il mio primo lavoro consisteva nel volantinare fuori da teatri e librerie durante i giorni di un festival letterario (ve li ricordate i festival? No, neanch’io). Il primo fondamentale consiglio di carriera lo ricevetti da un ragazzo senegalese che vendeva i libri su Nelson Mandela davanti alla Hoepli: se stai all’aperto a novembre farai meglio a indossare dei guanti. Quasi un decennio più tardi tutte le mie mansioni si svolgono al chiuso e un paio di cose dopotutto le ho imparate, ma mi sento sempre l’ultima ruota del carro. Un po’ c’entra una mia predisposizione caratteriale all’ultimaruotadelcarrismo, un po’ credo che sia così che ci si sente a quest’età.

Non so se sia una questione femminile o generazionale o italiana o se non sia neanche una questione, ma forse è per questo che Emily, con il suo successo privo di conflitti reali, i suoi vestiti costosi, i suoi uomini attraenti, i suoi ventimila follower ottenuti senza sforzo con foto di croissant e autoscatti dalle didascalie ragionate più o meno quanto un rutto, ci fa venire voglia di spaccare il computer a calci. Certo, se avessi sentito bisogno di realismo mi sarei vista un documentario o avrei ripescato il dvd dell’Odio, ma se volevo vedere una serie di fantascienza mi guardavo StarTrek. Dov’è la complessità? Dove sono le crisi di pianto, gli herpes da stress, i conti in banca desolati? Sono in un’altra serie.

 

(Nella foto Emily in Paris)