Pubblicato il 21/06/2019, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Andrea Piovan: Per fare il doppiatore occorre una preparazione teatrale e tanta immaginazione

Andrea Piovan: “Mi sarebbe piaciuto doppiare Al Pacino”

 

 

Al telefono azzarda il claim di una nota pubblicità di un farmaco per alleviare i dolori di stomaco. Poi fa lo stesso con quella di un prodotto per smacchiature rapide. L’effetto è straniante. Sembra di ritrovarsi catapultati nella tv accesa. Andrea Piovan, 56 anni, veneziano, doppiatore polivalente, incarna il modello di compiutezza archetipica di chi, grazie all’ugola, entra nell’anima dei personaggi interpretati e dei contesti vissuti. È sua la voce frenetica dei servizi di Non è la D’Urso su Canale 5, quando con toni esasperati ad arte ti induce a credere che il signor Caltagirone possa comparire sull’uscio da un momento all’altro. Ma è sua anche la voce ufficiale italiana dei documentari BBC, tra cui il pluripremiato Planet Earth. Può passare dal doppiare un videogioco come Metal Gear Solid a una serie Discovery Channel con la facilità di un James Bond quando passa dallo smoking al Martini.

I turni di doppiaggio sono lunghi?

Dipende dal tipo di doppiaggio. A Mediaset, per Rete 4 o Canale 5, lavoro tutti i giorni dalle 3 alle 5. Arrivano i promoter con i testi pronti per le promo di Quarto Grado, di Non è la D’Urso, di Matrix, e mi regolo a seconda della committenza. Poi ci sono i turni dedicati ai documentari. In genere durano tre ore. Poi mi reco negli studi dedicati agli spot pubblicitari e mi sincronizzo con le esigenze del cliente.

Quando si intervistano gli attori, in genere sottolineano come il loro lavoro consenta di vivere molte vite. Vale anche per il doppiatore?

Per essere un bravo doppiatore, devi essere un bravo attore. C’è bisogno di un vissuto in cui immedesimarsi, una situazione precisa, qualità affinate durante un percorso teatrale. Mi incollo alla vita del personaggio che interpreto, alla sua anima, in un certo qual modo.

Nasce attore teatrale?

Nasco speaker radiofonico. Col teatro ho cominciato a Londra nel 1994. Facevo lo speaker per la nazionale italiana di beach volley. Una collega mi disse che a Londra cercavano voci per la versione italiana di Cartoon Network. Feci il provino, mi presero. Iniziai a lavorare a Cartoon Network, a Boomerang. Capii che dovevo migliorare la tecnica. Un’amica mi presentò Jacques Lecoq, maestro di teatro. Studiai con lui, nel frattempo lavoravo come speaker e doppiatore. Sono approdato a Mediaset nel 2008.

Le capita di essere riconosciuto per strada grazie alla sua voce?

Di recente è capitato al supermercato. Una signora alla cassa magnificava le virtù di un noto detersivo di cui interpreto il claim negli spot pubblicitari. L’ho avvicinata recitando il testo della pubblicità. Sulle prime è rimasta sbalordita (ride, ndr), poi ha capito che non ero un imitatore, ero proprio io.

La sua voce nei servizi di Non è la D’Urso sta diventando un tormentone.

Con gli autori abbiamo sviluppato un meccanismo efficace. Siamo partiti con le imitazioni dei trailer americani, da lì ho sviluppato un tono sempre più concitato e esasperato, da inquisitore. La gente ama quella voce un po’ stupida, che fa ridere, a metà tra la tragedia e il melodramma.

Voce che a volte racconta servizi al limite del surreale.

I servizi possono piacere o meno, ma mi diverto un sacco facendo il mio lavoro in modo puntiglioso. Mi sto esercitando sul battito cardiaco, sull’espansione del diaframma. A volte mi capita di lavorare su 15 servizi diversi, occorre potenza e un allenamento quotidiano che svolgo con Simone Biggio.

Lei è un doppiatore che lavora a Milano e non a Roma.

Ho trovato la mia strada a Mediaset e sono soddisfatto. Se fossi andato a Roma, sarei entrato nel mondo del doppiaggio cinematografico. Mi sarebbe piaciuto doppiare Al Pacino e Leonardo Di Caprio. Cerco spesso di imitare i miei colleghi del cinema, da Francesco Pezzulli che doppia Di Caprio ai grandi Amendola e Giannini per Pacino. Imparare ascoltando è fondamentale. Poi si tratta di interiorizzare e rielaborare.

L’attore è narcisista per natura. E il doppiatore?

A volte può andare stretto utilizzare solo la voce, senza essere riconosciuti per la fisicità e per quegli aspetti esteriori tipici della vita di attore. Ma a volte rimanere dietro le quinte conferisce potenza. Sono soddisfatto del mio mestiere, ma sto scrivendo anche un monologo, intitolato Sospesi, dedicato a Venezia, la mia città. Lo porterò presto in scena e mi mostrerò sul palco.

Durante uno dei suoi corsi, è emerso un suo motto: Bisogna essere veri come il gioco di un bambino. Perché?

Perché quando un bambini gioca, lo fa molto seriamente, non lo fa mai per scherzo. È la verità che ci scuote. Dare corpo e voce a un personaggio, significa indagarne le profondità per tirarne fuori la verità.

Gabriele Gambini

(nella foto Andrea Piovan)