Pubblicato il 12/04/2019, 19:01 | Scritto da Gabriele Gambini

Misha Sukyas: Vi faccio godere con piatti succulenti e trasgressivi da tutto il mondo

Misha Sukyas: Vi faccio godere con piatti succulenti e trasgressivi da tutto il mondo
Col suo Comfort Food (su Food Network, canale 33 del DTT, da sabato alle 13.30), lo chef di origini armene punta a ravvivare il palato con carezze lipidiche e zuccherose, di certo non dietetiche. Ecco che cosa ci ha raccontato.

Misha Sukyas: “La cucina italiana è ottima, ma perché limitarsi a curare il proprio orticello?”

Misha Sukyas è il pirata apolide che solca i sette mari per far incetta di ricette. Tatuato, politicamente scorretto solo all’apparenza, ma non per posa, è un rocker dei fornelli che nella sua cucina contamina gli ingredienti con prospettive globaliste, anti-strapaesane: «La cucina italiana è eccezionale, ma a volte è bello guardare oltre il proprio giardino, incuriosirsi con le cose buone da tutto il mondo».

Ha iniziato a fare il lavapiatti nel ristorante di famiglia in California. A diciotto anni entrava e usciva dalle cucine di Londra. Ha lavorato nel sud-est asiatico. Poi in Australia. Tra i suoi maestri: Valentino Bosch, Michelle Roux, soprattutto Moshik Roth, chef israeliano teorico della cucina tecno-emozionale. Una sorta di alchimista del cibo.

Comfort Food

Col suo Comfort Food (su Food Network, canale 33 del DTT, da sabato alle 13.30), Sukyas punta a ravvivare il palato con carezze lipidiche e zuccherose. Niente piatti salutari per chi vuole essere messo a stecchetto godendo solo a metà. Il sapore viene messo al centro del racconto senza remore. Ingolfando per un istante il traffico nelle arterie, facendo trionfare di benessere la psiche e le endorfine di chi guarda e mangia.

Comfort Food è un ritorno al cibo come godimento del palato?

Diciamocela tutta: noi chef non operiamo a cuore aperto. Puntiamo però a far star bene chi mangia, offrendo piatti gustosi. In questo programma, il bel godimento di un piatto carico, ben strutturato, viene raccontato non lesinando sulla trasgressione.

Come si fa stare bene un commensale?

Tutto comincia dalla predisposizione di chi mangia. Chi dà qualcosa si aspetta di trovare qualcuno preparato a riceverla nel modo giusto. C’è chi vuole mangiare con la mente, e si aspetta un’esperienza emozionale. Chi vuole mangiare con la pancia, e gusta il cibo in modo più carnale.

Il cibo torna a essere un piacere ad alto impatto e a basso contenuto di orpelli?

Oggi abbiamo dimenticato la succulenza. Comfort Food prova a riportarla al centro della scena. Mostrando come si cucinano a regola d’arte piatti gustosi, diversi dal solito, un po’ trasgressivi.

Un esempio di succulenza?

Quando ti trovi in Texas e mangi il burro fritto in pastella. Nel momento in cui lo mangi, forse le arterie non fanno i salti di gioia. Ma godi come un maialino (ride, ndr).

Lo street food nasce da questo concetto. Si considera parte di quel movimento?

Preferisco sentirmi parte del movimento food a tutto tondo. Oggi è eccessiva la necessità di etichettare le cose per dar loro una riconoscibilità e un valore. Il risultato non sempre è positivo: in Occidente siamo riusciti a rendere oneroso, facendolo pagare 20 euro a piatto, lo street food thailandese, che in realtà è gustoso e costa pochissimo.

Lavorando in tv, etichetteranno anche lei, lo sa?

Se lo fanno, spero mi incasellino in modo multiforme. Non amo la staticità. Nel programma presento piatti da tutto il mondo. Dalla tradizione hard core americana a quella australiana.

La cucina italiana però ha una nobiltà maggiore.

Chi lo nega? Ma non si deve vivere al guinzaglio. Ciò che ci rende uomini è la curiosità, il piacere della scoperta. Il mondo è pieno di dettagli da scoprire.

Il luogo dove ha scoperto piatti gustosi?

Io adoro lavorare nel sud-est asiatico. Lì la gente è furba, ma deontologicamente onesta e ineccepibile. Hanno un motto: “Se una cosa la dici, poi devi farla”. Ci sono paesaggi incredibili, sapori inesplorati. Un giorno portai un mio amico, un tipo piuttosto snob e benestante, a mangiare cibo tipico in una bettola di Bangkok. Quando siamo usciti, sfoggiava un sorrisone che non finiva più.

Se non vivesse a Milano, si trasferirebbe lì?

Il sud-est asiatico è bello da vivere, ma non per periodi troppo lunghi. Mi piace alternare. Forse il compromesso migliore per qualità della vita e del lavoro a tutti i livelli è Sidney, in Australia.

Ha cominciato a lavorare da giovanissimo, a Londra. Per sbarcare il lunario si è finto cuoco esperto.

Non mi sento di consigliare questo approccio a un giovane che inizia oggi. Però Londra è stato un bel battesimo del fuoco. Avevo voglia di imparare e capacità di apprendere velocemente. Ha funzionato.

Oggi si sente ancora un pirata?

Come attitudine magari sì. Ma da due anni e mezzo le responsabilità sono cresciute. Ho con me una brigata di persone con famiglia, non posso più pensare solo a me stesso. Ho trovato una giusta dimensione.

Le piace la competizione sul cibo raccontata in tv?

Mi piace quando racconta il cibo e l’indotto economico che le attività a esso correlate garantiscono alle persone. Quando si spettacolarizza troppo uno show a favore di telecamera, però, i fornelli diventano soltanto un contorno e ne escono depotenziati. Credo nel giusto equilibrio tra esigenze televisive e verità.

Che cosa sogna di raccontare in tv?

La contaminazione di generi. Voglio aiutare le persone a guardare oltre il proprio orticello, scoprendo le opportunità di sondare il mondo e le culture diverse con curiosità ricettiva.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Misha Sukyas)