Pubblicato il 16/07/2020, 11:32 | Scritto da La Redazione

L’addio al Commissario Montalbano

L’uscita di scena del commissario. E il fastidio per il suo doppio in tv

Corriere della Sera, pagina 44, di Cristina Taglietti.

Riccardino è morto, Andrea Camilleri invece è più vivo che mai, anche se domani sarà passato un anno dalla sua scomparsa. Lo è in questo ultimo romanzo del commissario Montalbano che oggi esce, postumo, dopo aver riposato per 15 anni nei cassetti della casa editrice Sellerio. Lo è perché sentiamo la sua voce roca, le parole che si alzano insieme al fumo della sigaretta, l’ironia calda della sua sprezzatura. Lo è perché la scrittura di Camilleri qui è al suo meglio per invenzione, lingua, equilibrio tra farsa e tragedia, tra azione e riflessione; perché il romanzo serve al lettore alcune delle scene più comiche che Camilleri abbia scritto, ma anche alcune tra le più intense, sospese nelle nebbie malinconiche del ricordo.

A dispetto del titolo così poco camilleriano, infantile come una lallazione rispetto a titoli sobri e denotativi come II gioco degli specchi, Una lama di luce, La luna di carta, Riccardino è al tempo stesso lettera e testamento, mette a posto le cose, mostra, in parte, i ferri del mestiere di scrivere, va alle radici della creazione letteraria. «Ho sempre distrutto tutte le tracce che portavano ai romanzi compiuti, invece mi pare che possa giovare far vedere materialmente al lettore l’evoluzione della mia scrittura» scrive Camilleri nella nota finale in cui spiega di aver iniziato il romanzo — dedicato alla sua «amica del cuore» Elvira Sellerio — il primo luglio 2004 e di averlo terminato il 30 agosto 2005.

L’ultimo

«Non ne scriverò altri. Me ne rincresce, ma a ottant’anni è inevitabile che si metta fine a tante, troppe cose» spiegava allora. Una riga bianca, pausa. Sappiamo che avvenne il contrario: dal 2005 seguirono diciotto romanzi e numerosi racconti, e Camilleri finì l’ultimo Montalbano, Il metodo Catalanotti, nel 2018, continuando a nutrire la sua creatura più amata fino all’ultimo. Nel novembre del 2016, a 91 anni compiuti, «sorpreso di essere ancora vivo e di avere ancora voglia di scrivere ho pensato che fosse giusto “sistemare” Riecardino» spiega. Si affeziona al titolo, lo lascia, come lascia pressoché intatta la trama.

Ora il romanzo esce in due versioni: quella classica nella collana «La memoria» e un’edizione speciale che le contiene entrambe, seguite da una nota di Salvatore Silvano Nigro, il critico che è stato per anni amico di Andrea Camilleri e ha scritto tutti i risvolti di copertina dei suoi libri. Qui, volendo, Nigro risparmia al lettore più accanito il confronto tra le due versioni, il «trova le differenze», proponendo alcuni esempi del mutamento. Già Camilleri chiarisce di avere voluto soltanto aggiornare la lingua, che negli anni si è evoluta, diventando una cifra stilistica difficilmente imitabile. Un lavoro, lo definisce il critico «da maestro lapicida, o da miniaturista», eseguito intervenendo sui giri di frase, evidenziando dettagli, nuove parole, badando all’armonia delle sillabe, incrociando l’italiano con i dialettismi, dando piena forma al vigatese, quell’idioma che non corrisponde appieno a nessuno e che tutti i lettori, da sud a nord, ormai comprendono con facilità.

 

(Nella foto Il Commissario Montalbano)