Pubblicato il 15/05/2019, 19:01 | Scritto da Gabriele Gambini

Il mostro di Udine su Crime+Investigation: come il genere crime racconta l’evoluzione della società

Il mostro di Udine è prodotto da Ascent per A+E Networks Italia

Stanno nascendo anche da noi, su modello d’oltreoceano, le docufiction di ambito crime che partono da una ricostruzione puntuale di fatti reali e la raccontano con tinte da lunga serialità. Significa colpi di scena, inquadrature studiate ad hoc, vere interviste a personaggi coinvolti nel caso, mescolate ad azioni sceneggiate sullo schermo da attori a cui il pubblico può affezionarsi come se guardasse una produzione di fantasia.

Un po’ come se il Blu Notte di Carlo Lucarelli – capostipite del moderno racconto televisivo di nera – si fondesse alle atmosfere di True Detective o di Cardinal.

Il mostro di Udine

È il caso de Il mostro di Udine (da mercoledì 22 maggio alle 22.00 su Crime+Investigation, canale 119 Sky, per quattro puntate da un’ora ciascuna). La serie, creata da Matteo Lena e Francesco Agostini, ha il merito di scandagliare un cold case (sono i casi di omicidio ancora irrisolti) poco noto in Italia, rispettando i crismi di contemporaneità sopra elencati. Con un particolare gustoso: ripercorrendo le tracce di un’indagine iniziata negli anni ’70, scoperchia il Vaso di Pandora delle piccole meschinità della provincia italiana e delle costumanze tradizionali del passato, ai tempi dell’egemonia democristiana e del terrorismo politico. Con un occhio sull’evoluzione delle tecnologie investigative nel corso dei decenni.

Ne Il Mostro di Udine, è la realtà a fornire una sceneggiatura già pronta. Dal 1971 al 1989, nell’area rurale del capoluogo friulano, nove donne sono state trovate uccise con un modus operandi che rimanda al serial killer.

Maria Luisa Bernardo, Maria Carla Bellone, Marina Lepre, Luana Gianporcaro, Aurelia Januschewitz, Irene Belletti, Jacqueline Brechbuhler, Maria Bucovaz e Stojanca Joksmivovic avevano in comune la modesta estrazione sociale, problemi di alcolismo e tossicodipendenza e una condotta sessuale promiscua. Emarginate socialmente, e però ben conosciute anche dai notabili della città. Un po’ come le vittime di Jack Lo Squartatore nella Londra vittoriana.

Ma qui non c’è Scotland Yard a brancolare nel buio. C’è l’Arma dei Carabinieri, efficiente e solerte, eppure disorientata dalle tante difficoltà dell’epoca. Edi Sanson, ex carabiniere che alla fine degli anni ’80 fu coinvolto personalmente nelle indagini, è uno dei protagonisti. Le sue azioni, ricostruite un po’ con interviste all’interessato, un po’ con l’interpretazione di un attore calato nella parte, sono il filo rosso con cui la suspense viene alimentata. E poi testimonianze di chi ha conosciuto le vittime, indizi inediti mai raccolti prima, reperti scandagliati con le nuove tecnologie a disposizione.

Il Mostro di Udine fa esattamente ciò che ci si aspetta dalla letteratura noir che ha reso grandi i maestri Scerbanenco, Renato Olivieri, Loriano Machiavelli, e la nera di Dino Buzzati: parte da un caso di omicidio per raccontare le verità mai dette di un territorio. E per analizzare come la nostra società stia cambiando.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto un momento de Il mostro di Udine)