Pubblicato il 04/09/2019, 19:01 | Scritto da Gabriele Gambini
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Fernando Proce: Procediamo su R101, la politica, Maurizio Solieri e Guglielmo Marconi

Fernando Proce: “Siamo in pieno revival musicale anni ’90”

Mentre Fernando Proce racconta i dettagli della sua nuova creatura radiofonica, quel Procediamo su R101 (in diretta dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12), che è un po’ la summa teologica del suo modo di intendere la radio partendo dall’assonanza col suo cognome, gli squilla il telefono. È Maurizio Solieri, leggendario chitarrista di Vasco. I due si scambiano finti convenevoli, poi cazzeggiano con la complicità di chi vive la musica sintonizzandosi sulla stessa lunghezza d’onda.

«Mi vanto di essere cintura nera di cazzeggio, così come mi sentite alla radio, sono nella vita», dice Proce, che appartiene a quella specie sorniona adusa alla zampata dialettica imprevedibile.

Hai iniziato Procediamo su R101, ma il tuo esordio in radio è avvenuto quando avevi dieci anni.

Confermo tutto, è successo in Salento, la mia terra d’origine. Una cosa di cui vado fiero è conservare oggi, a 50 anni, lo stesso entusiasmo dell’adolescenza. Sono un ottimista. Il verbo “procedere” mi appartiene davvero. Ho fondato una società che si chiama Procediamo Italia. Non sembra il nome di un partito politico? (ride, ndr).

Sarebbe perfetto per risollevare le sorti di quest’era politica aggrovigliata. Mai pensato di candidarti?

Lo feci nel 2004 con la lista di Vittorio Sgarbi, il Partito della Bellezza. Fu una stimolante provocazione, molto sensata. Vittorio e io tenevamo comizi a due voci ricchi di battute e gag improvvisate. Poi ci congratulavamo a vicenda per la riuscita del discorso.

Oggi voti per qualche partito?

Non voto da un po’. Non ho amato la politica degli ultimi due anni. Non trovo uno schieramento capace di rappresentare con autorevolezza alcune istanze fondamentali. Beninteso: non ne faccio un semplice discorso di onestà, ma di capacità e qualità delle persone in campo.

Chi ti piaceva della politica di un tempo?

La scaltrezza di Andreotti. Poi Spadolini, Craxi, Aldo Moro, pugliese come me. Almirante e Berlinguer. Punti di vista contrapposti, ma grande lucidità di visione. Con cultura e competenza nell’agire. Anche Berlusconi verrà ricordato come statista affascinante, ricco di sfaccettature in contraddizione tra loro.

La politica cambia, la radio invece è l’unica arena che, a dispetto delle evoluzioni, si conserva uguale a se stessa con profitto.

Perché la radio è camaleontica. Trova sponda favorevole con tutte le novità tecnologiche senza snaturarsi. È una delle sue prerogative.

Il tuo momento radiofonico della memoria.

Fine anni ’70. Ricevetti il Premio Marconi dalla contessa Elettra Marconi, discendente del grande Guglielmo. Mio nonno era morto da poco. Pensai a lui, che aveva fatto la guerra e considerava la radio un oggetto misterioso, non capiva bene se fosse come il frigorifero o se fosse qualcosa di diverso. Mi sarebbe piaciuto vederlo lì, tra il pubblico, mentre mi premiavano.

Esiste il mercato radiofonico dei conduttori, alla stregua del calciomercato. Tu, come speaker, hai cambiato casacche, passando da 102.5 a 105. E oggi, a R101.

Nella mia carriera ho cambiato due editori. Non è molto. Ho cominciato a Milano con RTL 102.5, pur coltivando il desiderio di approdare a 105, perché era l’unica radio su cui ci si sintonizzava bene in Salento. Feci un colloquio con 105, ma la risposta si faceva attendere. Nel frattempo, un mio amico che studiava all’Università Cattolica, mandò una mia cassetta a RTL 102.5. Mi contattarono. Mi ritrovai a cena con i grandi nomi dell’epoca, da Steve Severo a tanti altri. Mi accasai con loro e RTL diventò la mia famiglia per un lunghissimo periodo. Passai a 105 perché ero deciso a provare l’esperienza in un’emittente rimasta nel cuore.

Ci fu RadioMontecarlo.

Avendo un buon rapporto con l’editore Alberto Hazan, provammo il sodalizio. Furono 8 mesi molto belli. Mi affiancarono Max Venegoni. Sulle prime ero sospettoso nei suoi confronti. Poi si rivelò un compagno di viaggio perfetto.

Ora, con R101, a che cosa puntate tu e il tuo gruppo di lavoro?

Il progetto è nuovo e stimolante. I tempi erano maturi per provarci. Vogliamo creare un’interessante alternativa per la fascia mattutina. Oggi il pubblico non si affeziona a una singola emittente. Saltella qua e là. Ascolta Cruciani, poi vira su Marco Galli, e così via. Spero di avvicinare più gente possibile con serenità e senza artifici.

Che cosa occorre per diventare uno speaker di successo?

In passato il talento principale era la voce. Oggi contano anche l’appeal, la simpatia. Soprattutto la preparazione. Non puoi permetterti di dire stupidaggini al microfono. Si parla d’attualità, di musica, bisogna essere ben informati sugli argomenti e saperli padroneggiare calcolando anche l’imprevisto della diretta.

Che cosa ti manca in carriera?

Sono un curioso e un entusiasta. Potrei dirti mille cose diverse, ma solo per l’entusiasmo con cui mi approccerei.  Oggi gestisco tre ore di diretta al giorno, ho i miei progetti musicali sempre attivi. Il lavoro non manca.

La canzone che ti rappresenta?

Troppe. Da ragazzino c’era un programma che mandava in onda La Tartaruga di Bruno Lauzi, Mal che cantava Mackintosh. Li adoravo. Poi cito Vasco Rossi, Pino Daniele e Barry White. Quando Barry White scandisce: «Let the music play» ritrovo l’essenza di ciò che intendo con il verbo procedere.

Colleghi di riferimento?

Lelio Luttazzi e la Hit Parade. Ho ricevuto il Premio Cuffie d’Oro dalle mani della moglie, ciò mi rende orgoglioso. Poi tanti maestri. Federico l’Olandese Volante. Leopardo. Sono un grandissimo ammiratore di Renzo Arbore.

Che vento tira per la musica da club?

Il vento degli anni ’90. Sono stato di recente a Ibiza, il revival nineties è un’onda lunga in piena attività.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Fernando Proce)