Pubblicato il 19/02/2019, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Gianluca Maria Tavarelli: La forza di Non mentire è nelle sfumature, non ci sono protagonisti del tutto buoni e del tutto cattivi

Gianluca Maria Tavarelli: La forza di Non mentire è nelle sfumature, non ci sono protagonisti del tutto buoni e del tutto cattivi
Parla il regista della mini-serie con Greta Scarano e Alessandro Preziosi in onda ogni domenica in prima serata su Canale5. Il tema della violenza sessuale viene indagato in un thriller che racconta due versioni plausibili dello stesso fatto, frutto di punti di vista contrapposti.

Gianluca Maria Tavarelli: “Nella nostra società è difficile distinguere il vero dal falso”

I greci la chiamavano aletheia: disvelamento. Più semplicemente, verità, “ciò che viene portato alla luce e non si nasconde”. Solo che la verità, per disvelarsi, deve fare i conti con il reale e l’effettuale. Lì cominciano i guai.

La mini-serie Non mentire, in onda ogni domenica in prima serata su Canale 5 (3,5 milioni di spettatori e il 15,5% di share al debutto), con Greta Scarano e Alessandro Preziosi, racconta il dualismo possibile della verità quando viene esposta alla parzialità di due versioni diverse dello stesso fatto.

C’è Laura che concede un appuntamento galante a Andrea. I due vanno a cena, si divertono. Tutto va come deve andare. Ma Laura, il giorno dopo, è confusa e afferma di essere stata violentata. Andrea nega.

Il thriller prende forma, indagando un tema, quello della violenza sulle donne, di stretta contingenza, e il colpo di scena è dietro l’angolo. Ciascun protagonista non appare mai o del tutto buono o del tutto cattivo. Caso raro, sulle reti generaliste abituate a ruoli monolitici: delinquenti e carabinieri, delinquenti e parroci, delinquenti e medici integerrimi.

Per il regista Gianluca Maria Tavarelli, uno dei punti di forza del progetto sta proprio nella sottile ambiguità dei contorni.

In Non Mentire si cerca la verità di un fatto che apparentemente presenta due soluzioni diverse, entrambe accettabili.

Si indaga il privato dei protagonisti. Gli spettatori sono costretti a fidarsi sia di uno, sia dell’altro. Nella vicenda da thriller, un giallo classico che aggancia il pubblico incuriosendolo su come andrà a finire, si innescano tematiche di valor civile, come il tema della violenza sessuale. Stimolando riflessioni senza sermoni.

Non mentire è l’adattamento italiano di un progetto britannico.

Gli inglesi sono stati il motore, abbiamo trovato la sceneggiatura affascinante, densa di spunti. Dalle riflessioni sulla condizione della donna nella società contemporanea, talvolta minacciata da alcuni condizionamenti culturali, al tema della distorsione delle notizie.

Nella società di oggi, verità e menzogna si sovrappongono con malizia.

Oggi è difficile distinguere il vero dal falso. Un tempo si prendeva per vero ciò che veniva scritto sui giornali. L’avvento delle nuove tecnologie ha determinato da un lato un’impressionante massa di notizie non verificate, dall’altro un capillare utilizzo di verità strumentali, confezionate per suscitare una reazione specifica. In Non mentire si parla anche dell’utilizzo dei social. Non a caso.

La società di oggi è più incline alla menzogna rispetto a quella di ieri?

No, la Storia è ciclica. L’uomo non cambia, cambiano gli strumenti. Viviamo in un’era in cui il presidente brasiliano Bolsonaro può ottenere un cospicuo consenso elettorale in virtù di messaggi whatsapp inviati ai potenziali elettori, con notizie selezionate ad hoc. Esistono software che suggeriscono che cosa dire e come comportarsi per suscitare determinate reazioni. Per mantenere intatte le prerogative della libertà individuale, bisogna vigilare.

La tv può avere un ruolo nel far da contrappeso a questo rischio?

La fiction ha il compito di narrare storie nel modo migliore possibile. Raccontando, come in questo caso, anche l’attualità. La gente, col tempo, imparerà a distinguere il vero dal falso proprio grazie a quegli strumenti che consentono sia la distorsione, sia l’approfondimento puntuale.

Non mentire prende le difese della protagonista femminile?

Raccontiamo la condizione di disagio psicologico possibile davanti a una presunta violenza. Ma non abbiamo creato santini. Né femminili, né maschili. Non ci sono eroi e eroine, i protagonisti hanno luci e ombre che il pubblico intercetterà progressivamente, empatizzando sia con Greta Scarano, sia con Alessandro Preziosi. Lei è un personaggio tosto, mai arrendevole. Capace di difendersi, talvolta nel modo sbagliato.

Quanto conta la committenza nello studio dei contenuti, quando pensa a una fiction da realizzare?

Non mi sento influenzato da una committenza. Certo, quando si produce una fiction per Canale 5 e Rai1, si è consapevoli di parlare a un pubblico diverso, molto più ampio rispetto a quello di Sky o di Netflix. Non ci si possono permettere scelte stilistiche troppo estreme. Ciò non significa confezionare un prodotto di minor qualità, significa abbracciare un linguaggio più universale.

Da regista, come gestisce l’andamento del lavoro sul set?

Per me gli attori sono fondamentali. Una volta completato il casting, ritengo realizzata già metà dell’opera. Non ho mai un piglio autocratico. Mi piace discutere, apprezzo quando viene letta una mia sceneggiatura e rielaborata con aggiunte o proposte di modifica. Ciascun personaggio porta in dote un proprio mondo e la condivisione dei punti di vista è determinante per ottenere un risultato pertinente.

L’opera a cui è maggiormente legato?

Il film Un amore. 12 piani sequenza, un racconto fluido senza montaggio, quindici giorni di lavoro. Mi rispecchia appieno.

L’opera che vorrebbe realizzare?

Non ho un particolare sogno nel cassetto. Mi piace però constatare come si siano abbattuti i confini. Serie come La casa di carta o Gomorra hanno una valenza internazionale e le apprezzo molto.

Quando scrive una sceneggiatura, pensa alle possibili reazioni del pubblico?

Lo scopo è raccontare una bella storia nel modo più interessante possibile. Personalmente, quando penso a un soggetto, penso a come piacerebbe a me vederlo da spettatore.

Fare il regista oggi è più facile rispetto a dieci anni fa?

Sul piano operativo, decisamente. Le nuove tecnologie consentono di dimezzare tempi e budget. Oggi con un iphone si possono realizzare prodotti amatoriali di grande dignità, un tempo impensabili.

Qual è la dote che deve possedere un regista per proseguire nella sua carriera?

La pazienza. La consapevolezza degli alti e dei bassi. Quando ho realizzato il mio primo lungometraggio, ho capito che avrei potuto davvero fare questo mestiere. Ci sono state delle pause tra un lavoro e l’altro, come spesso accade. Fare il regista significa affrontare un bellissimo viaggio costellato di tante tappe.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Gianluca Maria Tavarelli)