Pubblicato il 01/07/2019, 19:01 | Scritto da Gabriele Gambini

David Parenzo: Quest’estate mi aspetto tante sorprese, a cominciare da Salvini e dalla nomina del Commissario Europeo

David Parenzo: “Con l’età sono diventato più saggio, ma in diretta, sia in radio, sia in tv, non smetto di improvvisare”

 

 

Si può essere veterani del giornalismo già a 43 anni. «Con almeno, spero, un’altra ventina d’anni davanti per esprimermi al meglio», dice David Parenzo. Da lunedì 1 luglio in access prime time su LA7, il giornalista torna a condurre In Onda assieme a Luca Telese. Un gioco di sponda rodato sui temi più caldi della politica e dell’attualità.

Un po’ come accade a La Zanzara su Radio24 con Giuseppe Cruciani, ma lì il gioco di sponda diventa una tana degli eufemismi depistanti che oscillano tra approfondimento e baruffa studiata ad arte.

«Penso a un libro che mi è rimasto nel cuore: Esercizi di stile, di Raymond Queneau. Mostra come lo stesso argomento possa essere declinato in centinaia di modi diversi, senza smarrire la peculiarità distintiva nel raccontarlo. Col mio mestiere ci provo: l’ironia può essere un’arma efficace per fare entertainment, come faccio in radio, e può essere alternata con il ragionamento che scava oltre la superficie, come succede a In Onda».

Di recente, a La Zanzara, hai avuto uno scontro verbale piuttosto aspro con Mario Giordano. Avete fatto pace?

De minimis non curat praetor.

Dunque non vi siete sentiti?

Mario Giordano mi ha offeso mettendo in dubbio la mia trasparenza professionale. Mi aspettavo delle scuse che non sono arrivate. Vedremo che accadrà nei prossimi giorni.

Chi è più sovranista? Cruciani o Telese?

Cruciani senza dubbio. Telese non è sovranista. Ha alcune posizioni, specie in ambito economico, vicine a quelle del Movimento Cinque Stelle, ma non lo definirei sovranista.

Ormai con Telese siete una coppia rodata a In Onda. Con Cruciani a La Zanzara. Come sei cambiato nel corso degli anni?

Un po’ si invecchia. E si vivono nuove vite. L’esperienza ci porta la consapevolezza che ci siano più vite in ognuno di noi. Ho iniziato a 22 anni a Padova, in un’emittente regionale veneta, conducendo un programma mattutino che si intitolava Match. C’era una rassegna stampa e diversi ospiti tra i politici locali che mi raggiungevano in studio e si confrontavano. Ho continuato trasferendomi a Milano. Oggi sono più sicuro nella difesa delle mie idee e nell’approccio con i miei interlocutori.

Sei diventato più saggio?

La mia compagna Nathania sostiene che io sia un formidabile spegnitore di incendi. Cerco di prendere il meglio dalle personalità che mi stanno accanto, ancorché diverse dalla mia. Non sono mai stato un tipo ansioso e non mi faccio condizionare dall’ansia altrui. Ma riesco a stare all’erta, professionalmente parlando, quando gestisco le dirette: lì occorre una buona dose di improvvisazione.

La famigerata gestione degli imprevisti.

Puoi immaginare la scaletta migliore del mondo con ospiti brillanti a disposizione. Ma le cose non andranno mai come le avrai pianificate all’inizio. Lì viene il bello, sia in radio, sia in tv. La diretta è la metafora della vita, non è retorico sottolinearlo. Negli anni forse sono diventato più saggio, ma non ho smesso di improvvisare quando serve. Mi piace sorprendere e farmi sorprendere.

A proposito di sorprese. Che cosa potrebbe sorprenderti in questa stagione di In Onda?

Matteo Salvini sulla nomina del Commissario Europeo potrebbe sorprendermi. Non do per scontato nulla.

Tu e Salvini avete vedute differenti su innumerevoli temi, ma vi conoscete da decenni e vi rispettate.

L’ho conosciuto a Milano quando avevo 26 anni. Lui ne aveva pochi di più, portava l’orecchino ed era un giovane consigliere comunale della Lega, oltre che direttore di Radio Padania.

Immaginavi per lui una carriera da leader capace di dettare l’agenda politica italiana?

Ha fatto una lunga gavetta e una brillante carriera all’interno della Lega. Salvini è intelligente e molto dinamico. Le sue idee sono diverse dalle mie, ma chi lo attacca dicendo che non ha mai lavorato, sbaglia.

Prima citavi Esercizi di Stile di Queneau.

A In Onda mi pongo in un modo, a La Zanzara in un altro, quando scrivo un libro in un altro modo ancora. I registri possono e devono cambiare a seconda del contesto in cui si inseriscono. Ma i tratti distintivi restano e sono la cartina di tornasole del mestiere di giornalista. Quando leggo un articolo di Federico Rampini, oppure di Francesco Merlo o di Ernesto Galli Della Loggia, spesso rimango sorpreso dalla qualità e dal loro modo laterale di trattare un punto di vista. Ma lo stile con cui lo fanno, anche se il registro varia, è riconoscibile.

Ci sono cose che funzionano in radio e non funzionano in tv.

La Zanzara in tv stonerebbe.

Stai rinnegando l’esperienza di RadioBelva?

Non si rinnega nulla. RadioBelva è stato un bellissimo errore di gioventù. Come programma, aveva spunti bellissimi, c’era Paolo Villaggio, c’erano ingredienti interessanti. Li abbiamo amalgamati in modo non efficace, complice una fascia oraria poco adatta. Ma non lo rinnego.

Nel frattempo tornerai a settembre a La Zanzara…

Dieci anni. Sono passati dieci anni dal debutto a La Zanzara. Ci rendiamo conto?

Continuerai a lungo?

Sarò schietto: non mi ci vedo a 60 anni a rispondere alle telefonate di Mauro da Mantova (ride, ndr).

A 60 forse no. Ma a 43 sì.

A 43 sì. Poi chissà…

Che cosa ti manca della tua professione?

Tornare a occuparmi dei fatti sul campo. Agli albori di In Onda facevo l’inviato. Ricordo i servizi sull’Atene pre-Troika. La prima intervista ai dirigenti di Alba Dorata. Mi manca il racconto del territorio, in presa diretta.

Hai qualche progetto in merito?

Sono affascinato da alcune produzioni Netflix o Amazon Prime Time che, sul fronte giornalistico, riescono a unire registri e possibilità apparentemente contrastanti in un unico prodotto. In futuro mi piacerebbe ragionare su idee simili. Mettendo a sistema registri distinti.

Ti piace la politica raccontata in tv?

Adoro Corrado Formigli. Piazzapulita è un programma eccellente, lo dico anche da appassionato di politica estera. Poi Presa Diretta. Report. Il palinsesto di Rai Storia. Divoro i programmi dei colleghi.

Destra e sinistra esistono ancora? O la dicotomia è stata soppiantata da sovranisti-globalisti?

Destra e sinistra esistono, eccome se esistono. Anche nella contrapposizione tra sovranismo e anti-sovranismo. Del resto, la sinistra nasce con vocazione internazionalista. Io penso che l’estensione dei diritti, della democrazia e del libero mercato sia l’antidoto al proliferare dei conflitti. Ed è quello a cui una sinistra moderna e europeista dovrebbe tendere. Distinguendosi da ogni forma di arrocco di destra.

Anche il capitalismo?

Il capitalismo liberale, certo. Non il capitalismo di stati illiberali, penso alla Cina. O in parte alla Russia. Quando Vladimir Putin dichiara che le democrazie liberali sono giunte al capolinea, anche i leader sovranisti europei dovrebbero alzare la mano e segnalare che un’affermazione del genere è pericolosissima.

Comunque il sovranismo gode di buona salute.

Non nego che siano stati commessi diversi errori anche da chi ci ha governato in precedenza, che hanno fatto da carburante al consenso sovranista. Ma pensare di depotenziare l’Europa a vantaggio degli interessi dei singoli stati è controproducente. Un esempio di questo è la questione dell’immigrazione. Sono i particolarismi, anche gli egoismi di Macron e di altri, che hanno portato a un peggioramento della situazione. Gestire l’immigrazione a livello europeo è l’unico modo per superare chiusure inefficaci.

Ha senso parlare ancora di rischio fascismo in quest’era?

Qualche raduno di nostalgici, penso a Predappio ma non solo, c’è stato. Sono i fatti.

Qualcuno però potrebbe risponderti che non c’è rischio di un ritorno al passato.

Le idee però non sono mai innocue. Sono di religione ebraica, un rabbino mi ha insegnato che il modo migliore per identificare Dio è il Logos, è il Verbo. Dunque le parole hanno un peso capace di generare azione. La vecchia Europa ha vissuto tutti gli “ismi” possibili: il franchismo, il fascismo, il comunismo, etc. Molto di più dei paesi anglosassoni. Dovremmo essere i primi, sulla scorta dell’esperienza, a sapere che le idee producono effetti.

Mi viene in mente un tuo vecchio progetto televisivo: girare l’Italia con Antonio Pennacchi affrontando proprio tematiche come quelle.

L’idea era di creare un docu-film, a metà tra l’inchiesta e il racconto di viaggio. Immaginavo lui, scrittore fasciocomunista e io, ebreo e italiano, alla guida di una Balilla, che, attingendo dal suo libro Fascio e Martello – Viaggio per le città del Duce (Laterza) ripercorrevamo l’Italia del fascismo partendo dall’osservazione dei suoi monumenti, utilizzandola come leva per raccontare l’attualità e capire come siamo arrivati fino a oggi. Il progetto era datato 2015. La contrapposizione sovranismo-non sovranismo non era ancora frizzante come oggi. Segno che avevo visto lungo.

Gli intellettuali avranno un ruolo come ospiti a In Onda?

Penso a nomi come Edoardo Albinati, Dacia Maraini, Sandro Veronesi. Ma anche Marcello Veneziani, Massimo Fini. Mi piacerebbe averli in trasmissione. E poi sono un grande fan delle teche Rai…

Che c’entrano le teche Rai?

Di recente ho rivisto un edificante dibattito tra Pierpaolo Pasolini ed Ezra Pound. Qualcosa di intenso in cui emerge la portata formidabile del confronto di idee tra due grandi pensatori.

Gabriele Gambini

(nella foto David Parenzo e Luca Telese)