Pubblicato il 01/04/2020, 15:08 | Scritto da Andrea Amato

Musica che unisce: una nobile idea, televisivamente inguardabile

Musica che unisce: una nobile idea, televisivamente inguardabile
Il collage video di beneficenza, in onda in prima serata su Rai1, è stato promosso dalla critica, ma non dal pubblico. L’ennesimo errore nel voler portare in tv linguaggi profondamente diversi. Almeno questa volta si è trattato di una necessità e non di un capriccio di vanità creativa.

Musica che unisce è stato battuto da Harry Potter

Sai quando hai un’idea folgorante e ci pensi, ci ripensi, e più te la ripeti in testa e ti sembra una figata? Poi ne parli con chi ti è vicino e ricevi solo consensi e conferme che sì, questa volta ce l’hai fatta. In poco tempo cerchi di dargli forma e fai anche un salto successivo, perché un’idea così è anche facile da comunicare: commistione di linguaggi, crossmedialitá, eccetera. Insomma, hai avuto un’idea super, scritta sulla carta è incredibile…  poi però… poi però in onda non è così una figata.

Secondo me, anche se non lo ammetterà mai, è quello che ha pensato ieri Stefano Coletta, brillante direttore di Rai1, dopo la messa in onda di Musica che unisce. Per chi non l’avesse visto, si tratta di un collage di video di musicisti, cantanti, attori, comici, dottori, persone comuni, registrati nelle proprie case e trasmesse in prima serata dall’ammiraglia di viale Mazzini, senza alcun tipo di mediazione.

Premessa doverosa: l’iniziativa benefica di raccolta fondi per l’emergenza coronavirus (tra l’altro solo via Iban e non con un Sms solidale, un autogol) è encomiabile e un applauso va a tutti quelli che generosamente hanno partecipato, e alla Rai che in giorni bui come questi cerca di svolgere il suo ruolo di servizio pubblico e collante sociale. Ma il nostro ruolo, invece, è quello di fare una fredda analisi televisiva, non emotiva.

Social impazziti

I social network sono andati per ore in visibilio, soprattutto Twitter, che però ormai usiamo solo noi giornalisti (gli stessi che oggi hanno incensato l’operazione). Da anni, infatti, sappiamo bene che i social non rispecchiano il Paese reale, tant’è che il programma ha registrato (in oltre 4 ore di trasmissione) solo 3,5 milioni di spettatori, battuto nettamente dalla replica del sesto episodio della saga di Harry Potter su Italia1, con oltre 4,4 milioni (in circa due ore). Su Italia1, non su Canale5.

Il “famolo strano” questa volta è stato dettato dalla necessità, ovvero la quarantena forzata, e non da un capriccio di vanità creativa, ma almeno non veniteci a dire che questo è il futuro della televisione generalista. La storia della tv è piena di esperimenti fallimentari come questo: come non ricordare i tanti programmi radio di successo portati nel tubo catodico e naufragati malamente. E ieri abbiamo avuto la conferma che portare il linguaggio web-social in televisione non funziona. Se sul mio cellulare potrei passare ore e ore a vedere stories Instagram e dirette live traballanti, ieri mi sono annoiato dopo pochi minuti. Questo era un prodotto perfetto per RaiPlay, non certo Rai1. Insomma, doveva essere il Live Aid italiano e invece sembrava una chat di Whtasapp.

 

@AndreaAAmato

 

(Nella foto un momento di Musica che unisce)