Pubblicato il 30/01/2019, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Cristiano Tomei: Da chef anarchico, racconto la cucina divertendomi con Pupi e Fornelli

Cristiano Tomei: Da chef anarchico, racconto la cucina divertendomi con Pupi e Fornelli
Cristiano Tomei da Viareggio, chef stellato titolare de L'imbuto, molto attivo su TV8 (da Cuochi d'Italia con Alessandro Borghese al recente Pupi e Fornelli, in onda da lunedì al venerdì alle 18.30) commenta il programma condotto da Pupo in cui gioca il ruolo di supervisore gastronomico mentre due concorrenti - uno imbranato ai fornelli, l'altro esperto - tentano di seguire le sue indicazioni.

Cristiano Tomei: “Cucinare non significa salvare il mondo, significa divertirsi, anche facendo fatica, per il gusto di condividere qualcosa di bello”

 

«Quando penso a come cucinare un piatto, non cammino con aria pensosa all’alba in un prato bagnato dalle gocce di rugiada. Magari in cerca di ispirazione. Non sono un artista, nemmeno un filosofo. Sono un artigiano. Fondamentalmente un anarchico».

Cristiano Tomei da Viareggio, chef stellato titolare de L’imbuto, molto attivo su TV8 (da Cuochi d’Italia con Alessandro Borghese al recente Pupi e Fornelli, in onda da lunedì al venerdì alle 18.30) commenta il programma condotto da Pupo in cui gioca il ruolo di supervisore gastronomico mentre due concorrenti – uno imbranato ai fornelli, l’altro esperto – tentano di seguire le sue indicazioni. «Questo è un game show atipico. Per la prima volta abbiamo portato in cucina anche i concorrenti che non sanno cucinare. Ma non li massacriamo. La cucina è prima di tutto divertimento».

Questo è Pupi e Fornelli. Un game show, più che un talent gastronomico puro.

Il concorrente esperto è separato da quello meno abile. A volte si incazza pure, nel vedere il compagno combinare disastri nella preparazione della ricetta che assegno. Lì sta il bello. Giochiamo attorno al cibo, ma non buttiamo mai la situazione in vacca. Raccontiamo gli errori, spieghiamo i piatti, parliamo di materie prime. Non mi vedrete mai urlare o massacrare un partecipante.

Un contraltare rispetto a Cuochi d’Italia, dove si sfidano eccellenze.

Cuochi d’Italia è fatto da professionisti. Ma anche lì, all’insegna della leggerezza. Che non significa mediocrità. I due programmi hanno un denominatore comune: il durante è più interessante del finale. Penso che il pubblico non li guardi per sapere come va a finire, il divertimento è già lì, nella fase di costruzione.

Dove ha trovato meno ferrati i concorrenti?

La tradizione anni ’80, quella delle tagliatelle paglia e fieno innaffiate di panna, ha permeato le mentalità dei neofiti. Cerchiamo di sradicarla, indirizzando il gusto. È la rivincita di noi chef ristoratori, subissati di foto di piatti e di richieste di aiuto. Finalmente possiamo mostrare che cosa significhi far da mangiare.

Il suo rapporto con Pupo?

Siamo due toscani schietti. Andiamo d’accordo da veri amici. Lui però non sa cucinare nemmeno un uovo sbattuto.

Che cosa significa far da mangiare?

Innanzitutto non significa salvare il mondo. Cucinare significa divertirsi, anche facendo fatica, per il gusto di condividere qualcosa. Da qui il presupposto del mio approccio ai fornelli. Mi ritengo un anarchico. So che ci sono regole precise nel mio mestiere, ma so anche che a volte sono fatte per essere trasgredite. Ma non mi definite un artista. Quelle sono cazzate. Sono e resto un artigiano.

Gabriele Gambini

(nella foto Cristiano Tomei e Pupo)