Pubblicato il 22/10/2020, 14:32 | Scritto da La Redazione

Netflix e gli altri si buttano sulla pubblicità

Netflix e gli altri si buttano sulla pubblicità
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: i servizi in streaming a pagamento pensano di allargare il loro business aprendo agli spot. Tremano Rai, Mediaset, Sky e Discovery.

Le piattaforme di streaming vanno a caccia di pubblicità

ItaliaOggi, pagina 23, di Claudio Plazzotta.

Fino a questo momento le piattaforme di contenuti in streaming tipo Netfiix e i broadcaster televisivi tradizionali hanno viaggiato su business differenti, senza farsi troppa concorrenza: le prime si reggono su un sistema di abbonamenti pay, i secondi hanno un modello di ricavi basato sostanzialmente sulla raccolta pubblicitaria, e vedono come concorrenti Google e Facebook, ma non Netflix o Prime Video. Tuttavia, osservando le ultime mosse degli over the top, questa sorta di tregua armata potrebbe anche venire meno. Nel senso che sono sempre più i big che iniziano a offrire piattaforme Avod (advertising video on demand) di contenuti in streaming, finanziate quindi dalla pubblicità.

Qualche esempio? Chili, Rakuten, Peacock del colosso Nbc (con un’offerta gratuita e con pubblicità, e una a pagamento), Hulu basic (gruppo Disney, con una offerta a 5,99 dollari al mese con pubblicità, una a 11,99 dollari senza pubblicità, e infine una a 54,99 dollari più ricca e con eventi live), Tubi (gratis, del gruppo Fox corporation, che non ha nulla a che fare con la 21st Century Fox passata a Disney), Pluto tv (gratis, di ViacomCbs), Cbs all access, che tra qualche settimana farà un rebranding e diventerà Paramount+ (è sempre gruppo ViacomCbs, e propone un prezzo di 5,99 al mese con la pubblicità, e di 9,99 al mese senza inserzioni commerciali), Hbo Max (WarnerMedia) che nel secondo trimestre del 2021 lancerà la sua offerta a prezzi di abbonamento molto bassi ma con pubblicità.

Il dominio di Google e Facebook

Perfino Neetflix, per bocca del suo fondatore Reed Hastings, ha da poco sottolineato come la sua rinuncia, per ora, alla raccolta pubblicitaria non sia qualcosa di filosofico, ma, più semplicemente, una ragione di business poiché, dice Hastings, al momento non si è trovato il modo giusto di fare concorrenza a Google o Facebook, che dominano il mondo dell’advertising digitale. È chiaro a tutti, però, che se le piattaforme di streaming a pagamento dovessero in massa spostarsi anche sul business della pubblicità, questo metterebbe in crisi molti gruppi televisivi: il target pregiato e giovane delle piattaforme, infatti, è quello che interessa di più alle aziende. E, in Italia, a essere penalizzati potrebbero essere Rai, Mediaset, ma soprattutto Sky e Discovery.

Negli Stati Uniti, in base alle analisi di Ampere, il 17% degli utenti di Internet sta utilizzando una o più piattaforme Avod nel terzo trimestre 2020, in crescita di quattro punti rispetto al 13% del terzo trimestre 2019. Per esempio, c’è Tubi che offre oltre 29 mila titoli, cinque volte di più dei film proposti da Netflix, e superato solo da Prime Video quanto ad ampiezza del catalogo. D’altronde la forza del catalogo è fondamentale per i servizi Avod, e serve ad assicurare un engagement costante e quindi avere alti ricavi pubblicitari.

 

(Nella foto il logo di Netflix)