Pubblicato il 17/04/2020, 15:05 | Scritto da La Redazione
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Come molti settori industriali, anche la musica non può più aspettare la ripartenza

La ‘Fase 2’ dell’industria musicale? Subito

www.rockol.it, di Giampiero Di Carlo.

Come per la società nel suo complesso, anche per la musica è giunto il momento di affrontare, pianificare e lanciare una “Fase 2”. Quella fase che, dopo l’emergenza e lo shock che l’impreparazione a fronteggiarla ha causato, (a) contempla una reazione, (b) contrappone alla paralisi da sospensione la riaccensione delle macchine, (c) sostituisce l’inazione con l’azione.

L’incertezza scientifica mortifica gli scenari di lungo termine: sono troppe le variabili esogene che non controlliamo. Attendere la “prossima normalità” sarebbe, dunque, doloso perché non la conosciamo, sarà diversa, chissà quanto e chissà esattamente come. È preferibile agire per iniziare subito a costruire una prossima fase basata sulle poche certezze disponibili, muovendo un passo per volta, ottenendo piccole ma significative conquiste nel breve termine sulle quali – poi – edificare un futuro sostenibile. L’alternativa sarebbe letale. La nostra Fase 2, naturalmente, dipende dagli artisti: l’intero settore ruota intorno alla loro creatività.

La fase uno, per la musica, è stata quella della solidarietà. La solidarietà elargita e quella richiesta

La solidarietà elargita, innanzitutto. Queste pagine hanno promosso e continueranno ad a ospitare varie iniziative meritorie lanciate da singoli, da associazioni, da media, da artisti: il nostro mondo ha reagito privilegiando l’emergenza come gli italiani in generale, mettendo le mani sul cuore e nel portafoglio per fare la propria parte a sostegno della sanità e del personale medico, senza l’opera e l’eroismo del quale saremmo già sott’acqua. E, attenzione: ha potuto farlo in un eccezionale e breve intervallo libero dalla politica che sta già svanendo, con i pozzi nuovamente avvelenati come al solito da sciacallaggio e fake news, alla ricerca di consensi a basso prezzo, con la gente stremata da un virus alla cui presenza si cerca di attribuire responsabilità di parte. Che schifo. Ma, per tornare nel nostro campo, la solidarietà elargita si è anche manifestata con decisioni tempestive e azioni eccezionali intraprese a favore della comunità dei musicisti e degli artisti. Per la categoria. Anche in questo caso risparmio l’elenco completo al lettore: cito, giusto come esempio, ciò che le varie società di collecting hanno stanziato e deciso di anticipare e mettere a disposizione degli aventi diritto.

C’è poi stata la solidarietà richiesta. La filiera musicale, come qualsiasi altro comparto, ha fatto presente alle istituzioni la posizione rischiosa nella quale si ritrova, chiedendo un aiuto da fuori per provare ad alzare degli argini contro un’inondazione lenta ma inesorabile. Insieme allo stato e all’UE, speriamo in modo rapido e meno burocratico possibile, le misure individuate e quelle che verranno sul piano fiscale e monetario ci avranno fatto guadagnare un po’ di tempo. Preziosissimo. Ma è già ovvio che la crisi economico-finanziaria che si abbatterà sul pianeta sarà statisticamente molto peggiore della crisi sanitaria e umanitaria. Lascerà sul campo più vittime. Le vittime saranno quelle che, esaurita la liquidità, non potranno materialmente esserci alla ripresa, quale che sia. Soprattutto piccole e medie imprese (con i loro dipendenti e collaboratori) e individui precari o a vario titolo senza copertura: il session man, il tecnico del suono, ma anche il tassista, il barista, l’operaio, il dettagliante e il libero professionista.

Già, perché il peggiore danno collaterale causato dal virus risponde al nome di carenza di liquidità. Paralizzate le attività produttive ed attuato il distanziamento sociale, si perdono le entrate ricorrenti: le aziende e le persone, così, rischiano di finire in apnea. Senza contante, dopo un po’, semplicemente non ce la si fa.

Restare fermi con questa consapevolezza significa assumersi pesanti responsabilità. La paralisi e l’attesa andavano bene nelle scorse settimane. La Fase 2, invece, richiede una reazione immediata come il pericolo che incombe. La musica, come qualsiasi altro settore, e gli artisti, come qualsiasi altro individuo e lavoratore, devono ora orientare gli sforzi al riavvio – leggi: ripristino graduale dei ricavi, così che la liquidità non si esaurisca prima che la ripresa si manifesti. A nessuno è concesso il privilegio di sedersi su aiuti, sussidi, solidarietà ricevute o attese. E, siccome la ripresa non potrà che essere graduale ed incerta (la fiducia nei consumi è crollata e risalirà a sprazzi a seconda dei comparti, e con lentezza), anche l’industria musicale farebbe bene ad attrezzarsi per segnare piccoli progressi incrementali, muovendo piccoli passi. E qui, senza necessità di piangersi addosso, sorridiamo amaro e riconosciamole un vantaggio: è abituata a fare da sola e a vedere il proprio ruolo culturale sminuito nei fatti rispetto ad altre forme d’arte (anch’esse generatrici di business).

La crisi della musica ai tempi del Covid-19 è simboleggiata dal lockdown dei concerti

Abbattendosi come un asteroide sul comparto live, da là il coronavirus ha cominciato a scatenare danni indiretti all’intera filiera. Artisti che non suonano, musicisti e manager che come loro registrano mancati ricavi a tempo indeterminato. Locali chiusi, il cui personale è recluso in casa senza lavoro. Società di live promotion paralizzate. Società di ticketing in pseudo-congelamento. E, senza esibizioni pubbliche, crollo della raccolta delle società di collecting per gli aventi diritto. Un disastro. Tuttavia, se è probabilmente vero che solo il turismo compete con il comparto live in termini di malasorte, ricordiamoci che il PIL della musica è anche molto altro: significa che tanto i danni subiti che gli ambiti da cui ripartire sono molteplici.

Un tema di base è quello dei diritti, la cui portata è ben più ampia della sola musica – si pensi a DAZN che ha annunciato l’intenzione di sospenderne il pagamento dovuto per tutti i contenuti programmati ma soggetti a sospensione (leggi: partite di calcio). Ma, per l’industria musicale, i diritti primari e connessi sono una componente essenziale. Fino a febbraio la loro raccolta sgorgava naturale dall’ascolto e dal consumo di musica esteso a ogni aspetto pubblico della nostra vita, generando rivoli di ricavo per gli aventi diritto. Oltre che dal vivo, la musica registrata proposta nei ristoranti, nei bar, nelle palestre, nei negozi, negli studi medici, nelle discoteche in questo periodo ha cessato di essere suonata. Restano, però, i diritti che scaturiscono dalla musica suonata in ambito domestico e individuale.

Un’altra tradizionale fonte di ricavo per la musica è la pubblicità, le cui molteplici forme ne fanno un contributore importante. Quali? Sovvenziona le piattaforme, tanto Spotify quanto YouTube, con modalità diverse. Permette al lettore di leggere questo e altre centinaia di articoli gratuitamente. È il mezzo di sussistenza di base, oltre che di media come Rockol, delle radio (i cui ascolti, penalizzati dal commuting per ora quasi azzerato, risentono del mancato utilizzo in auto nel tragitto verso il e dal posto di lavoro). È un sostegno fondamentale quando, con le sponsorship, rende possibili le produzioni di molte manifestazioni dal vivo. Rappresenta un introito per artisti, editori e label quando è oggetto di sincronizzazioni pubblicitarie. Ebbene, la pubblicità ha iniziato ad accusare il colpo addirittura un paio di settimane prima che lo accusasse il settore live. Le prenotazioni sui media digitali sono crollate dalla sera alla mattina di oltre il 50%. Secondo lo standard Media Index due giganti come Facebook e Google perderanno circa 50 miliardi di ricavi pubblicitari nei prossimi quattro anni che svaniranno per i fallimenti, le chiusure e la bancarotta di una miriade di piccole e medie imprese (per Facebook e Google il danno equivale al 10% dei loro ricavi pubblicitari annui sommati). Intere classi merceologiche – dalle vendite al dettaglio, all’entertainment, all’automotive, al turismo – hanno sospeso le inserzioni sia perché non possono spingere servizi e prodotti improvvisamente fuori dalla disponibilità dei consumatori, sia perché preferiscono risparmiare, sia perché tendono ad evitare che le proprie campagne siano accostate al coronavirus nei canali di informazione. Morale: quelle poche campagne attive vengono vendute pure a prezzi bassissimi (secondo un’analisi condotta da Gupta Media, il CPM di Facebook è precipitato al minimo storico di $ 1,95 a livello globale) e molti media musicali dovranno sopravvivere in assenza di ricavi per mesi. E i media musicali, lo sostengo con l’orgoglio di chi li rappresenta, sono essenziali per l’intera filiera musicale: traggono linfa dalla creatività e dalle vicende degli artisti e restituiscono in termini di esposizione, status e reputazione (e, quindi, di successo, anche economico).

Non ho dimenticato le vendite fisiche. Da anni una componente non più primaria dei fatturati delle label, conservano tuttavia un perché soprattutto grazie al ruolo di nicchia del vinile e delle riedizioni e confezioni speciali. Qui la cattiva notizia è la discontinuità che gli impianti di produzione potrebbero subire a chiazze in tutto il mondo, mentre quella buona è che Amazon consegna ed ha ricominciato a coprire anche i beni non essenziali.

Lo scenario è cupo, sì. Per tutti e ovunque. Ma la musica non è malata: è ferita. La musica può e deve ripartire immediatamente dalle situazioni che sono meno in sofferenza, quelle che offrono spunti concreti e non impongono attese. Non si devono cercare alibi, non bisogna attendere il prossimo decreto. Non ci sono mascherine e guanti che possano arrestare la produzione di musica. La musica prenda esempio dai casi positivi, ottimistici e reali che la circondano, e non viva in una bolla.

Le produzioni televisive e cinematografiche sono in grave sofferenza perché il distanziamento sociale impedisce l’aggregazione di attori e le produzioni di film e serie – eppure, intanto, il segmento dell’animazione prolifera: è digitale, richiede creatività e nasce tranquillamente anche da casa.

L’industria del gaming è in boom. La spingono i consumi domestici, e vale lo stesso concetto di cui sopra: continueranno a uscire nuovi prodotti perché le produzioni e il coding vanno avanti senza problemi anche in smart-working (e quale nuova musica li accompagnerà…?).

Cari artisti: cambiate marcia. Non vi abbattete. Spronate i vostri manager e aiutate i vostri discografici. Forzate la mano, se occorre. Fate musica, non limitatevi ai pur ammirevoli manifesti. Perché la musica vive di novità. Vive di notizie. Vive di hype. Vive di presenza. Ed è una presenza iper-possibile anche da remoto, quella di cui parlo. Oggi la vostra presenza online (massiccia, ubiqua, così improntata allo stile e al modello degli influencer) è ancora intrappolata nella prima fase di questa crisi. Ma senza nuove uscite, perfino lo streaming – ora vituperato, ora invocato come ancora di salvezza – finirà per andare in sofferenza. Senza nuove uscite, le radio e i media non potranno dare una mano e le playlist incartapecoriranno. La gente non può andare al lavoro, e lavora online. Non può fare la spesa con facilità, e la ordina online. Non può incontrare gli amici, e li incontra online. Non può ancora tornare al cinema ma sta prosciugando Netflix. La gente non può ancora tornare ai concerti, ma adorerebbe prosciugare anche la vostra nuova musica. Sono 18 mesi che non sento parlare di altro che di “economia dei singoli”: ne servono di nuovi, quello che non serve è rimandarne la pubblicazione, perché non c’è un termine certo di fine crisi al quale riferirsi.

Cari artisti, unitevi a modo vostro alle graduali aperture delle attività, delle fabbriche e degli uffici. La vostra gradualità significa iniziare lavorando solo online. Sfornate subito brani, ambite ai successi come prima, organizzate conferenze stampa da remoto per annunciarci una novità, dateci nuove storie da raccontare finché ci saremo. Create e pubblicate, non sospendete, non annullate: non è il momento. Sorprendeteci. Sarà anche così che, al momento giusto, i vostri concerti saranno un successo.

 

Giampiero Di Carlo