Pubblicato il 05/03/2020, 19:04 | Scritto da Gabriele Gambini

Maria Latella: Sono stata “uoma” in mezzo agli uomini, oggi sono donna e realizzata

Maria Latella: “Ricordo con soddisfazione l’intervista a Laura Bush”

L’intervista, su SkyTG24, festeggia quindici anni di vita, dedicati al confronto con i protagonisti dell’agone politico e dell’attualità. Nessuna è perfetta, ogni domenica mattina su Radio24, compie cinque primavere da portabandiera dell’emancipazione femminile e delle prerogative umane e professionali dell’altra metà del cielo. Poi c’è 24 mattino, appuntamento quotidiano, sempre su Radio24. E i libri, da Il potere delle donne. Confessioni e consigli delle ragazze di successo (Feltrinelli), a Fatti privati e pubbliche tribù. Storie di vita e giornalismo dagli anni sessanta a oggi (San Paolo).

Maria Latella avanza nel suo 2020 con molti anniversari, in un bilancio di carriera – tra giornalismo scritto e parlato – che l’ha vista cominciare dalla cronaca politica ai tempi in cui era una conventicola virile, aprendo il percorso a molte donne arrivate dopo. E se il femminismo è oggi un ombrello sotto al quale si riparano numerosissime istanze, il tempo, dice lei, «In cui una donna per farsi strada nel mondo del lavoro doveva comportarsi da “uoma” sta terminando, nuovi spazi e possibilità si stanno aprendo, benché ci sia da lavorare».

 

Ha cominciato raccontando la politica al Corriere della Sera quando quel tipo di giornalismo era un regno riservato ai soli maschi.
Lo racconto nei miei due ultimi libri. Mi sono ritrovata in un gruppo di colleghi bravissimi, da Augusto Minzolini a Fabio Martini e molti altri. Ma ero l’unica donna, ho sperimentato sulla mia pelle che cosa significasse non far parte totalmente di un gruppo per argomenti trattati, linguaggio e confidenze reciproche.
Si sentiva messa ai margini?
Non è capitato, però, come è logico, una donna quando si ritrova da sola in un contesto maschile, incontra qualche difficoltà. O si impadronisce di un linguaggio che non le è proprio – parlare di calcio o di altre donne, per esempio – o sente la mancanza di interessi condivisi che contraddistinguono un gruppo. Accadeva e accade in molti settori e in tutti i Paesi.
Oggi le cose sono diverse rispetto ai primi anni ’90?
Molto è cambiato perché tante donne ricoprono ruoli nel mondo del giornalismo e del lavoro, contribuendo a un dialogo diverso tra due tribù che devono collaborare. Ma c’è ancora da fare.
Molti parlano di modelli di comportamento. Una donna, per farsi rispettare nel mondo del lavoro, deve imitare quelli maschili o ne crea di peculiari?
Il modello che le donne hanno introiettato nel mondo del lavoro è maschile, per certi versi è stato necessario impadronirsi di quelle logiche di potere per riuscire a conviverci. Io stessa ho dovuto travestirmi da “uoma”. Le nuove generazioni possono evitare di farlo, oggi iniziano a godere di una rappresentanza maggiore.
Nel suo caso, quando ha sentito che il vento stava cambiando?
Quando ho iniziato a lavorare per un settimanale femminile, Anna. Lì ho trovato prerogative diverse rispetto alla cronaca parlamentare.
In Italia il mondo del giornalismo come è messo, da questo punto di vista?
Le donne sono molto rappresentate in tv, un po’ meno su carta, pochissimo ai vertici editoriali. Il modello nazionale punta ancora sulla dimensione sexy della giornalista televisiva, ma c’è maggior cautela nell’uso di un linguaggio non appropriato.
A proposito di linguaggio: il politicamente corretto di oggi a volte estremizza la censura su frasi e battute.
Doppi sensi fuori luogo e battute sessiste stanno diminuendo ed è un fatto positivo. Non si tratta di censura, ma di rispetto reciproco nel gestire i rapporti professionali. Alcune tematiche un tempo di stretta contingenza le possiamo considerare superate.
Per esempio?
Il disagio femminile in alcuni ambienti lavorativi, dopo il metoo, è diminuito, c’è maggior consapevolezza nel gestire le relazioni umane. Oggi una ragazza si sente meno sola e trova la comprensione dei colleghi.
Un bilancio di Nessuna è perfetta.
Siamo stati i primi ad affrontare certi argomenti e abbiamo fornito spunti. Un programma radiofonico si costruisce passo dopo passo. Gli ascolti sono confortanti, i messaggi ricevuti indicano un pubblico attento e partecipe.
Il pubblico maschile è collaborativo?
Alcuni uomini mandano messaggi divertenti e interessanti. Poche settimane fa ci ha scritto un ascoltatore, raccontando di come la sua giornata fosse scandita dal portare il figlio a calcetto, cucinare, poi tornare a riprenderlo, mentre sua moglie era in montagna con amiche. Ha concluso dicendo: “Non venitemi a dire che non sono collaborativo!”.
Un argomento del programma che le sta a cuore?
Il sostegno alle famiglie. Il peso della gestione familiare, in Italia, ricade ancora quasi sempre sulle mogli.
Colpa anche della politica?
Occorrono modelli che forniscano esempi. Forse una scarsa rappresentanza femminile nella politica è una delle motivazioni.
A proposito di politica. 15 anni de L’Intervista significa solcare ere parlamentari.
Mi faccio un punto d’onore nell’alternare quasi sempre un ospite maschile e uno femminile. Anche in questo, spero di fornire buoni esempi.
Favorevole o contraria alle quote rosa?
Favorevole. Non per rappresentare le donne in quanto donne, beninteso. Per dar spazio alle persone che abbiano qualcosa da dire e da dare con le medesime opportunità. Penso a una legge come la Golfo-Mosca sull’equilibrio di genere nei consigli d’amministrazione delle società quotate. La strada è quella.
L’intervista in carriera che ricorda con maggior orgoglio?
Ho avuto il privilegio di realizzare l’unica intervista europea a Laura Bush, persona molto riservata che ho tentato di raccontare nei suoi lati meno noti.
Un ospite da avere per l’immediato futuro?
Mi piacerebbe intervistare Roberto Speranza per chiedergli come si affronta un cigno nero come quello del Covid19 che avrà tante ripercussioni sulle economie dei singoli.
I colleghi giornalisti in Italia hanno commesso qualche errore nell’amplificare l’allarmismo sulla potenziale pandemia?
Questo non lo so. Se noi guardiamo come viene comunicata la questione Covid19 negli altri Paesi, le scelte fatte sono state differenti. France24, nel suo tg, ha come prima notizia raccontato l’incontro tra Ursula Von Der Leyen e David Sassoli, il tema Covid19 era posizionato come terza notizia. Benché sia inevitabile parlarne, beninteso.
Lo fate anche voi su Radio24.
Inevitabilmente lo facciamo, cercando di ascoltare esperti e di essere equilibrati nel fornire la notizia. Magari dando spunti alternativi, come la questione dei profughi al confine tra Siria e Turchia, a sua volta di capitale importanza per l’equilibrio dell’Europa.
Cambia il linguaggio della politica e cambiano gli interpreti. Ha ragione chi considera la dicotomia destra/sinistra superata e indica nel confronto tra sovranismo e globalismo liberal il nuovo territorio di dibattito?
Credo sia giusto osservare che cosa accade al di fuori dell’Italia per ottenere esempi utili alla nostra realtà. Guardiamo agli USA: il confronto tra i candidati Dem vede un Sanders che difende le fasce deboli, non tutelate dalla sanità e dalla previdenza. Da un lato ci fa capire come lo stato sociale europeo sia più protettivo verso i cittadini (un tampone negli USA può costare fino a 3000 dollari). Dall’altro ci mostra quanto la gente segua con interesse chi difende le fasce più in difficoltà, poco importa che si tratti di una battaglia di destra o di sinistra.
C’è chi accusa la sinistra di aver dimenticato le cosiddette istanze operaiste.
Le ha dimenticate perché non ci sono quasi più o, per lo meno, si presentano sotto una luce diversa rispetto a decenni fa. Ma è indubbio che sul tema delle protezioni sociali e della tutela del lavoro tutti abbiano perso terreno. Oggi c’è una forte domanda di riequilibrio delle disuguaglianze sociali e arriva dagli elettori di Salvini e di Trump, dagli elettori CinqueStelle, da tutti gli altri.
Argomento pop: ha commentato sui social alcune dichiarazioni di Amadeus pre Festival di Sanremo. Lo ha poi visto, il Festival?
Non l’ho visto perché non ero a casa, ma non credo di essermi persa qualcosa di incredibile. In compenso ho guardato con soddisfazione L’amica geniale: una serie perfetta. Complimenti a Saverio Costanzo.
Fare la giornalista è sempre meglio che lavorare?
Così si dice, ma non sono d’accordo. Ricordo con affetto i miei primi anni al Corriere e al Secolo XIX: non erano affatto anni vacanzieri, si lavorava moltissimo, si entrava alla mattina e si usciva alla sera, senza sosta. Anni di formazione bellissimi.
Perché è diventata giornalista?
Ho scelto di farlo quando avevo 12 anni. Lo scrissi in un tema che vinse una borsa di studio. A casa mia si leggeva Il Messaggero e io avevo il mito del giornalista Nino Longobardi.
Nessun piano B?
Per molti anni credevo che non ce l’avrei fatta perché non godevo di raccomandazioni. Mi iscrissi a Giurisprudenza con poca voglia. Poi ho vinto una borsa di studio della FNSI e della FIEG, e sono stata assunta a Il Secolo XIX. Da lì è cominciato tutto.
E le raccomandazioni?

Mai avuta una in vita mia.

Gabriele Gambini

(nella foto Maria Latella)