Pubblicato il 03/03/2020, 19:00 | Scritto da Gabriele Gambini

Alessandro Negrini: Chef Save The Food insegna qualcosa al pubblico senza fare sermoni

Alessandro Negrini: Chef Save The Food insegna qualcosa al pubblico senza fare sermoni
Lo chef stellato ha il ruolo di supervisore nel programma prodotto da MediaMai, in onda ogni giovedì in seconda serata su LA5. Intervistato da TvZoom, racconta le peculiarità del progetto.

Alessandro Negrini: “Bisogna valorizzare l’educazione alimentare senza annoiare l’interlocutore”

Toh! In un mondo dove la tradizione e la famiglia, luoghi del sapere generazionale, vengono gabellate per retaggio di un passato bacucco, si scopre che i nostri anziani e le nostre nonne avevano ragione. «Il Signore è sceso da cavallo e ha raccolto un chicco di grano», raccomandava la vulgata contadina lombarda, dando un valore morale alle cose prima che il mercato vi appiccicasse sopra delle etichette. I greci la chiamavano phronesis: saggezza.

Chef Save The Food è proprio la riscoperta del valore di quelle cose, in particolare del cibo e del ventaglio di possibilità gustose offerto da una cucina con pochi ingredienti a disposizione. «È un programma di intrattenimento come lo sono i cooking show televisivi» dice lo stellato Alessandro Negrini, co-fondatore de Il luogo di Aimo e Nadia e deus ex machina del programma prodotto da MediaMai in onda ogni giovedì in seconda serata su LA5. «Accanto al divertimento, infiliamo piccoli esempi di educazione alimentare, senza spiegoni o predicozzi noiosi».

Il pretesto è una sfida gastronomica. Presentata da Chiara Carcano e Marco Ferri, con Negrini nelle vesti di supervisore, la competizione vede i concorrenti alle prese con la preparazione di piatti creativi con pochi ingredienti. Vince chi inventa il menù più saporito, sprecando meno cibo possibile. «Il consumo sostenibile è un tema cruciale della cucina», continua Negrini, «andrebbe trovata una formula per parlarne nelle scuole, accanto a educazione civica».

Come si parla di consumo sostenibile in televisione senza salire in cattedra?
Nell’era della spettacolarizzazione della cucina, non sembrava facile. Oggi la narrazione roboante prevale sul messaggio. Però avevamo a disposizione un’occasione eccellente. Si trattava di trovare una mediazione tra tempi televisivi, doveroso intrattenimento del pubblico, e un contenuto che insegnasse qualcosa, senza dare l’impressione di farlo. Ci siamo riusciti. Lo spettacolo è leggero, divertente, e, perché no, istruttivo.
Alla base della sfida tra i partecipanti, c’è un concetto: vince il menù più buono, ma anche quello meno sprecone.
Una volta erano le nonne a insegnarci le basi: non si butta via il pane, si resta a tavola fino a quando il piatto non è vuoto. Adesso queste chicche di buon senso si sono smarrite. Prevale il concetto di quantità, ignorando che l’ottimizzazione del cibo a disposizione consente la preparazione di piatti buonissimi pure se in casa si ha poco.
Un esempio di menù gustoso quando il frigo è semivuoto.
Se hai a disposizione un po’ di riso, dell’olio e dell’acqua, puoi mangiare un piatto eccellente seguendo pochi accorgimenti tecnici. Oppure: la crosta di parmigiano di solito viene buttata ed è un male, può essere riutilizzata in mille modi. La pizza preparata il giorno prima e non finita può essere conservata in frigo e diventare la base per una ricetta sfiziosa. Morale: si spende meno, si mangia meglio e l’ambiente è più contento.
Oggi nei ristoranti sta tornando di moda la doggy bag.
La famosa schiscetta! Vero, ed è un esempio di consumo sostenibile. Ricordo quando, a un matrimonio a cui andai con la mia famiglia, mia mamma chiese un sacchetto per portare a casa gli avanzi del suo piatto. Ero giovane, mi vergognavo, credevo che lei stesse facendo una figuraccia. Invece era un ottimo esempio di educazione alimentare.
Ha detto che introdurrebbe l’educazione alimentare a scuola.
Sì, ma non con le prediche sui trigliceridi, il colesterolo e cose simili. Bisognerebbe trovare una formula per non annoiare i giovani e spiegare l’importanza dell’ottimizzazione. Anche la televisione potrebbe essere utilizzata in questo senso. Cito a casaccio: se si inserisse nella cucina del Grande Fratello una regola che imponesse l’ottimizzazione del cibo, il pubblico fruirebbe dello spettacolo e, senza sorbire sermoni, imparerebbe un modello di comportamento.
Ha incontrato concorrenti spreconi?
Chi partecipa al programma, sa già che cosa deve fare. Ma in generale, nelle famiglie, oggi si tende a cucinare il doppio di quel che effettivamente si mangia. È una questione d’abitudine. Bisogna trovare l’equilibrio tra il messaggio commerciale pubblicitario di un prodotto e la capacità di utilizzarlo al meglio per se stessi. Pochi sanno che, se cucinati alla giusta maniera, 80 g di pasta danno lo stesso senso di sazietà di 150 g. Oppure: ci sono un sacco di modi per inventarsi ricette coi piatti del giorno prima, senza buttar via niente.
Qualche ricetta?
Pensate a tutti i lievitati secchi. Se si reidrata il pane del giorno prima, ritorna morbido, dopodiché lo si può frullare e farne una polenta. Oppure cucinare le lasagne di pane, utilizzandolo come base su cui aggiungere un po’ di cipolla e un po’ di formaggio. Una ricetta semplice e completa.
Le peculiarità di Chef Save The Food?
L’alta capacità di interazione con il pubblico. Vengono proposte sfide realizzabili a casa. Nulla di difficile. E lo show diverte.
Che ne pensa dei talent show alla Masterchef?
Fanno ciò che devono e costruiscono uno spettacolo. La spettacolarizzazione in tv non è per forza negativa. Però constato che l’era degli isterismi e dei pianti davanti a una ricetta sta esaurendo il suo corso. Oggi funziona di più la narrazione del vissuto di un personaggio nella sua complessità, oppure i docufilm sulla genesi di un progetto gastronomico. Il pubblico desidera un racconto costruttivo.
Ha partecipato come ospite a numerosi programmi televisivi. Pensa a qualche progetto personale in questo senso?
Quando parlo di me, parlo anche di Fabio Pisani, mio socio di Aimo e Nadia. Siamo complementari: io sono valtellinese, lui è pugliese. Raccontiamo l’Italia e i suoi sapori con la nostra cucina. Questa è la nostra priorità. Poi, bacchetta magica alla mano, sarebbe interessante sognare un programma capace di unire vissuto personale di un ospite e territorio: andare da un piccolo produttore e farsi raccontare la genesi del suo mestiere, il perché delle sue scelte di vita. In una confezione televisiva accattivante.
Si dice che i cooking show abbiano dato linfa alle scuole alberghiere.
Oggi la professione del cuoco è compresa, raccontata e rispettata. Spero che in futuro venga fatta la stessa cosa per mestieri come quello del cameriere, del maître di sala, del sommelier, ruoli determinanti e di altissima dignità. Insomma: dare il giusto riconoscimento a tutte le professionalità.

Gabriele Gambini

(nella foto Alessandro Negrini)