Pubblicato il 15/07/2019, 16:04 | Scritto da Tiziana Leone

Sul set di Romulus, tra tuniche, capanne a quella strana lingua chiamata protolatino

Sul set di Romulus, tra tuniche, capanne a quella strana lingua chiamata protolatino
Nelle dieci puntate di “Romulus”, su Sky nell’autunno del 2020, il racconto, interamente in protolatino, si snoderà attraverso le vicende di tre ragazzi.

La serie originale di Sky è diretta da Matteo Rovere, il regista del film “Il primo re”, alla sua prima opera televisiva.

Le comparse arrivano per ultime, in macchina, mangiano un panino al volo, tolgono sneakers e magliette, indossano calzari e tuniche, dal 2019 tornano indietro all’800 a.C. e da Cinecittà World piombano in quella Alba Longa, madre della grande Roma. Il set è quello di Romulus, la serie originale di Sky diretta da Matteo Rovere, alla sua prima opera televisiva, tornato ancora una volta, dopo Il primo re il film con Alessandro Borghi, in quella terra romana precedente al suo grande Impero, per trovare le origini del potere della città eterna.

Il set

Al reparto costumi, sotto un tendone, bollono due pentoloni. Servano per colorare le tuniche con i colori dell’epoca, quando il blu ancora non esisteva e gli uomini indossavano solo i rossi, i marroni, gli ocra. Senza fonti, l’unico modo per la costumista Valentina Taviani per risalire agli abiti di allora è stata una tomba, dove con l’aiuto di alcuni archeologi ha studiato colori e forme di abiti che avranno comunque un tocco di originale. Più in là, in un’ampia spianata coperta da un bosco, è ricostruita Alba Longa, la città primordiale, con le sue tende in argilla e la sua simbologia arcaica,  dove si muoveranno i tre giovani protagonisti di queste dieci puntate, in onda nell’autunno 2020 su Sky. Per arrivare al primo ciak ci sono voluti sette mesi di preparazione e due di costruzione delle scenografie realizzare da Tonino Zera.

La serie

Il racconto, interamente in protolatino, si snoderà attraverso le vicende di tre ragazzi, segnati dalla morte, dalla solitudine e dalla violenza: Iemos, interpretato da Andrea Arcangeli, Wiros ovvero Francesco Di Napoli e la giovane vestale Ilia, Marianna Fontana.  «La serie non ha nessuna parentela con il film – garantisce Rovere, in una pausa tra un ciak e l’altro – Il film era il racconto della costruzione del potere, mentre in queste dieci puntate cerchiamo di capire cosa c’è davvero dietro un momento della storia fondamentale, in cui qualcosa cambia. Nel 753 a.C. l’ordine politico dell’Occidente subisce infatti un mutamento importante per i secoli a venire. Il primo re raccontava la leggenda della fondazione di Roma in maniera reale, Romulus si sofferma sulla genesi della leggenda, su cosa è successo nell’ottavo secolo A.C. con quei movimenti tra trenta tribù latine che poi generarono la storia di Romolo e Remo e la lupa. Non a caso la serie si chiama Romulus perché è la storia di chi sarà Romolo. Gli archeologici sostengono che sia una figura inventata dai narratori imperiali per dare a Roma una fondazione mitologica, ma qualcosa di reale  è successo, perché i re di Roma sono stati reali».

Il racconto epico

Non una storia facile da mostrare al grande pubblico, Sky e Cattleya, che producono la serie insieme a Groenlandia, diretta oltre che da Matteo Rovere, da Michele Alhaique e  Enrico Maria Artale, conoscono bene  le “insidie” che possono sorgere, a cominciare dai contenuti. La violenza, in un’epoca in cui gli uomini erano più simili alle bestie che agli esseri umani, è un elemento chiaramente imprescindibile. «Noi cerchiamo di fare un racconto un realistico – spiega Rovere – Il mio intento è di portare lo spettatore in quella realtà dove non mancano gli elementi di violenza, sessualità, scontri, guerre, morti. Ma né Sky né Cattleya hanno paura». «E’ importante che la violenza non sia strumentalizzata – aggiunge il produttore di Cattleya Riccardo Tozzi – Nel restituirci un mondo primario, la serie ci restituisce anche un mondo che ha un suo senso di purezza. Non c’è niente di perverso». «Se scegli un racconto devi farlo fino in fondo», spiega Nils Hartmann, direttore delle produzioni originali Sky. L’intenzione di Rovere è  che Romulus, distribuita da Itv, non si fermi alla prima serie. «Quando si progettano questo tipo di racconti, si pensa ad un arco temporale più lungo – confessa – Mi auguro che sia così».

Il cast

Il tempo sul set è sovrano, i tre giovani attori, che a meno di vent’anni hanno già imparato il protolatino, devono ancora girare due scene. «All’inizio con il protolatino ho avuto qualche difficoltà, ma poi ho risolto grazie a un coach molto bravo – ammette Francesco Di Napoli – Venendo dal film La paranza dei bambini posso almeno dimostrare che non so fare solo il napoletano». Sul set sono molti i giovani attori sotto i vent’anni. «Una mattina, dopo aver girato l’intera notte, ho sentito movimento – conclude Tozzi – C’erano ragazzi che scappavano via. Ho chiesto dove andassero così di corsa. “A fare gli esami di maturità” , mi hanno risposto. Se me l’avessero, detto avrei cambiato il piano di produzione. Hanno una dedizione unica».

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto i due protagonisti di Romulus)