Pubblicato il 15/06/2020, 19:03 | Scritto da La Redazione

Da Napoli parte un j’accuse per Real Time

Real Time e quell’idea perversa di Napoli

Il Mattino, pagina 19, di Piero Sorrentino.

Matrimoni goderecci, pranzi della domenica col ragù della tradizione, signore dell’alta borghesia che pasteggiano a caviale e champagne. Famiglie rumorose e allegre, montagne di pesce fritto, abiti sgargianti. Molto mare e moltissimo Vesuvio, inutile dirlo.

C’è un luogo speciale, nella televisione italiana, in cui Napoli non è un posto come un altro, una città come un’altra: è un vero e proprio genere a sé. Così come esistono I “talent show”, le soap opera, i programmi di divulgazione scientifica, esiste il “genere Napoli”. Che, da qualche tempo, ha trovato nel canale Real Time un eccellente luogo d’elezione. È difficile riassumere le caratteristiche di questo genere, eppure – allo stesso tempo – nessuno può sbagliare nel riconoscerlo. Gioca al ribasso continuo della complessità e al rialzo perenne del sensazionalismo. La sua immediata riproducibilità finisce con l’indurre un profondo senso di pienezza nello spettatore, senza che mai questa autosaturazione porti mai alla sazietà. Al contrario del pranzo del Fascino discreto della borghesia di Buñuel che non riesce mai a cominciare, quello raccontato nel Fascino perverso della napoletanità di Real Time continua perennemente.

Gli altri format

Da Il castello delle cerimonie alle casalinghe napoletane di The real housewives, passando per La domenica più tradizionale, Napoli non è un luogo come un altro dove accadono delle cose: è contemporaneamente sfondo e personaggio, scena e protagonista, oggetto e soggetto, corpo e sangue. A nessun’altra città italiana è mai riuscita questa impresa.

Sarebbe letteralmente impossibile pensare a una simile operazione per Milano, o Roma, o Firenze, o Palermo. Sarebbe impensabile imbastire un palinsesto disegnandolo sulla scia di un pensiero unico intessuto così profondamente di stereotipi. Real Time – basta guardare venti minuti a caso per rendersene conto con dolorosa evidenza – sembra essersi arresa senza combattere al luogocomunismo sulla città. E non si tratta di fare un computo delle puntate da buttare o da salvare, di mettere in fila i più e i meno come dopo un compito di aritmetica alle scuole elementari. Il fatto preoccupante è che, nel suo complesso, un intero canale televisivo abbia rinunciato ai chiaroscuri, alla complessità di una città così stratificata, in una via senza sbocco.

 

(Nella foto Il castello delle cerimonie)