Pubblicato il 25/09/2019, 14:03 | Scritto da Andrea Amato

Lettera al direttore de La Stampa: rilegga gli articoli dei suoi giornalisti prima di pubblicarli

Lettera al direttore de La Stampa: rilegga gli articoli dei suoi giornalisti prima di pubblicarli
Intervistando il direttore di Rai1 Teresa De Santis, la giornalista Michela Tamburrino ha parlato di “olocausto” in maniera del tutto inappropriata. Che brutta fine sta facendo il giornalismo italiano.

Egregio direttore Maurizio Molinari,

abbiamo letto con raccapriccio l’intervista rilasciata dal direttore di Rai1, Teresa De Santis, al Suo giornale. Un giornale glorioso, dove hanno scritto Alberto Ronchey, Norberto Bobbio, Giovanni Arpino, Arrigo Levi, solo per fare qualche nome dei tanti illustri. Raccapriccio è un termine che utilizziamo, però, non per le affermazioni del direttore di Rai1 che, pure, meriterebbero un approfondimento a parte e sono state oggetto di vari commenti ironici, visto anche un’evidente manipolazione di dati di ascolto che, se comparati all’anno precedente, raccontano una realtà ben diversa da quelli rappresentati nell’intervista. Ma si tratta di dialettiche ordinarie, soprattutto in televisione, dove ogni cosa può essere interpretata a piacimento.

Raccapriccio, però, non lo usiamo per questo. E neanche per l’atteggiamento non proprio incalzante dell’intervistatrice: anche a questo ormai siamo abituati nel giornalismo italiano, soprattutto nelle pagine di Spettacoli. Lo usiamo per un termine, scritto, quindi pensato e ponderato, dalla giornalista. Le riportiamo il virgolettato di Michela Tamburrino: «Nei retroscena politici all’indomani della crisi il suo nome era dato per spacciato, preferendo sacrificarla al posto del presidente Foa, che così avrebbe scampato la mannaia. Come ci si sente offerti in olocausto

Ecco, «olocausto». Michela Tamburrino ha scelto questo termine per descrivere la situazione in cui si sente il direttore di Rai1. Aldilà del merito, pensiamo che l’uso delle parole sia importante e denoti la professionalità e il valore morale. Sappiamo bene che «olocausto» significa «sacrificato», nelle religioni antiche si bruciavano le vittime per gli Dei, purtroppo però sappiamo altrettanto bene che dal 1945 il significato di questa parola è stato totalmente assorbito dal genocidio degli ebrei per mano dei nazisti e dei fascisti.

Nessuna persona dotata di una cultura media userebbe questa parola con così tanta leggerezza, soprattutto in un contesto del genere, tanto meno ce lo saremmo aspettato da una giornalista di un quotidiano glorioso come La Stampa.

Pensiamo che Lei, direttore, dovrebbe chiedere scusa ai suoi lettori, alle tante persone che ancora soffrono quando sentono quella parola usata a proposito e non meritano proprio di leggerla volgarmente strumentalizzata a sproposito.  Ci chiediamo se la giornalista abbia provato un minimo di vergogna, mi chiedo anche come sia possibile far scrivere su un quotidiano autorevole una persona che fa disinvolto scempio della scelta dei vocaboli. Non si tratta di un termine sfuggito di bocca, e anche lì sarebbe stato imperdonabile. Parliamo di un termine pensato, ponderato, riflettuto. Poi scritto. Umiliante per tutti i lettori. Mortificante per le vecchie generazioni, pericolosissimo per le nuove. Primo Levi, in un’intervista al Suo giornale, disse che «la razionalità è l’unica arma contro l’orrore».  Ci chiediamo: dov’è la ragione in tutto ciò?

 

@AndreaAAmato

 

(Nell’immagine la testata de La Stampa)