Pubblicato il 28/04/2020, 19:01 | Scritto da La Redazione
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Addio Carrie, sei stata meravigliosa

Addio Carrie, sei stata meravigliosa
La nostra rassegna stampa, con gli estratti degli articoli più interessanti: otto serie, quasi 100 episodi: cala il sipario su Homeland, la serie che ha spiegato al mondo come funziona l’intelligence. Grazie a un’eroina straordinaria, l’agente della Cia Carrie Mathison (Claire Danes). E a una sceneggiatura da urlo.

Addio Homeland

Il Foglio, pagina 2, di Giulia Pompili.

Otto stagioni dopo, “Homeland” è finita. Ieri sera è andata in onda in Italia, su Fox, l’ultima puntata della serie tv di Alex Gansa e Howard Gordon, che in quasi cento episodi ha spiegato l’intelligence ai millennial. Perché “Caccia alla spia” non è la prima e non sarà l’ultima serie tv dedicata ai servizi segreti — dieci anni prima, proprio subito dopo 1’11 settembre, c’era stata “24” — ma è quella che più di tutte ha avvicinato, spiegato e forse umanizzato alcune dinamiche, nel tentativo certo romanzato di dargli un significato concreto, una specie di antidoto al complottismo più becero. L’intelligence esiste perché serve, con tutte le sue decisioni difficili e pragmatiche. I primi a portare lo spionaggio, quello vero, in televisione erano stati gli israeliani. E infatti il soggetto di Homeland, nel 2011, fu scippato a Gideon Raff che aveva firmato “Hatufim” (Prigionieri di guerra). La storia di tre soldati che tornano in Israele dopo diciassette anni di presunta prigionia ispira quella di Nicholas Brody, sergente dei Marine interpretato da Damian Lewis che torna a casa dopo essere scomparso per otto anni in Iraq, e non si sa bene cosa voglia. La donna che sospetta di lui, l’agente della Cia Carrie Mathison (Claire Danes), finisce poi nel più banale dei trucchetti: si innamora di Brody e ci fa anche un figlio. Ma “Homeland” non è solo la banalità della serie tv, è anche un continuo insistere sul rapporto di fiducia che l’agente è costretto a stabilire con la propria fonte, una danza di cui solo l’operativo conosce i confini.

Nel corso di otto stagioni “Homeland” si è evoluto nei temi e nelle ambientazioni geografiche. Come hanno ripetuto spesso gli showrunner Gansa e Gordon, ogni stagione è stata pensata subito prima della realizzazione, e in alcuni casi la corrispondenza con l’attualità era formidabile: nella quarta stagione Carrie Mathison è a capo della stazione della Cia in Afghanistan, riceve la notizia della possibile presenza di un terrorista in un’area rurale del Pakistan, e decide di autorizzare l’attacco con un drone; nella sesta stagione, si parla della prima presidente donna Elizabeth Keane che vuole ridurre l’operatività americana all’estero, c’è un giornalista che somiglia moltissimo ad Andrew Breitbart, ci sono i negoziati per il nucleare con l’Iran. Nell’ultima stagione, quella che si è chiusa ieri, si parla dell’accordo con i talebani, degli equilibri d’influenza tra russi e americani in medio oriente. Ok, aveva una credibilità storico-politica un po’ azzardata, fanno notare gli esperti, ma l’elemento pop e semplificato serve anche ad avvicinare le persone a certi argomenti. In “Homeland” geopolitica e storie personali s’incastrano per intrattenimento, ma rendono anche più facile la comprensione di alcune “evoluzioni” non solo della cronaca estera, ma anche dei personaggi.

 

(Nella foto Claire Danes)